mercoledì 15 luglio 2015

Capitoli 44 e 45 del giallo "W.D.C. sotto traccia" Oscar Bartoli, editore Betti

 

Capitolo 44

Smithson & Bradley Law Firm di Washington nel Reagan Building di Washington. Il boss con i suoi associates stava seguendo su tre schermi televisivi le ultime notizie e le edizioni speciali sull’attentato al Presidente. Si susseguivano le testimonianze. Inquadrature del drone sferico che veniva mostrato ai telecronisti da agenti dello FBI. Breaking news della CNN: Wolf Blitzer riferiva sul ritrovamento del corpo dell’arabo. “La notizia che l’attentato al Presidente sia stato orchestrato e gestito in prima persona da un arabo sta creando numerosi focolai di tensione in America. Quelle che vedete sono distruzioni di negozi e agenzie gestite da arabi americani. Sale la preoccupazione in tutto il Paese, nonostante la Casa Bianca abbia diffuso una nota in cui si riafferma che non è chiara l’appartenenza dell’arabo, Habib Fareh, a qualche movimento di estremismo arabo. Questo Fareh è conosciuto negli ambienti dell’intelligence internazionale come un bounty killer pronto ad assassinare chiunque in cambio di denaro. Ogni ipotesi che si riferisse ad Al Qaeda è al momento assolutamente non confermata”.

 “Il Presidente sta bene, continuò il commentatore della CNN e tra poco è annunciata una sua conferenza stampa. Fonti della Casa Bianca riferiscono che riprenderà i contatti personali con le comunità più isolate della Federazione”.

Seguirono le interviste con alcuni dei partecipanti al townhall di Lake Havasu City. Una donna dichiarò tra le lacrime: “Non sapevamo cosa stava succedendo. Abbiamo visto alcuni agenti del servizio segreto buttarsi sul Presidente e atterrarlo. Ma non riuscivamo a capire perché. Poi c’è stata quella piccola sfera nera che era entrata nel salone e rimbalzava da una parte e dall’altra e sembrava quasi un gioco, uno scherzo di cattivo gusto. Ma quando ha sparato i razzi allora la confusione è diventata totale. Anche io mi sono buttata a terra, ma nel frattempo, dopo le due esplosioni, il soffitto del salone ha cominciato a cadere. La mia amica Ruth che stava vicina a me è stata colpita alla testa da un blocco e, mi sembra, anche una delle guardie del corpo che proteggevano il presidente. Tutto è durato un’eternità. Fino a che quel maledetto pallone che volava è stato abbattuto dagli agenti, oppure è caduto da solo… non so… Io me lo sentivo che la presenza del Presidente in questa città avrebbe richiamato qualche terrorista… Due morti e decine di feriti tra le circa cento persone che assistevano all’incontro con il presidente. Che sarebbe stato meglio se fosse rimasto a Washington… ”.

L’interfonico interruppe la visione dei programmi televisivi. La segretaria annunciò la visita di due agenti dello FBI che spalancarono la porta. “Mister Paul Kidman, presidente della Smithson & Bradley Law Firm?”.

“Sono io”, disse il Boss con aria autorevole fingendo una calma glaciale.

“Questo è un ordine d’arresto per lei e i suoi collaboratori per attentato al Presidente”.

“Ci deve essere un errore... ”.

“Lei è un noto avvocato e ce lo dimostrerà. Dovrà anche spiegare il rapporto di dipendenza del defunto avvocato Rachel O’Hara che rispondeva direttamente a lei anche se ufficialmente era un dirigente di una società di lobby. E poi ci parlerà di come e attraverso quali canali lei ha assunto un noto assassino professionale per compiere omicidi ed eliminare persone che intralciavano i suoi piani”. “Insomma”, aggiunse con un sorriso di scherno l’agente del FBI che evidentemente era in vena di prendersi qualche soddisfazione, “siamo ansiosi di ascoltare le sue riflessioni. Per il momento si giri e metta le mani dietro la schiena. Ha diritto a non fare dichiarazioni, prima di avere designato un collegio di difesa. Qualche nome da indicarci, please?”.

Mr. Paul Kidman e i suoi quattro stretti collaboratori uscirono ammanettati passando davanti alla vistosa segretaria che stentava a nascondere il suo disappunto perché in fondo a quel figlio di buona donna di Paul Kidman, lei in qualche modo era affezionata. Ammesso che si potesse provare un moto di passione per quell’uomo di ghiaccio. Poi, passione o presunto affetto a parte, le venivano a mancare, oltre allo stipendio anche quei bonus che si ritagliava, quando il Boss, per far fronte allo stress accumulato o per reprimere i moti di un’improbabile coscienza, la chiamava nel suo studio e lei si cimentava in una prestazione di sesso orale praticata in ginocchio mentre lui restava seduto alla scrivania. Ogni volta erano duecento dollari. E adesso?
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Capitolo 45

Tornata della Loggia Garibaldi. Cerimonia dell’installazione del Maestro Venerabile, del primo e secondo sorvegliante e degli altri ufficiali della Loggia. Il Master of Installation lesse al Maestro Venerabile eletto i compiti e responsabilità che lo attendevano nell’espletamento della sua nuova funzione che sarebbe durata un anno.

