giovedì 4 giugno 2015

Capitolo 36 del Giallo "W.D.C sotto traccia"

 

Il Gulfstream 450 atterrò al McCarran International Airport
alle 18:30 ora di Las Vegas e del Nevada.
Si diresse vero l’area dell’aviazione civile. Una limousine
nera stava attendendo il viaggiatore che scese dalla scaletta
dell’aereo accompagnato dalla bionda hostess che sollevava
un piccolo carry-on.

Nonostante il caldo atroce che lo accolse nel breve tragitto
sino alla macchina, Cardoni indossava un completo scuro
con cravatta gialla fantasia.

L’auto uscita dal recinto dell’aeroporto percorse poco più
di un miglio sulla Tropicana Avenue e dopo una svolta a sinistra
entrò nell’East Tropic del New York-New York Hotel.

Dopo la coda al ricevimento, in mezzo a gruppi di turisti
in calzoni corti venuti a Vegas per il fine settimana e dopo
essersi fatto assegnare la suite, Cardoni sali nel suo appartamento
al dodicesimo piano della Torre.

Una volta entrato compose sul telefono interno lo zero e
chiese all’operatore di metterlo in contatto con Mr. Gutierrez.
232

Il telefono squillò nella camera dell’onorevole per cinque
volte.

“Hello?”, rispose con voce strana Gutierrez. “Chi è?”.

“Sono io, appena arrivato da Washington... ”.

“Ehm... sono un po’ occupato. Sarò pronto tra un quarto
d’ora. Il numero della suite è 214, ascensore B”.

Cardoni si mise in poltrona a seguire su CNN le ultime
notizie. Si versò un bicchiere di San Pellegrino fredda da una
bottiglia appoggiata in un secchiello di ghiaccio insieme a
una piccola di champagne.

Erano trascorsi venti minuti e Cardoni uscì dalla suite si
diresse all’ascensore insieme a un paio di coppie che già amoreggiavano
prima di arrivare a destinazione.

Individuata la porta con il numero 214 Cardoni suonò il
campanello. La porta si aprì automaticamente.

Ma Cardoni dové farsi da parte prima di entrare perchè
dalla camera stava uscendo una incantevole creautura creola,
arrampicata su tacchi altissimi e inguainata in una mini superaderente
dai colori di Emilio Pucci.

“Vieni avanti, caro Cardoni”, disse l’onorevole Gutierrez,
camicia bianca di lino sbottonata sin quasi alla vita. Petto
villoso incanutito e pantaloni neri di seta.
Ovviamente mocassini indossati a nudo, cosa che urtava
terribilmente la seriosa compostezza di Cardoni.

Gutierrez si alzò dalla poltrona e abbracciò formalmente
l’amico che prese posto nella poltrona di fronte alla sua.

Nel mezzo un tavolo con un vassoio di liquori e secchiello di
champagne Veuve Clicquot.

“Tu non bevi alcoolici, vero?”, disse sorridendo Gutierrez.
“Io invece mi faccio un po’ di bollicine”.

Si versò un flute di champagne.

“Hai visto che schianto quella ragazza che è uscita poco
fa?” continuò. “Il bello di questa nazione è che tutto si compra
e tutto si può affittare. L’importante è avere i soldi per
pagarsi il meglio. E questa signorina mi ha rimesso a posto
per un migliaio di dollari. Ne valeva la pena”.

Cardoni nel corso della sua lunga esperienza di massone
prima e di responsabile del Rock dopo, aveva imparato a
convivere con le persone più disgustose che in genere erano
quelle che bisognava frequentare. Perché avevano il potere.

Ma ogni volta che si incontrava con questo onorevole
messicano sentiva una sorta di allergia montargli dentro lo
stomaco. Di lui tutto lo infastidiva: il body language, la sfrontatezza
del linguaggio, l’arroganza del denaro profuso a palate
per tacitare i suoi vizi e quelli delle persone a lui vicine.

Ma c’era un aspetto della personalità di Gutierrez che lo
interessava riuscendo a compensare i difetti di comportamento.
Ed era la capacità di vedere lontano in maniera semplificata,
disegnare scenari che solo una persona dotata di
‘visione’ era in grado di fare.

“Che ci facevi a Washington?” chiese l’onorevole.

“Dovevo vedere degli amici che lavorano in alcuni dipartimenti
dell’amministrazione”.

“Bene: io sono arrivato questa mattina da Acapulco. Due
giorni fa ho fatto quella visita in Colombia di cui ti avevo
accennato”.

