mercoledì 25 febbraio 2015

W.D.C sotto traccia - Capitolo 22

La Mustang proveniente da Chain Bridge imboccò la 123,
una delle strade più importanti della Virginia. Dopo un paio
di miglia si fermò al semaforo. Sulla destra la strada di ingresso
alla Central Intelligence Agency, CIA.
Proprio a quel semaforo il 25 gennaio del 1993 un pakistano
di nome Mir Amal Kasi entrato di straforo negli Stati
Uniti, munito di carta verde illegale, fermò il suo furgone
sulla sinistra del traffic light.
Scese impugnando un mitragliatore e cominciò a fare fuoco
sui passeggeri maschi delle auto che si erano fermate al
rosso. Le donne erano state risparmiate perchè la religione
islamica vieta che si faccia del male a una donna.
Sotto i colpi del AK-47 ci rimisero la pelle due funzionari
della CIA che si stavano recando al lavoro e tre persone rimasero
ferite in modo grave.
Mir Amal Kasi era risalito sul furgone, e aveva guidato
sino a un MacDonald dove si era fermato per consumare
un hamburger con patate. Poi si era recato in un motel dove
aveva preso una camera e il giorno dopo era ripartito per il
Pakistan. Nessuno era riuscito a identificare l’attentatore e
all’incrocio non erano installate telecamere.
Agenti della CIA e dello FBI furono sguinzagliati in tutto
il mondo alla ricerca di informazioni e tracce che potessero
condurre alla cattura del criminale che aveva portato a temine
il primo attentato terroristico in terra Americana.
Mir Amal Kasi venne catturato quattro anni dopo in Pakistan
da agenti dello FBI (ulteriore scorno per la CIA), riportato
in America e condannato a morte. La sentenza fu
eseguita con un’iniezione letale nel 2002.
Ogni volta che arrivava a quel semaforo l’agente x12 non
poteva fare a meno di pensare a quella triste pagina della storia
della CIA.
Imboccò la strada d’ingresso del quartiere generale dell’Agenzia
di controspionaggio internazionale.
Al varco si sottopose all’accurato esame da parte dei marines
che con specchi visionarono il fondo della sua auto. Poi
fu la volta del bagagliaio, verifica elettronica del suo badge per
accertare che non fosse una contraffazione.
Terminato l’esame il sergente marine salutò: “Le auguro
buona giornata!”
“Come no?” disse a mezza voce l’agente x12. “Adesso arriva
il bello... ”.
La funzionaria al controllo di sicurezza diresse il raggio di
una sorta di penna contro l’occhio destro dell’agente x12 per
l’esame della retina. Verificato sul suo terminale portatile che
i dati rilevati corrispondevano alla persona, disse, leggendo il
monitor, che l’incontro si sarebbe tenuto al secondo piano,
sala conferenze numero cinque.
La stanza non era molto grande, occupata quasi per intero
da un tavolo con attorno dodici sedie. Sulla parete di fondo
alcuni grandi schermi sopra i quali una serie di orologi davano
il tempo reale nei vari scacchieri dove operava l’Agenzia.
Già molte sedie erano occupate da altri funzionari e agenti.
Con quelli che conosceva l’agente x12 scambiò un sorriso
e un cenno della testa.
Alle dieci in punto si aprì la porta e fece il suo ingresso il
direttore del dipartimento di Intelligence, accompagnato dal
suo vice e da un paio di giovani che dovevano essere molto
efficienti, pensò l’agente x12, per avere scalato così in fretta i
vertici della piramide dell’Agenzia.
Il direttore era un tipo segaligno di età indefinita, ma certamente
vicino ai sessanta. Di una magrezza estrema, aveva
una voce tagliente e priva di colore.
Nella sua carriera doveva averne viste di tutti i colori.
“Le bombe di Roma attribuite ad Al Qaeda sono una bufala