Il maestro delle cerimonie, portatosi nel centro della Loggia, declamò alzando il suo bastone dorato e rivolgendosi all’ovest, sud, est che il nuovo Worshipful Master era stato conclamato nel suo nuovo incarico.

Poi si susseguirono le installazioni degli altri dignitari e ufficiali a completamento dell’organico dell’Officina.

Terminato il rituale, il maestro venerabile sedendo all’Oriente si alzò e pronunciò il suo discorso di apertura del proprio anno di attività massonica.

“Fratelli”, disse il nuovo WM, “veniamo da un brutto momento. La situazione internazionale è a un punto di non ritorno con il pericolo di una deflagrazione nucleare che potrebbe coinvolgere miliardi di persone”. Purtroppo anche la nostra antica Istituzione ha mostrato forti cedimenti. Infiltrazioni al nostro interno per incapacità di essere più attenti verso il mondo profano. Schegge impazzite, definite massoniche, ma che in realtà erano solo comitati di affari sporchi, hanno inquinato la nostra organizzazione alla quale sono state attribuite responsabilità che non abbiamo. Vigilare, andare tra la gente apertamente, consolidare la nostra immagine con azioni scoperte. Non abbiamo alcunché di segreto, ma siamo una componente attiva della società, nella quale i padri fondatori della Nazione hanno profuso il senso profondo della loro moralità. Dobbiamo recuperare i ‘fondamentali’ della nostra essenza. Dobbiamo scendere tra i ‘profani’, farci conoscere, dobbiamo essere un vero modello di comportamento, ognuno nella sua nicchia professionale, ognuno nella sua famiglia con il ruolo di padre, marito, nonno, ognuno come educatore. Dobbiamo contribuire a ricostruire quegli ideali che furono alla base del miracolo di fede ed energia collettiva che portò alla costituzione della nostra amata patria: gli Stati Uniti d’America”.

La riunione terminò con il rituale di chiusura. Il Worshipful Master dette un colpo di maglietto. Prese il bastone e zoppicando vistosamente scese dal podio all’Oriente in mezzo agli applausi dei molti fratelli presenti alla ‘tornata dell’Officina’ che gli si stringevano attorno abbracciandolo e si rallegravano con il nuovo Maestro Venerabile, appena installato… Michael Bardi.


mercoledì 8 luglio 2015

Capitolo 43 del giallo "W.D.C sotto traccia"

Un individuo in una muta nera, cappuccio con fessura per gli occhi, puntava la pistola contro Michael. Nell’ombra della sera una voce di timbro maschile, gutturale, gli diceva: “Non hai capito nulla. Le cose non sono come sembrano. Questo arabo morto ci farà un gran comodo. E anche se non ha portato a termine l’uccisione del Presidente sarà il pretesto per scatenare una guerra atomica contro il mondo arabo”.

Michael stava per svenire. La mente obnubilata. Le parole di quel tale che lo sovrastava, nero come l’immagine della Morte, rimbalzavano nella sua mente e avevano un’eco come se si fossero trovati all’interno di una grande basilica. “Le basiliche… ” il pensiero fluttuava nella mente intorpidita del ferito. “Le cattedrali medievali costruite dai ‘maestri muratori’… Perché parla, parla e non spara e la facciamo finita… sono stanco, tanto stanco… ”.

Ma l’uomo in nero continuava il comizio in ‘hora mortis’: “Finisce la civiltà del petrolio. Comincia quella delle fonti alternative. Bisognava tentare qualcosa di clamoroso, come l’uccisione del Presidente che si batte per il capovolgimento della società basata sul petrolio. Li abbiamo fregati tutti. E faremo soldi a palate”.

Risata sgradevole accentuata dal gracchiare della voce metallica come quella di un robot. “Ma per te è troppo tardi”. Concluse il boia vestito di nero. “Business is bussiness. Niente di personale. Adesso tocca a te”.


Michael chiuse gli occhi e rivide suo padre che gli sorrideva. Poi un accavallarsi di volti noti, paesaggi, azioni di guerra… Olivia... Non gli importava più di nulla. “Ma sì, basta, spara e vai a farti fottere... ” disse con il poco fiato che aveva.

Due colpi risuonarono chiari, secchi, senza silenziatore. L’individuo in muta nera crollò a terra con un singhiozzo, mentre dall’ombra spuntava Tom Genisio, il vice di Michael, che da quando era scoppiato il caos stava cercando il suo capo.

Si precipitò su Michael che gli indicò la gamba destra. Si tolse la cravatta con la quale fece un nodo sopra il ginocchio per ridurre l’emorragia. Prese Michael sottobraccio facendolo alzare.

Nel frattempo gli altri componenti della squadra di Michael avevano sentito i colpi ed erano accorsi.