Edmundo Gutierrez si alzò e si diresse verso il mobile che
ospitava il lettore blu-ray dei DVD e l’impianto stereo. Armeggiò
sul sintonizzatore radio, scegliendo un canale di musica
cubana e alzò il volume al massimo.

“Vieni vicino a me” disse a Cardoni, “Così possiamo parlare.
E se c’è qualche cimice inserita da qualche parte non
potranno sentirci”.

“La situazione sta precipitando: tutti contro tutti”, disse
Cardoni lisciandosi l’ampia barba. “Gli arabi hanno deciso
di intensificare gli attacchi questa volta assumendosene la paternità
in pieno e non facendosela attribuire dalla mafia russa
come nel caso di Roma. Se jihad deve essere che lo sia”.

Edmundo Gutierrez ascoltava osservando attentamente il
volto del suo interlocutore. Che tipo questo Cardoni. Così
pieno di sé e pomposo. Uno convinto di essere l’ombelico del
mondo, mentre anche lui era una pedina, sia pure di riguardo
nelle mani di altri burattinai.

E dire che Cardoni era convinto lui di essere il puppetier,
il burattinaio. Il suo inglese italianizzato talvolta gli suscitava
un po’ di ilarità. Ma Gutierrez cercava di non farla trasparire.
Del resto Cardoni era molto utile per i rapporti di business
che avevano intrecciato da tempo tra i due gruppi di cui loro
erano i rappresentanti. L’importante era fare soldi, tanti e in
breve tempo.

“Il colpo di teatro più grosso”, continuò Cardoni, “deve
essere l’assassinio del Presidente che ormai sta convincendo
il mondo occidentale a puntare tutte le risorse sulle energie
alternative, anziché sul petrolio”.

“Hai visto cosa hanno deciso i giapponesi?”, chiese Gutierrez,

“Dei cinquanta quattro reattori presenti in Giappone
ne sono rimasti solo quindici funzionanti, dopo Fukushima.
Anche gli undici impianti per i quali è stato terminato l’iter
dei controlli non saranno avviati fino a ulteriori stress test.
Intanto sta prendendo piede il 'setsuden', il risparmio di elettricità,
e i giapponesi si rendono conto dell’importanza di
adottare stili di vita sostenibili”.
“In questa situazione che facciamo? Restiamo a guardare?”.

La domanda raggiunse Gutierrez come un cazzotto al
plesso solare. Perché tradotta dal vocabolario diplomatico
significava: “Facile criticare e riferire di scenari che tutti conosciamo.
Ma quali progetti concreti per il futuro?”.

Gutierrez in altri momenti si sarebbe incazzato e avrebbe
risposto per le rime a quell’italiano insopportabile. Ma il trattamento
di mille dollari per un’ora fattogli da quella superba
creola gli aveva dato serenità unita a un piacevole senso di
spossatezza.

“Io non resto a guardare”, rispose servendosi ancora un
bicchiere della vedova francese. “Gli scenari sui quali sui quali
ti stai soffermando non sono il ‘dopo’ che invece è diverso
e si sta preparando anche se molti fanno finta di non vederlo.

Oppure non sono attrezzati intellettualmente per anticiparlo”.
La risposta molto sibillina lasciò visibilmente interdetto
l’anziano barbuto personaggio. Che rivolse a Gutierrez
un’occhiata interrogativa.

“Ti avevo accennato che avrei fatto un sopralluogo in
Colombia. Là non stanno pettinando le bambole, pensando
solo a cosa faranno gli arabi. Là agiscono e preparano il futuro
in fretta. E fanno quattrini e ce ne fanno fare. Sempre di
più. Ma lo scenario non si esaurisce con il Sud America che
risponde bene alla domanda di cocaina del mercato statunitense...”.

“Quale sarebbe questo ulteriore, interessante scenario?”, la
domanda di Cardoni grondava ironia mal trattenuta.

Gutierrez sarà stato un poco di buono, ma non era stupido,
non raccolse e andò avanti a delineare uno scenario i cui
contorni erano per lui definiti da tempo.

“Con l’uscita degli americani dall’Afghanistan i mercati
sono inondati di droga a basso prezzo. La domanda cresce
così come crescono i prezzi perché il trasporto e la vendita al
dettaglio sono diventati sempre più costosi e rischiosi.
Il domani, caro prof. Cardoni, è la droga. Arabi, il presidente
degli USA, la Jihad sono tutte balle. Il domani è la
droga, ma non quella tradizionale. Il domani è delle droghe
sintetiche. Marijuana e cocaina sintetiche oggi sono considerate
inferiori rispetto a quelle ‘naturali’.

