mercoledì 22 ottobre 2014

WDC sotto traccia Capitolo 1

La BMW proveniva dalla Quattordicesima Strada. Attraversò
l’incrocio con Pennsylvania Avenue. Di fronte c’era il
Wilson Building, la sede del governo del Distretto di Columbia,
e proseguì senza superare le venticinque miglia per fermarsi
con il lampeggiante di sinistra nel mezzo della strada.
Doveva entrare nel cancello del Reagan Building. “Immagina
se avessi dovuto fare questa manovra a Roma – pensò
mettendo la freccia - I mortacci, le dita sventolate, il clacson
suonato per protesta. E qui invece, a Washington capitale
della nazione e ancora per poco del mondo, tutti tranquilli
in fila indiana”.
Così rifletteva Michael Bardi mentre aspettava che il traffico
che veniva in senso contrario sulla Quattordicesima gli
permettesse di girare a sinistra. Un SUV Mercedes si fermò e
il guidatore, una donna, indicò a Michael di passare.
“E adesso cominciamo con la solita trafila di routine”,
disse fra sé Michael. Un gigante della security fece cenno di
fermarsi dove diceva lui, prima della barriera. Si avvicinò con
uno specchio montato su un’asta e cominciò a ispezionare il
fondo della vettura. Poi indicò al guidatore di aprire il bau-
le. Michael eseguì. E infine il controllo della patente che in
America è il documento di riconoscimento per eccellenza.
Il poliziotto terminò le sue ispezioni. Tornò nella garitta
e azionò il pulsante che fece abbassare le barriere e indicò a
Michael dove doveva andare a parcheggiare. Lunga discesa
seguendo i cartelli che indicavano i lots dove era consentito
lasciare la macchina.
“Mica facile trovare un posto oggi”, rifletteva Michael,
“Hanno abolito il servizio di ‘valet’, adesso devi fare da solo.
Ecco là uno libero”.
Parcheggiò vicino all’ascensore con il distributore di biglietti
che ricordavano a che piano e in quale sezione del Reagan
Building uno era arrivato. Meglio scrivere il numero
dove si era lasciata la macchina.
L’ascensore si fermò al livello lobby. Adesso Michael doveva
riuscire a trovare la stanza dove si teneva il meeting. Seguì
l’indicazione ‘pavillion’ e poi girò a sinistra.
Le cinque del pomeriggio: i funzionari dei vari dipartimenti
e del World Trade Center stavano sfollando.
Ora di punta che bloccava le uscite verso i ponti con la
Virginia e le contee del Maryland per un paio di ore. Poi
Washington avrebbe riacquistato il suo aspetto di media città
un po’ addormentata. Non poteva certo essere paragonata a
New York. Però a Washington Michael Bardi ci stava benone.
Almeno per quei pochi giorni al mese quando ritornava dai
suoi giri intorno al mondo.
“Devo chiedere a qualcuno, perché qui mi sto perdendo”.
Finalmente incontrò un uomo della sicurezza, un nero, giovane
e faccia simpatica non uno dei soliti che quando gli parli
ti danno occhiate di noia se non di disprezzo.
L’AfricanAmerican condusse Mr. Bardi in un corridoio e
gli indicò la porta da superare.
Oltre la quale vigilava una segretaria di mezza età, chiaramente
contrariata perché doveva fare straordinario e poi,
magari, un’ora di macchina per andare a casa.
Scrutò il nuovo arrivato, controllò il nome su una list e
gli chiese di mostrare un documento. Michael tirò fuori di
nuovo la patente che sembrò rassicurare la signora. Pulsante
di un interfonico: “Michael Bardi è arrivato”. “Fallo passare”.
la risposta gracchiata arrivava dal piccolo altoparlante.
Pesante porta di mogano con apertura elettrica, breve corridoio
con luci molto basse, la donna precedeva l’ospite zampettando
sui tacchi a spillo.
“Qualche anno fa deve essere stata molto interessante. Belle
gambe”, rifletteva Michael, mentre la signora accentuava il
movimento dei glutei perché sapeva di essere scannerizzata.
Altra porta massiccia, pulsante e nel varco dell’ingresso un
giovane di due metri, biondo, atletico, vestito nero a righe,
cravatta d’ordinanza anch’essa a righe su fondo bianco.