Ma prima di farsi caricare sulla lettiga Michael disse a Tom Genisio con un filo di voce: “Aspetta un momento… illumina qui con la torcia… ”.

Si abbassò sul corpo in tuta nera che giaceva agonizzante sul bordo della piscina e ne scoprì il cappuccio.

Sotto il quale apparve la rossa capigliatura di Rachel. Intorno alla gola aveva una laringe elettronica.

Un filo di sangue usciva dalla bocca e si miscelava con il colore del rossetto. Non poteva parlare, rantolava. Gli occhi verdi esprimevano terrore, dolore, angoscia, disperazione.

venerdì 3 luglio 2015

Capitolo 42 del giallo "W.D.C sotto traccia"

 Le Nord Pas-de-Calais
Michael afferrò le gambe dell’arabo che tentava di usare il
radiocomando. L’arabo cadde a terra.

Si girò e sparò contro Michael colpendolo alla gamba destra.
Michael sentì che stava perdendo sangue, forse il colpo
aveva leso un’arteria. Non aveva molto tempo davanti a sé.

La pistola dell’arabo si inceppò e Michael gli saltò al collo
cercando di strangolarlo. La sua mente lavorava incessantemente,
nonostante il dolore atroce della gamba ferita.

L’arabo si divincolò, rotolandosi sul pavimento. Si rialzò
estraendo una P38 da una fondina legata alla caviglia.

Michael con una spazzata di sinistro lo atterrò e colpì di
taglio la mano che impugnava la pistola, facendola cadere.

L’arabo era a terra e stava cercando di rialzarsi con un colpo
di reni. Michael gli assestò un calcio nei testicoli e gli si
gettò sopra.

Habib Fareh da terra, nel tentativo di respingerlo, alzò una
gamba che appoggiò contro il ventre di Michael proiettandolo
sopra di sé.

Michael atterrò dentro l’apertura del tobogan e cominciò
a scivolare verso il basso mentre sentiva che dalla gamba il
sangue pulsava uscendo.

Precipitò lungo il tobogan in mezzo all’acqua a velocità
crescente. Dietro di lui stava arrivando anche l’arabo.

“E adesso che faccio quando sprofondiamo in piscina?” si
chiese Michael che sentiva le forze venirgli meno.

Arrivato nella parte terminale dello splash venne espulso
nell’acqua.

Galleggiava sul dorso quando arrivò l’arabo testa e mani
in avanti. Impugnava un pugnale seghettato che mandò un
bagliore quando all’uscita dello splash venne centrato da un
raggio di luna.

L’arabo cadde sopra Michael che gli bloccò la mano col
pugnale e immerse nel ventre di Habib Fareh la lunga lama
del coltello a serramanico che rigirò con taglio trasversale con
la tecnica del suicidio giapponese ‘seppuku’.

Il corpo dell’arabo gli si accasciò addosso. Michael ora rischiava
di affogare. Si liberò dell’avversario facendolo scivolare
di lato e si avvicinò al bordo della piscina dove si issò con
grande fatica. Quindi perse i sensi.

Una pedata in un fianco lo fece tornare in sé mentre una
voce maschile metallica e gutturale gli diceva:

“Bel lavoro. Ma sei stupido e adesso tocca te. Gli imbecilli
non possono vivere. Combinano troppi guai”.

sabato 27 giugno 2015

Capitolo 41 del giallo "W.D.C sotto traccia"

 Seal of the President of the United States.svg

Le urla di Michael al radio microfono risuonarono come
esplosioni negli auricolari dei body guards a difesa del Presidente.

Due tra quelli più vicini si gettarono addosso a POTUS,
lo atterrarono dietro il podio, coprendolo con il proprio
corpo, mentre nel salone si scatenava il finimondo.

Uno strano oggetto sferico era entrato e volteggiava urtando
nel soffitto, sbattendo contro le pareti, rimbalzando, in
mezzo alle urla stridule delle donne, agli ordini dei militari
che non sapevano cosa stesse accadendo, alle televisioni che
continuavano a riprendere le scene di panico.

Poi all’improvviso, la sfera nera sparò due piccoli missili
ad alto potenziale a distanza ravvicinata. Il primo colpì una
grande vetrata che andò in frantumi.

Il secondo si schiantò in mezzo alla folla uccidendo alcuni
spettatori e ferendone molti altri, mentre il soffitto crollava
in una nuvola di cemento, lasciando penzolare tubi e cavi vari.

L’impianto antincendio si era nel frattempo attivato allagando
morti, feriti e sopravvissuti che si aggiravano tra quei corpi inebetiti dal terrore.

Uno degli agenti che coprivano il Presidente era stato colpito
a morte da un blocco di cemento che si era staccato dal
soffitto.

I compagni spostarono velocemente il suo corpo e,
caricato il loro Comandante in Capo su una barella, corsero
fuori nel piazzale del parcheggio dove l’ambulanza blindata
attendeva.

martedì 23 giugno 2015

Capitolo 40 del giallo "W.D.C sotto traccia"

Il Drone sferico

Michael Bardi aveva dei crampi allo stomaco. Eppure non
aveva mangiato quasi nulla, salvo un pacchetto di crackers
che gli aveva dato Tom Genisio.