Ma hanno lo stesso potere e il numero crescente di persone
che si rivolgono alle strutture ospedaliere perché intossicate
da droghe sintetiche è la più chiara conferma che il futuro
è quello delle droghe chimiche”.

Cardoni, mentre Gutierrez faceva la sua esposizione, aveva
adocchiato un biglietto da visita vicino al carrello dei liquori.

“Basta pensare al boom dei ‘bath salts’, per i quali la richiesta
del mercato americano è in continua espansione. Al
punto che la Drug Enforcemaint Administration, ha stabilito
di mettere fuori legge cinque sostanze che vengono usate
per la preparazione di questa droga. Insomma, Cardoni: hai
presente la birra?”.

Cardoni era stato colto di sorpresa: “Che c’entra la birra
con le droghe, scusa... ?”.

“C’entra eccome. La birra viene prodotta da laboratori che
sono sparsi in una rete che accontenta immediatamente la
domanda locale. Ci sono le eccezioni di marche straniere. Ma
il grosso del consumo riguarda etichette che hanno creato
una serie di stabilimenti regionali che offrono un prodotto
fresco e di buon livello qualitativo.
Lo stesso sta avvenendo per le droghe sintetiche. Laboratori
locali, a portata di mano e di consumatore, stanno sorgendo
dappertutto. Si tratta adesso di controllarli e coordinarli
con strutture centralizzate.
Con questo non ti voglio dire che la cocaina dalla Colombia,
via Messico, smetterà di arrivare. Ma certo in quantità
minore rispetto alla situazione odierna. Ecco perché i cartelli
stanno già organizzandosi per controllare le migliaia di laboratori
del sintetico sparsi in tutta la Federazione”.

Cardoni aveva ascoltato con attenzione l’onorevole Gutierrez.
“Riparliamone domani”, disse. “Adesso mi sta venendo il
jetlag e ho bisogno di riposare”.

Salutò Gutierrez che si era avviato ad aprirgli la porta e
uscì.

Entrato nella sua suite tirò fuori dalla tasca il biglietto da
visita che aveva preso dal tavolo dei liquori nella camera di
Gutierrez, sul quale spiccava la parola ‘Companions’, il numero
di telefono e il web.

Aperto il suo portatile andò sul sito e cliccò su Ebony, tralasciando
Asian, Blonde e Brunette. Nella lista che gli apparve
sul piccolo schermo scelse Diamond. Sì, era proprio lei la
escort che aveva incrociato entrando nella suite di Gutierrez.

Compose il numero di telefono. La ragazza era disponibile
e sarebbe arrivata entro un quarto d’ora. Il pagamento doveva
essere effettuato con carta di credito o cash direttamente
alla escort.

Suonò il campanello della suite.

Cardoni andò ad aprire, molto emozionato perché non era
abituato a queste avventure di viaggio. Ma quella ragazza vista
per pochi secondi gli era entrata nel sangue e nella mente.

Diamond sorrise e dopo avere messo nella borsetta i dieci
biglietti da cento che l’anziano cliente aveva preparato sul tavolo,
chiese con aria professionale se lui aveva delle richieste
particolari.

“No”, balbettò l’inesperto cliente.

Diamond cominciò a spogliarsi lentamente. Una volta
nuda si avvicinò a Cardoni e lo liberò della camicia e cravatta.
Poi fu la volta dei pantaloni. Sorrise nel vedere che il
Cardoni portava lunghi boxer e le giarrettiere che reggevano
i calzini.

Cardoni aveva chiuso gli occhi disteso sul lettone della camera
e lasciava che Diamond lo lavorasse con grande tecnica
professionale.

Erano anni che non si concedeva ai piaceri del sesso. Un
sesso come quello, vissuto all’insegna della massima libertà
insieme a un corpo giovane e bellissimo il cui contatto lo
rigenerava, gli infondeva energia.

Diamond si impegnava da qualche minuto per avere un
minimo di risposta da quel pene avvizzito.

Finalmente il suo blow job trovò il felice epilogo. Cardoni
s’irrigidì in un lungo orgasmo, un piacere che aveva dimenticato
potesse esistere.

La sua rigidità si prolungò a causa dell’infarto fulminante
che lo colse. La cosiddetta ‘dolce morte’.

Diamond resasi conto di quello che era successo, si rivestì
in fretta pronunciando una sequela di ‘cazzo’ e uscì dalla
suite.

Quello era il secondo caso che le capitava in un mese. Ma
che cazzo di mestiere era il suo?! La direzione dell’albergo
con migliaia di camere avrebbe risolto con discrezione questo
ennesimo incidente attribuendo la causa dell’infarto all’affaticamento
e allo stress.

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