organizzata dalla mafia Russia con la collaborazione di
quella italiana. Lo scopo è quello di recare un danno di immagine
ai paesi arabi e in particolare all’Arabia Saudita. Purtroppo
quegli episodi hanno messo in movimento un effetto
domino destinato a ripercuotersi anche sulla nostra sicurezza.
Risulta per certo che nel mirino ci sia questa volta il nostro
Presidente. Vuoi perchè si sono compattati gli interessi
dei paesi produttori di greggio aderenti all’OPEC, sia perché,
come ben sapete, viene visto con crescente imbarazzo il suo
impegno a favore delle energie rinnovabili e alternative e delle
tecnologie che sono a queste connesse.
Mai come in questo momento alla nostra Agenzia è richiesto
uno sforzo oltre ogni limite per salvaguardare la sicurezza
del Paese a cominciare da quella del Presidente degli Stati
Uniti.
Questa è la nostra missione e chiedo a ognuno di voi di
operare con il massimo della capacità psico-fisica, coordinando
e motivando il lavoro dei collaboratori e dei confidenti
nei vari settori.
Dovrete mettervi a rapporto singolarmente con me. Pertanto
vi invito sin da ora a preparare ogni documentazione
che possa ritenersi utile al riguardo”.
Le persone che avevano partecipato alla riunione si alzarono
e cominciarono a uscire dalla stanza.
Il direttore restò invece seduto a esaminare alcuni fascicoli
che venivano posti alla sua attenzione dai solerti giovani assistenti.
Per ultimo si alzò l’agente x12 dopo avere consultato il suo
cellulare.
“Rimanga un momento” disse il direttore. “Vedo che si
è fatto cogliere come un tordo”, continuò accennando alla
ingessatura che gli bloccava la spalla sinistra.
“Si è trattato di una storia che ci ha messo tutti in grande
difficoltà, anche se per fortuna non è venuta fuori la sua
appartenenza alla Agenzia. Meno si parla di noi è meglio è.
Abbiamo lavorato a dovere i media e non è uscito niente di
rilevante se non una ‘minima’ sulla cronaca di Alexandria.
Adesso però non sappiamo cosa fare di lei”.
L’agente x12, al secolo Michael Bardi, ascoltava in piedi
l’attacco frontale del suo direttore mentre dietro le sue spalle
i due assistenti sorridevano compiaciuti che finalmente quello
scassacazzi dello x12 fosse ridimensionato.
“Posso parlare, Signore?” chiese Michael.
“Ne ha facoltà”. Rispose asciutto il direttore.
“Con il dovuto rispetto, le chiedo di continuare ad avere
fiducia in me e nelle operazioni coperte che sto conducendo.
La persona che mi ha sparato è sicuramente l’autore di
altri omicidi che si sono verificati negli ultimi mesi nell’area
della Greater Washington. Non un cane sciolto ma un killer
professionista che agisce per conto e a favore di entità superstatuali
che tra gli obiettivi hanno anche quello, come lei ha
accennato, di uccidere il nostro Presidente. Quanto alla mia
vita privata, Signore... in pratica non ho vita privata. I miei
contatti di qualsiasi tipo, insisto nel dire ‘di qualsiasi tipo’,
sono solo orientati al successo della missione”.
“L’autorizzo ad andare avanti per il momento. Voglio da
lei un rapporto settimanale che mi invierà con le consuete
modalità di sicurezza. Ma cerchi di essere più attento per
quanto riguarda il contesto della sua vita privata. Mi riferisco
a un suo recente viaggio a Acapulco. Può andare”.
Michael Bardi uscì dal nuovo building della CIA. Gli giravano
le palle fuor di misura, ma una serie di profonde inspirazioni
ristabilì un normale ritmo cardiaco.
Prima di salire sulla Mustang che aveva preso a noleggio
si soffermò nel memorial dedicato dalla CIA alle due vittime
dell’attentato di tanti anni prima al semaforo della 123.