Il suo malessere era causato non tanto dallo stress, perché a
quello era abituato da una vita. No: sentiva che qualcosa non
stava marciando nel verso giusto, ma non sapeva dare una
connotazione precisa alle sue preoccupazioni.

Il suo team e quello dell’FBI avevano lavorato bene fino ad
allora, setacciando a tappeto ogni angolo della costruzione,
preparando linee di fuga, simulando decine di possibili attacchi
terroristici alla persona del Comandante in Capo.

Michael era un perfezionista e non si fidava a fondo degli
altri. Perciò decise di dare un’occhiata all’esterno mentre nel
salone continuava il dialogo, abbastanza tempestoso, tra il
Presidente e il gruppo di attivisti di estrema destra scarsamente
equilibrati dai pochi interventi dei più moderati. Di
liberali neanche l’ombra.

Verificato che le porte della sala dove si teneva l’incontro
col capo della Casa Bianca erano sorvegliate da decine
di agenti, uscì dalla porta principale dell’hotel e si diresse
verso il retro dell’albergo dove erano sistemate le cucine e i
magazzini.

Arrivato al recinto delle piscine notò un furgone con la
porta posteriore aperta vicino a un ingresso che sembrava
condurre verso qualche deposito dell’hotel.

Eppure aveva dato precise disposizioni che le operazioni
di carico e scarico dovessero essere interrotte sino al termine
dell’evento. Potevano essere riprese solo quando il Presidente
si fosse allontanato con la scorta.

Michael indossava un’uniforme nera con giubbotto antiproiettile,
aveva a tracolla un Heckler & Koch MP5 submachine
gun con alcuni caricatori nella cintura, e la sua Beretta
calibro 9.

Camminando acquattato contro il muro si avvicinò al giovane
che stava completando il carico di un carrello di casse di
birra. Gli saltò alle spalle bloccandogli la bocca con il guanto
e con la sinistra facendo pressione sulle giugulari.

Il ragazzo stava per perdere i sensi e Michael sventolandogli
sotto il naso il badge della CIA, a gesti gli fece cenno di
tacere e di andarsene subito. Appena ripresosi dallo spavento
il commesso entrò nel furgone, mise in moto e partì facendo
stridere le gomme.

Michael, accovacciato sulle gambe si mise a osservare il
perimetro delle piscine. Scorse riflessa dalla parte interna del
tetto dello splash una strana luminosità, come quella di un
televisore acceso.

Gattonando si spostò senza fare rumore verso l’ingresso
della piscina che dava sulla spiaggia. Si diresse verso la scala
che conduceva alla torretta augurandosi che non fosse di legno
e non scricchiolasse.

Cominciò a salire. La scala era fatta con una struttura di
ferro rivestita di plastica antisdrucciolo per evitare che i
 ragazzi potessero scivolare quando salivano per infilarsi nel tobogan.

Arrivato in cima alla scala vide l’uomo che stava digitando
su un telecomando e osservava attentamente un monitor. Le
immagini mostravano un oggetto sferico che volava passando
da un ambiente all’altro. Qualcosa di simile ai modellini di
elicotteri telecomandati.

Michael non aveva alternative: al radio microfono urlò
più volte “Emergenza Potus!” (President Of The United States, ndr)
mentre l’arabo, proprio quel tipo che aveva cercato di ucciderlo
sulla torre del George Washington Masonic Memorial,
riusciva a far entrare il drone nel salone, volando sulle teste
degli agenti che stavano alla porta della ball room e che erano
rimasti annichiliti per alcuni secondi per la sorpresa.

L’arabo mentre continuava a guidare il drone, si girò di
scattò e sparò un colpo con la sua pistola munita di silenziatore.

Il colpo andò a vuoto e Michael si gettò su Habib Fareh
che tentava di difendersi senza perdere il controllo dell’oggetto
volante.

A questo punto l’arabo premette un tasto rosso
del telecomando.

mercoledì 17 giugno 2015

Capitolo 39 del giallo "W.D.C sotto traccia"

  london  bridge  resort  lake  havasu  city

Gli ospiti del London Bridge Resort erano disorientati.
La presenza di diecine di agenti della CIA e FBI in borghese,
unitamente a quelli della polizia locale, le troupes
televisive che avevano innondato i corridoi e la lobby con cavi
di ogni spessore, i controlli ultraseveri posti a ogni angolo
del grande albergo avevano creato un’atmosfera da giudizio
universale.

Molte famiglie di turisti americani che erano venuti a passare
qualche giorno di relax sulle acque del Lake Havasu non
sapevano come destreggiarsi in mezzo a tanta animazione e
controlli.

“Io devo andare in piscina coi miei figli”, si mise a urlare
nell’atrio una signora di oltre cento chili sostenuta dal marito
di analoga stazza e al fianco il maschietto e la femminuccia
che erano ormai avviati sulle orme dei genitori, quanto
a peso.