“Come sta, Mr. Bardi? Sono Mark Friedman assistente del
presidente. La prego di seguirmi”.
I due attraversarono un altro piccolo corridoio che li introdusse
finalmente nella stanza della riunione: l’ufficio del
boss indiscusso della grande Law Firm da cinquecento avvocati.
Mobili pesanti di noce, poltrone rivestite di cuoio,
pareti coperte da tessuto verde oliva stile casa di George Washington
a Mount Vernon, Alexandria.
Luce diffusa e lampade da tavolo discretamente accese.
Intorno a un piccolo tavolo sul quale era posato un vassoio
d’argento con bicchieri e una caraffa di cristallo con dell’acqua,
erano sedute quattro persone.
Tra queste, quella che senza ombra di dubbio era la più
autorevole, regalò a Michael un sorriso gelido e gli indicò
l’ultima poltrona ancora libera di fronte a lui.
“Finalmente è arrivato. Bene spostiamoci!”, disse il Boss
acido come un limone.
Bardi pensò di dirgli che l’appuntamento era per le cinque
e il suo ritardo, dovuto alla ricerca della sala riunioni, era
solo di qualche minuto. Poi lasciò perdere. Tanto si trattava
della solita sceneggiata fatta dal potente di turno a beneficio
o maleficio dei suoi diretti collaboratori. E lui stava recitando
la parte dell’agnello sacrificale.
Tutti si alzarono, seguendo il boss che si avviava verso un
piccolo ascensore situato proprio dietro una libreria.
Qualche secondo la corsa dell’ascensore in discesa. La porta
si aprì e Michael si rese conto che si trovavano adesso in
una parte dei sotterranei del palazzo.
Il Boss tirò fuori una chiave e con quella aprì una porta
metallica subito dopo l’uscita dall’ascensore.
Entrarono in una stanza assolutamente spoglia: un tavolo,
una decina di sedie di legno, pareti di un colore anodizzato
tendente al grigio scuro.
“Bene, disse il Boss, cominciamo a verificare i punti di vista.
Inizio io dicendo al nostro ospite che questa è una Gabbia
di Faraday. Siamo circondati da una rete di rame e le nostre
conversazioni non saranno ascoltate da alcuno. Quanto alla
situazione che stiamo per vivere devo dire che sono molto
preoccupato perché qui rischiamo di perdere tutto. Sherman
vada avanti lei”.
Sherman era un tipo mingherlino, calvizie ripudiata con
tentativo costoso di riporto dei capelli dalla nuca. Voce stridula.
Affanno tipico di quelli che si fanno cogliere dal panico
quando devono parlare di fronte al loro capo.
“Ecco: se i tabloid escono con la storia del Presidente che,
quando il suo matrimonio stava attraversando un periodo
di mare mosso, si fece adescare dalla nota maitresse, Jeane
Pallettieri, che gli mise a disposizione una delle sue più belle
escort, allora tutto salta. Fino a ora siamo riusciti a tamponare
l’uscita di questa storia. Ma i margini di resistenza sono sempre
più esigui”.
“Inutile dire cosa succederà appena questa storia sarà pubblicata
col massimo risalto dai giornali scandalistici”, aggiunse
Mark Schwartz seduto alla destra del chairman. “Tutti i
nostri progetti saranno stoppati, il Presidente costretto alle
dimissioni se non vorrà rischiare l’impeachment, come del resto
successe a Clinton almeno per un ramo del Congresso”.
A questo punto intervenne con una certa aria irritata il
Boss e rivolgendosi a Michael gli disse:
“Oggi le abbiamo chiesto di venire qui e di lasciare momentaneamente
i lavori che sta seguendo per noi. La ragione
è presto detta: lei ha diversi passaporti. Ma quello che ci interessa
questa sera è, come dire?, la sua esperienza di situazioni
analoghe maturate in Italia. Io mi rendo conto bene
che la morale europea e quella italiana, in particolare, non
corrispondono certo a quella americana dove le storie di sesso
illegittimo dei personaggi politici non sono accettate dall’opinione
pubblica e sulle quali, è ovvio, ci si butta l’opposizione
con tutto il peso delle sue strutture centrali e periferiche”.
