mercoledì 17 giugno 2015

Capitolo 39 del giallo "W.D.C sotto traccia"

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Gli ospiti del London Bridge Resort erano disorientati.
La presenza di diecine di agenti della CIA e FBI in borghese,
unitamente a quelli della polizia locale, le troupes
televisive che avevano innondato i corridoi e la lobby con cavi
di ogni spessore, i controlli ultraseveri posti a ogni angolo
del grande albergo avevano creato un’atmosfera da giudizio
universale.

Molte famiglie di turisti americani che erano venuti a passare
qualche giorno di relax sulle acque del Lake Havasu non
sapevano come destreggiarsi in mezzo a tanta animazione e
controlli.

“Io devo andare in piscina coi miei figli”, si mise a urlare
nell’atrio una signora di oltre cento chili sostenuta dal marito
di analoga stazza e al fianco il maschietto e la femminuccia
che erano ormai avviati sulle orme dei genitori, quanto
a peso.

La signora che protestava era avvolta, si fa per dire, in un
ampio caftano e portava su un braccio alcuni asciugamani
mentre il marito che taceva era oppresso da un carico di giocattoli
di gomma gonfiabili.

Una impiegata del check-in lasciò il bancone e si precipitò
verso la donna.

“Signora, siamo spiacenti degli inconvenienti. Ma abbiamo
qui il Presidente degli Stati Uniti… e… ”.

“Ma chi se ne importa del Presidente? Lui le vacanze le ha
già fatte. Eppoi io non lo voto nemmeno… ”.

“Signora”, insisteva l’impiegata “Basta che lei e la sua famiglia
seguiate un percorso diverso da quello abituale perché,
come ha visto, il corridoio che conduce al salone è per il
momento bloccato dalla sicurezza. La visita del Presidente
riteniamo che debba terminare tra un’ora. Dopodiché tutto
tornerà tranquillo. Ma, al momento le consiglio di uscire da
quella porta secondaria entrando nella piscina principale dal
lato della spiaggia sul lago”.

La famiglia di obesi si fece convincere e lasciò l’atrio
dell’albergo senza degnare di uno sguardo la riproduzione
del The Gold Stage Coach, la carrozza da cerimonia della Regina
d’Inghilterra con pitture laterali dell’italiano Giovanni
Cipriani di Firenze.

Al contrario di un altro ospite che indossava un accappatoio,
calzava infradito di gomma, un grosso pallone di plastica
multicolore sotto braccio e la cuffia da bagno già calata
fino alle orecchie.

Affascinato dalla carrozza d’oro, copia perfetta dell’originale
del 1762, un altro dei doni dell’industriale McCullogh
alla città che aveva fondato nel deserto, ne osservava i particolari
con aria da intenditore.

Poi seguì la famigliola di protestatari che cercavano l’ingresso
lato spiaggia della piscina dotata di un grande tobogan.

Il sole stava tramontando in un tripudio di colori che accendevano
le pareti della case e si riflettevano sulla superficie
del grande lago.

La temperatura stava cominciando a calare
dopo avere raggiunto delle punte insostenibili di calore.

Nel suo tragitto verso la piscina l’ospite si imbatté di nuovo
nella famiglia di supernutriti che avevano deciso di rinunciare
al bagno, visto che bisognava ancora camminare, visto
che il sole ormai stava per sparire dietro le dune del deserto,
visto che i ragazzini avevano fame e visto che quel diavolo di
un Presidente gli aveva rovinato un giorno di vacanza.

Almeno così blaterava la matrona inviperita mentre il marito
cercava di placarla con dei ripetuti “Mary, calmati che
rischiamo di andare in galera”. Ai quali la signora rispondeva
con sonori “Fanculo a te e al tuo Presidente di merda”. I ragazzi
ghignavano soddisfatti.

L’ospite con il pallone, invece, proseguì nel suo cammino
e alla fine entrò nel recinto della piscina. Ormai deserta
se si eccettuava una coppia di giovani sul lato opposto del
tobogan che, complice l’imbrunire, avevano cominciato a
scambiarsi focose effusioni che era facile prevedere come sarebbero
finite.

L’uomo dall’accappatoio bianco e dalla cuffia di gomma
calata fino alle orecchie si diresse invece verso la scala che
conduceva alla torretta da cui partiva il lungo splash nel quale
continuava a riversarsi l’acqua del circuito chiuso.

Arrivato in cima si tolse l’accappatoio (sotto indossava una
tuta nera). Da una borsa trasse un portatile che mise sopra
una piccola panca che correva all’interno della costruzione
di legno.

Tolse la plastica colorata a quello che sembrava un pallone
da football. Separò le due semicupole della custodia e ne trasse
fuori un drone sferico nero.

Verificò il collegamento wi-fi tra il monitor e il drone e il
funzionamento delle due mini telecamere.

A poca distanza dal recinto nord del gruppo di tre piscine,
un furgone di una fabbrica di birre si era fermato. Un addetto
aveva aperto una porta di servizio con la chiave che evidentemente
aveva in dotazione e si era messo a scaricare all’interno
dell’edificio alcune casse.

I servizi di sicurezza ogni tanto dimenticavano
qualcosa. Nessuno si era ricordato di informarli
che c’era qualcuno con la chiave di quella porta.

L’uomo della torretta azionò il motore del drone il cui fruscio
era coperto dalla caduta di acqua del tobogan.

Con un telecomando e seguendo l’operazione sul portatile
diresse il drone sferico verso la porta metallica rimasta aperta,
mentre il giovane si era avvicinato al furgone per caricare su
un carrello altre casse di birra.

Il drone si introdusse frusciando dentro l’edificio del quale
l’ospite in tuta nera conosceva a memoria la pianta in ogni
dettaglio.

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