La signora che protestava era avvolta, si fa per dire, in un
ampio caftano e portava su un braccio alcuni asciugamani
mentre il marito che taceva era oppresso da un carico di giocattoli
di gomma gonfiabili.

Una impiegata del check-in lasciò il bancone e si precipitò
verso la donna.

“Signora, siamo spiacenti degli inconvenienti. Ma abbiamo
qui il Presidente degli Stati Uniti… e… ”.

“Ma chi se ne importa del Presidente? Lui le vacanze le ha
già fatte. Eppoi io non lo voto nemmeno… ”.

“Signora”, insisteva l’impiegata “Basta che lei e la sua famiglia
seguiate un percorso diverso da quello abituale perché,
come ha visto, il corridoio che conduce al salone è per il
momento bloccato dalla sicurezza. La visita del Presidente
riteniamo che debba terminare tra un’ora. Dopodiché tutto
tornerà tranquillo. Ma, al momento le consiglio di uscire da
quella porta secondaria entrando nella piscina principale dal
lato della spiaggia sul lago”.

La famiglia di obesi si fece convincere e lasciò l’atrio
dell’albergo senza degnare di uno sguardo la riproduzione
del The Gold Stage Coach, la carrozza da cerimonia della Regina
d’Inghilterra con pitture laterali dell’italiano Giovanni
Cipriani di Firenze.

Al contrario di un altro ospite che indossava un accappatoio,
calzava infradito di gomma, un grosso pallone di plastica
multicolore sotto braccio e la cuffia da bagno già calata
fino alle orecchie.

Affascinato dalla carrozza d’oro, copia perfetta dell’originale
del 1762, un altro dei doni dell’industriale McCullogh
alla città che aveva fondato nel deserto, ne osservava i particolari
con aria da intenditore.

Poi seguì la famigliola di protestatari che cercavano l’ingresso
lato spiaggia della piscina dotata di un grande tobogan.

Il sole stava tramontando in un tripudio di colori che accendevano
le pareti della case e si riflettevano sulla superficie
del grande lago.

La temperatura stava cominciando a calare
dopo avere raggiunto delle punte insostenibili di calore.

Nel suo tragitto verso la piscina l’ospite si imbatté di nuovo
nella famiglia di supernutriti che avevano deciso di rinunciare
al bagno, visto che bisognava ancora camminare, visto
che il sole ormai stava per sparire dietro le dune del deserto,
visto che i ragazzini avevano fame e visto che quel diavolo di
un Presidente gli aveva rovinato un giorno di vacanza.

Almeno così blaterava la matrona inviperita mentre il marito
cercava di placarla con dei ripetuti “Mary, calmati che
rischiamo di andare in galera”. Ai quali la signora rispondeva
con sonori “Fanculo a te e al tuo Presidente di merda”. I ragazzi
ghignavano soddisfatti.

L’ospite con il pallone, invece, proseguì nel suo cammino
e alla fine entrò nel recinto della piscina. Ormai deserta
se si eccettuava una coppia di giovani sul lato opposto del
tobogan che, complice l’imbrunire, avevano cominciato a
scambiarsi focose effusioni che era facile prevedere come sarebbero
finite.

L’uomo dall’accappatoio bianco e dalla cuffia di gomma
calata fino alle orecchie si diresse invece verso la scala che
conduceva alla torretta da cui partiva il lungo splash nel quale
continuava a riversarsi l’acqua del circuito chiuso.

Arrivato in cima si tolse l’accappatoio (sotto indossava una
tuta nera). Da una borsa trasse un portatile che mise sopra
una piccola panca che correva all’interno della costruzione
di legno.

Tolse la plastica colorata a quello che sembrava un pallone
da football. Separò le due semicupole della custodia e ne trasse
fuori un drone sferico nero.

Verificò il collegamento wi-fi tra il monitor e il drone e il
funzionamento delle due mini telecamere.

A poca distanza dal recinto nord del gruppo di tre piscine,
un furgone di una fabbrica di birre si era fermato. Un addetto
aveva aperto una porta di servizio con la chiave che evidentemente
aveva in dotazione e si era messo a scaricare all’interno
dell’edificio alcune casse.

I servizi di sicurezza ogni tanto dimenticavano
qualcosa. Nessuno si era ricordato di informarli
che c’era qualcuno con la chiave di quella porta.

L’uomo della torretta azionò il motore del drone il cui fruscio
era coperto dalla caduta di acqua del tobogan.

Con un telecomando e seguendo l’operazione sul portatile
diresse il drone sferico verso la porta metallica rimasta aperta,
mentre il giovane si era avvicinato al furgone per caricare su
un carrello altre casse di birra.