giovedì 5 febbraio 2015

W.D.C sotto traccia - capitolo 21

Abu Dhabi, Emirates Palace Hotel. Royal Khaleej Suite,
televisori da sessantuno pollici LCD in ogni stanza, marmi
con intarsi di foglie d’oro, lusso imperiale, servizio maggiordomo
ventiquattro ore a disposizione.
Seduti sui divani extra larghi due occidentali e un principe
arabo. Tutti sorseggiavano un whisky di malto superinvecchiato.
Anche il principe.
“Comodo questo albergo” disse Cardoni vestito con un
abito di lino blue notte, camicia anch’essa di lino, cravatta a
piccoli pois. “In mezz’ora arrivi dall’aeroporto e non sei costretto
a incontrare le solite carovane di attori, tennisti, piloti
di formula uno e bellezze varie a disposizione dietro prenotazione”.
“Mah, rispetto la tua opinione”, disse Edmundo Gutierrez
camicia multicolore, su pantaloni avana e mocassini senza
calzini. “Però a me fa sempre piacere essere circondato da
fanciulle supercarrozzate anche se con tariffe molto alte. Tanto
si vive una volta sola”.
Il principe sorrise, continuando a sorbire il whisky.
Cardoni ignorò il messicano e riprese a parlare:
“Questi attentanti a Roma hanno cambiato il corso della
storia, molto di più di quanto non abbiano fatto quelli
dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle e al Pentagono.
Si voleva colpire il cuore della cristianità e causare una deflagrazione
mondiale con uno scontro tra religioni e culture.
A giudicare da quello che sta succedendo in tutto il mondo
occidentale chi sta dietro questi episodi di Roma sapeva bene
quello che voleva ottenere. Ogni gorno decine e centinaia
di musulmani trucidati in spedizioni punitive che stanno
portando al calor bianco la situazione internazionale. Tutto
questo succede spontaneamente nonostante gli appelli delle
autorità alla convivenza pacifica. E nonostante l’intervento
del Papa che ha invitato a più riprese a non fare di tutta l’erba
un fascio colpendo gli innocenti”.
Il Principe arabo sospirò e si versò una robusta dose di
liquore, proibita dal Corano.
“Ma chi ci dice che le cose stiano come vogliono farle sembrare?”,
Edmundo Gutierrez intervenne a gamba tesa in una
pausa respiratoria dell’ex gran maestro Cardoni che lo fissò
con aria interrogativa.
Gutierrez continuò:
“Cerchiamo di essere pratici. Tutti sappiamo che Al Qaeda
all’inizio stava per diffondere un comunicato stampa in cui
negava di avere organizzato gli attentati di Roma. I nostri informatori
hanno inviato rapporti coincidenti da varie parti.
Poi quelli di Al Qaeda hanno deciso di assumere la paternità
della storia, anche se quell’operazione di alta macelleria non
è stata fatta da qualche sfigato, drogato e imbottito di esplosivo.
Qui siamo di fronte a dei super professionisti che possono
contare su connivenze a livello locale. Introdurre mine
anticarro nella metropolitana di Roma o sotto il colonnato
del Bernini è lavoro di squadra e non di singoli. Con tutto
il rispetto, caro Principe, per i giovani musulmani che si immolano”.
“E allora a quale conclusione arrivi?” domandò Cardoni
con il tono di chi non gradisce di essere interrotto nel proprio
ragionamento.
“L’ipotesi più probabile è che sia stata la mafia russa che
si è servita di qualche scheggia della criminalità organizzata
italiana alla ricerca di uno spazio di autonomia tra mafia siciliana,
camorra, drangheta e sacra corona unita. Del resto gli
ultimi decenni della vita italiana sono stati caratterizzati da
attentati condotti con grande capacità tecnica da veri professionisti.
Basta pensare a quelli che hanno ucciso i giudici
Falcone e Borsellino”.
Edmundo Gutierrez di cose italiane se ne intendeva.
Cardoni riprese la parola:
“Resta sempre il ‘cui prodest’, a chi giova in ultima analisi...”.
“È una situzione singolare in cui gli interessi divergenti
di due realtà come Russia e Stati Uniti coincidono almeno
a livello di obiettivi. Per gli Stati Uniti è importante diminuire
in maniera drastica l’approvvigionamento di petrolio
dall’Arabia Saudita. Ed è altrettanto decisivo soffiare sul fuoco
dello scontro millenario tra sunniti e sciiti sino ad arrivare
all’interno del mondo arabo a un regolamento di conti
con l’Iran che, grazie alla eliminazione di Sadam Hussein,
ha esteso la sua influenza sul vicino Irak divenuto sciita. Per
ridurre i consumi di greggio bisogna investire risorse nelle
tecnologie rinnovabili. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda
di quanto fece Kennedy per contrastare lo sviluppo astronautico
dell’Unione Sovietica”.
Edmundo Gutierrez si accese un sigaro Avana, anche se il
fumo dava noia a Cardoni e continuò con enfasi.
“Lo scopo della mafia russa è quello di minare la compattezza
dei produttori di greggio, eliminando gli arabi e in
secondo tempo il Venezuela. La Russia oggi gode di una egemonia
energetica che condiziona tutta l’Europa. Tanto per
fare un esempio, provate a pensare a cosa succederebbe all’Italia
se la Russia chiudesse i rubinetti dei gasdotti”.
Il principe assentì versandosi il terzo bicchiere di whisky.
Edmundo Gutierrez da politico navigato si rendeva conto
che i suoi argomenti stavano penetrando gli altri due ospiti.
“Caro Principe, disse, gli attentati di Roma hanno compattato
l’odio contro l’Islam. Un odio che supera i confini, le
barriere e differenze culturali dei diversi paesi minacciati da
anni dalla guerra del terrorismo d’esportazione. L’odio contro
gli arabi e il loro petrolio è uno stimolante per i verdi. Un
numero sempre maggiore di nazioni si sta riconvertendo alle
energie verdi rinnovabili”.
Il Principe posò il bicchiere semivuoto su un tavolo al lato
del divano e disse:
“È vero: chi ci rimette più di tutti a causa di questa situazione
di caos è l’Arabia Saudita. Per quanto concerne i
nostri problemi con l’Irak e Teheran, non dubitate che siamo
e saremo in grado di gestirli all’occorrenza anche in maniera
definitiva. Non occorre scendere nei dettagli perchè so
che mi capite. Quanto all’America bisogna creare un nuovo
grande shock che distolga l’attenzione dal mondo arabo per
quanto diviso esso sia. L’eliminazione del presidente USA,
il piu grande promoter delle energie rinnovabili, deve essere
perseguita in tempi brevi. E deve essere attribuita al terrorismo
domestico americano. Non sarà certo la prima volta per
gli Stati Uniti, ma darà una svolta alle relazioni internazionali
per almeno mezzo secolo”.