Michael Bardi si aggiustò sulla sedia che era scomoda in
verità. Schiaritasi la voce disse:
“Ammettiamo come molto probabile l’uscita dei tabloid.
In Italia o in Francia non succederebbe nulla. Le storie di
sesso dei personaggi della cronaca mondana e politica interessano,
ma non scatenano reazioni indignate dei perbenisti.
Anche perché in ogni italiano e in ogni francese c’è sempre
un sottofondo di “magari fossi io!”. L’ammirazione cioè non
dichiarata verso chi si permette di essere circondato da donne
bellissime, anche se pagate. Anzi, a maggiore ragione, perché
proprio quei personaggi hanno disponibilità finanziarie che
l’uomo della strada non ha”.
Paul Kidman, il presidente del grande studio di avvocati,
aspirò la sigaretta elettronica che sperava gli consentisse di
diminuire il numero di quelle normali che da anni superava
i due pacchetti al giorno.
“Senta, Bardi, queste considerazioni le conosciamo a
memoria, perché anche noi leggiamo i giornali e siamo informati
sui vari ‘Bunga-Bunga’ e via citando. Quello che le
chiediamo questa sera è il suo punto di vista come europeo
e come americano sulla situazione che si è creata intorno al
nostro Presidente”.
Michael Bardi odiava quell’uomo segaligno e l’accozzaglia
di figuri che gli stava intorno. Ma pagavano molto bene per
assicurarsi la sua consulenza. E non era il caso di far trasparire
il senso di irritazione.
“Secondo me la cosa migliore – disse con un atteggiamento
sereno - è che il Presidente vada in televisione e si rivolga
direttamente al cittadino americano dicendo:
“Mi sono trovato in un periodo di grande affanno matrimoniale.
Ho scoperto che mia moglie aveva perso la testa per
un ufficiale della sua security. Ma non volevo distruggere il
nostro legame, soprattutto per rispetto verso i miei figli. In
un momento di debolezza mi sono accompagnato con una
signora che è risultata essere poi un’escort che era sta pagata
da qualcuno dell’opposizione per tirarmi il colpo gobbo.
Sono specialisti in questo anche se poi negano. Il mio comportamento
non ha influito in alcun modo sul mio lavoro e
le mie decisioni politiche. Questo è il mio secondo mandato
e con il mio gabinetto sono riuscito a ridare fiducia all’America,
a ricostruire milioni di posti di lavoro, a consolidare il
primato degli Stati Uniti. Questa fiducia chiedo a voi di confermarla.
Perché noi Americani siamo un popolo di persone
tolleranti che riescono a comprendere e perdonare anche i
drammi familiari”. Ecco - concluse con una certa enfasi Michael
Bardi - io penso che il Presidente dovrebbe rivolgersi in
questo modo alla Nazione”.
“Lei parla così, intervenne il Boss, perché è mezzo italiano
e per giunta massone”.
“Perdoni se la interrompo – disse il giovane Michael - Non
capisco che cosa c’entri la mia vera o presunta appartenenza
all’Istituzione… ”.
Paul Kidman gli rivolse un ghigno compiaciuto perché
era riuscito a far centro nella compostezza professionale di
Michael Bardi. Ed era la sua tecnica preferita che consisteva
nel mettere in difficoltà chi gli stava di fronte, uscendo
all’improvviso con una notazione che si riferiva a un aspetto
personale di cui era a conoscenza. Come dirgli: “Guarda che
di te e su di te so tante cose”. E quasi sempre questo metteva
in serio imbarazzo il suo interlocutore e dava a lui un vantaggio
dialettico.
“Glielo spiego subito - disse - Per voi massoni la tolleranza
è la virtù fondamentale. Ma in politica non si fanno
prigionieri in America. Guai al vinto. La sua ipotesi non mi
convince. Ecco perché dobbiamo agire subito”.
Prese un bicchiere si versò un po’ d’acqua mentre i suoi
assistenti puntavano ansiosi su di lui sguardi preoccupati.
“L’unica soluzione - concluse il Boss - è quella di neutralizzare
i protagonisti di questa storia a cominciare dalla escort
e dalla maitresse. Qualcuno di voi vada a Boston e veda di
rintracciare la puttana. Idem per quanto riguarda la escort che
dovrebbe stare da qualche parte in Virginia, a quanto mi viene
riferito”.
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