Il drone si introdusse frusciando dentro l’edificio del quale
l’ospite in tuta nera conosceva a memoria la pianta in ogni
dettaglio.

mercoledì 10 giugno 2015

Capitoli 37 e 38 del giallo "W.D.C sotto traccia"




“Questa sì che è una bella notizia”, commentò Michael
Bardi indicando al suo amico Tom Genisio la prima pagina
del Las Vegas Sun. “Finalmente lo hanno incastrato quel bastardo!”
Genisio dette un’occhiata distratta al giornale mentre sintonizzava
alcune apparecchiature radar su una frequenza crittata.
“Chi è? Lo conoscevi?”, chiese.
“Altroché: ho dovuto avvicinarlo sotto copertura. Un gran
figlio di puttana, responsabile di una scia di delitti non immaginabile.
Edmundo Gutierrez, per anni protetto dalle autorità
messicane. Capo riconosciuto di uno dei più potenti
cartelli della droga”.
I due agenti si trovavano in un furgone dai vetri oscurati
parcheggiato vicino alla pista del piccolo aeroporto di Lake
Havasu City.
“Anche se aveva alzato il volume dello hi-fi nella sua camera,
i nostri insieme a quelli dello FBI lo hanno ugualmente
ascoltato e registrato con microfoni direzionali super sensibili”.
“Ma la cosa più buffa, è che il colloquio avveniva nella
sua suite al New York-New York Hotel con un altro figuro
italiano, ex massone. E questo l’hanno trovato morto sul suo
letto semi vestito. Il classico attacco cardiaco scatenato dalla
pompa fatta da una fanciulla chiamata Diamond della Companion,
società di escort. ”
“E tu conoscevi pure quello lì?” chiese Tom Genisio che
adesso stava armeggiando con la definizione di uno dei tanti
monitor di cui era pieno il furgone.
“Già proprio così. Un tipo losco che ho incontrato a
Roma. Aveva messo su una sorta di club esclusivo che sembra
conti molto a livello internazionale. Ecco perché era in contatto
con quel Gutierrez. Speriamo solo che i nostri non decidano
di restituire questo farabutto alle autorità messicane. O
che almeno lo facciano dopo averlo spremuto a dovere… ”.
Genisio aveva seguito il racconto di Michael. Ma la sua
attenzione era soprattutto concentrata su uno degli schermi:
“Tra due minuti l’aereo del Presidente atterra… Ha scelto
uno dei nostri: primo, perché la pista è corta e secondo per
non offrire informazioni a qualche figlio di puttana, viaggiando
con gli aerei della White House”.
“A proposito non mi hai detto come è andato il tuo viaggio
in Sicilia. Hai ritrovato il paesello natale dei tuoi nonni?”
chiese Michael.
Al ricordo del viaggio e della gente incontrata in Trinacria,
Genisio sembrò perdere per alcuni secondi il plumbeo
atteggiamento professionale sotto il quale nascondeva i suoi
sentimenti.
“È stato molto bello. E l’accoglienza che mi hanno fatto…!
Come se fossi partito da lì la settimana prima. E invece
a partire erano stati i miei nonni, valigia di fibra, non una
parola d’inglese e tanta voglia di venir fuori dalla miseria
secolare di quella terra. A proposito: me n’ero dimenticato. Ho
qualcosa per te... ”.
Michael guardò con aria sorpresa il collega.
“Prendi, forse ti può servire”.
Consegnò a Michael Bardi un astuccio che Michael aprì
tirando fuori un antico coltello a serramanico in perfette
condizioni.
“Con questo”, disse Tom, “In Sicilia si regolano ancora gli
affari di famiglia. Ma non solo”.
Michael fece pressione sul pulsante e una lunga lama molto
affilata scattò fuori dall’impugnatura.
“Molto bello”, disse, “Ti ringrazio. Certo che i tuoi corregionari
non scherzavano”.
“Non scherzano ancora. Parliamo d’altro: speriamo che
qui vada tutto bene nelle prossime ore. Il Presidente ha deciso
di venire a parlare nella tana del giaguaro. Avrà sicuramente
le sue buone ragioni, chi lo nega?! Però la nostra squadra
deve provvedere alla security insieme alla polizia locale di cui
non mi fido per nulla”.
Michael attivò il suo microfono e dette istruzioni al team
di tenersi pronti perché l’aereo di POTUS (President of the
United States) stava per atterrare.
Il Gulf Stream bianco della CIA toccò dolcemente la pista
di asfalto e si diresse verso un’area dell’aeroporto dove un
gruppo di auto nere lo circondò.
Il Presidente in maniche di camicia e sorridente, seguito
dal ministro per l’informazione e dal direttore dell’Agenzia,
scese la scaletta ed entrò nella sua auto blindata.
La parata di auto blue, compresa l’ambulanza, si avviò verso
Lake Havasu City che distava dieci miglia dall’aeroporto.

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Poche le persone che si avventuravano a osservare il corteo
presidenziale che si muoveva verso il centro di Lake Havasu
City, la città più importante della Mohave County, (Arizona).
La temperatura aveva superato i 120 F (51 gradi C.).
Forse questa era la ragione principale. Ma poi il Presidente
non andava a genio alla maggioranza dei cinquanta mila abitanti
che per il sessanta cinque per cento votavano a destra e
non amavano che alla Casa Bianca ci fosse un liberale.
Il Presidente, visto che non doveva salutare con la mano
i cittadini che non erano usciti di casa, aveva deciso di dare
un’occhiata ai fogli che il solerte segretario gli aveva appena
consegnato:
“Lake Havasu City fondata nel 1963 sui quattordici chilometri
quadrati acquistati dall’imprenditore Robert P. Mc-
Culloch. Un tipo originale che aveva comprato dalla City of
London l’omonimo ponte, pagandolo due milioni e mezzo
di dollari. Era il 1968. Le pietre catalogate e numerate erano
state portate dall’Europa a Lake Havasu City dove il ponte
era stato ricostruito.
Oggi il London Bridge è la seconda attrattiva turistica
dell’Arizona dopo il Grand Canyon”.
“Questo proprio non lo sapevo”, disse tra sé il Presidente.
La motorcade presidenziale attraversò il ponte e si diresse
vero il resort che ne portava il nome. L’ampio parcheggio era
occupato da decine di veicoli delle televisioni locali e nazionali
per i collegamenti satellitari.
Reporters e cameramen erano stati sistemati in un settore
del grande salone dell’albergo nel quale si sarebbe tenuta
la town hall, il consiglio comunale, con la presenza di circa
cento cinquanta invitati, sindaco compreso, che erano stati
sottoposti al body scanner e ad altre indagini prima di essere
autorizzati a sedere nella sala.
I cani della squadra anti esplosivi erano stati sguinzagliati
per decine di minuti a frugare e annusare ogni angolo del
salone, provocando la reazione di giornalisti e tecnici delle
televisioni che non erano particolarmente felici di essere stati
assegnati a quella missione in un posto così infame e con quel
caldo terribile che il sistema di aria condizionata stentava a
combattere man mano che la sala si riempiva di persone e il
parco lampade veniva acceso.
Ma a riscaldare l’atmosfera avevano già contribuito alcune
suffragette del Tea Party locale che avevano concesso interviste
a radio e televisioni accusando il Presidente di sperpero
del denaro pubblico e di avere intenzione di aumentare le
tasse.
Il Presidente fece il suo ingresso scortato da un plotone
di guardie del corpo. Era espansivo e sorridente e prima di
andare al podio si attardò a stringere la mano ai parlamentari
dell’Arizona presenti e a molti dei partecipanti all’assemblea
comunale.
Poi prese posto dietro il podio, staccò il microfono dalla
base e salutate le personalità politiche e i cittadini di Lake
Havasu City cominciò a parlare, senza servirsi del teleprompter,
ma recandosi a pochi metri dalle prime file di sedie.
“I miei predecessori sono stati molto criticati quando, a
cominciare dal 1937, anno della costruzione della diga Parker
che ha dato vita al Lake Havasu, decisero di stravolgere
il deserto creando questo grande bacino artificiale che garantisce
la somministrazione dell’acqua del Colorado all’Arizona
e alla California. Un’opera ciclopica che insieme agli altri
grandi bacini più a nord, il Lake Powell e il Lake Mead ha
modificato la natura, portando ricchezza a queste regioni”.
Mentre il Presidente parlava e si asciugava il cerone che
stava colando, Michael Bardi decise di uscire dalla sala per
accertarsi di persona che le stanze intorno alla gran sala fossero
state bonificate e che i suoi uomini non allentassero la
concentrazione.
“Quegli americani che sono riusciti a realizzare in decenni
diversi queste opere” continuò il Presidente “erano dei visionari.
Guardavano al di là della loro vita politica e dei propri
interessi personali. Agivano invece nell’interesse della nazione
e del popolo americano”.
Un assistente gli porse una bottiglia di acqua depurata dalla
quale l’inquilino della Casa Bianca bevve un lungo sorso.
Anche gli avversari erano costretti a riconoscere che POTUS
aveva il talento di sapere comunicare entrando in sintonia
con le persone.
Una vecchia tecnica adottata dagli attori di teatro che
mentre recitano scrutano le facce degli spettatori che siedono
nelle prime file per vedere dalla loro espressione se riescono a
penetrarli oppure se il sonno li sta conquistando.
Il Presidente si rese conto che l’attenzione era molto alta,
anche se gran parte dell’audience mostrava scetticismo condito
da sorrisi ironici.
“Oggi siamo nella stessa situazione perché si tratta di ribaltare
dal profondo una cultura basata sul petrolio. Più di
cento anni di storia con interessi tremendi coinvolti. Ma bisogna
guardare lontano, avere una visione di lungo periodo.
Il domani per loro, per quei Presidenti, non era la conservazione
dei cactus del deserto, ma la distribuzione dell’acqua
a milioni di persone. Così pensarono e agirono i Presidenti
che mi hanno preceduto e gli uomini che hanno lavorato al
loro fianco per raggiungere questi risultati.
Il domani dei nostri figli e nipoti non è la conservazione
di una società industriale basata sull’uso di energie non rinnovabili
come i fossili destinate a esaurirsi, ma sullo sviluppo
di quelle alternative.
Arrivando qui dall’aeroporto ho visto tanti impianti di
pannelli solari installati sulle abitazioni e gli edifici pubblici.
Questi pannelli fotovoltaici sono la chiara dimostrazione di
dove deve andare il mondo a cominciare dall’America.
Questo sole che ci arrostisce è la chiave di volta per costruire
una nuova società che tragga proprio dall’astro la maggior
parte dell’energia di cui ha bisogno.
Dobbiamo limitare la nostra dipendenza energetica dai
paesi che detengono ancora i bacini petroliferi e che ci vogliono
strangolare. Dobbiamo ridurre in misura drastica
l’inquinamento che sta cambiando il sistema meteorologico
globale.
Dobbiamo intensificare i nostri sforzi per dare all’America
il primato nella tecnologia verde.
In pochi decenni la nostra Nazione ha conquistato il primato
nell’astronautica dopo lo shock dei successi sovietici.
Gli Stati Uniti hanno rivoluzionato il mondo con Internet e
la creazione di siti sociali che hanno cambiato la nostra vita
quotidiana e sono stati la scintilla che è riuscita a scatenare e
coordinare i movimenti di rinascita di tante popolazioni del
Medio Oriente che volevano affrancarsi dal giogo delle dittature
che le avevano dominate per lunghi periodi. Se vogliamo
e quando lo vogliamo noi Americani siamo in grado di dare
nuovi contenuti allo sviluppo dell’umanità”.
Un applauso di cortesia commentò l’intervento di apertura
del Presidente. Adesso la parola passava ai partecipanti.
Quelli che avrebbero parlato erano stati sottoposti prima della
riunione, a una selezione accurata.
Avevano dovuto indicare il contenuto della loro domanda.
Se qualcuno si proponeva di svicolare, magari introducendo
le offese plateali di cui il Presidente era fatto oggetto nelle
riunioni e comizi degli attivisti di estrema destra, ci sarebbero
state conseguenze di carattere penale.
Il Presidente era lì per ascoltare l’America in presa diretta.
“Signor Presidente”, disse la prima esponente del Tea Party
locale aggrappata al microfono che le avevano porto, “Con
tutto il dovuto rispetto lei è venuto a ripeterci qui, a migliaia
di miglia dalla Casa Bianca, tutte quelle cose che fanno parte
da tempo del suo show. Lei propone di guardare a quello che
hanno fatto i suoi predecessori negli anni passati. Siamo tutti
convinti che si sia trattato di uno sforzo immane fatto da persone
che sapevano dove volevano andare perché il loro obiettivo
era quello di assicurare nel futuro anche lontano acqua
a milioni di cittadini che avrebbero potuto morire di sete”.
Il Presidente ascoltava attento. Il suo sorriso si stava stemperando
in una espressione di insofferenza. La mano destra
lasciava una impronta di sudore sul radio microfono che
stringeva.
La suffragetta sempre più infervorata andava avanti nel
suo comizio.
“Oggi viene a dirci che bisogna rivedere la nostra cultura
del petrolio per sostituirla con quella delle energie alternative.
Ma nel frattempo che facciamo noi? Smantelliamo le reti
di rifornimento e le sostituiamo con cosa? Cancelliamo le
centrali a carbone e quelle nucleari e le sostituiamo con cosa?
Lei sa bene che la tecnologia delle fonti alternative è ancora
allo stato embrionale… dove sono i posti di lavoro che lei ha
promesso in tutti questi anni… ?”.
Il microfono della donna ammutolì e un assistente si precipitò
a toglierlo dalle sue mani nonostante protestasse che lì
si usavano delle misure antidemocratiche perché si toglieva
ai cittadini la possibilità di manifestare il proprio pensiero e
dissenso.
Il Presidente recuperò il suo sorriso da ottimo attore. E
rivolgendosi alla donna che aveva parlato le disse:
“Lei ha perfettamente ragione nel ricordarmi che da tempo
vado sostenendo le stesse cose. Ovvero la necessità di voltare
pagina e pensare seriamente al futuro dei nostri figli e
dei nostri nipoti. Ma il mestiere di un politico che abbia a
cuore gli interessi della gente che lo ha eletto, non è quello di
pensare al suo particolare.
Come vostro Presidente da tempo ho buttato il mio cuore
e tutte le mie energie in questa crociata che deve aprire gli
occhi al popolo americano, facendo capire che se non si prendono
le giuste decisioni oggi, il nostro domani sarà all’insegna
del disastro e della subalternità da altri che possono
dominarci usando il rubinetto dei loro pozzi… ”.
Il Presidente continuò a esporre il suo programma scendendo
nei dettagli e cercando di dimostrare che le nuove tecnologie
già stavano garantendo un recupero della disoccupazione
che dalla prima pesante recessione del 2008 continuava
a penalizzare l’economia americana.