sabato 27 dicembre 2014

WDC sotto traccia - Capitolo 16

“Fratello Bardi, gracchiò la voce al telefono, Come state? Sono Cardoni. Vi chiamo da Roma perché ho saputo di un piccolo inconveniente che vi è capitato in Mexico. Vi siete preso ‘la vendetta di Montezuma’. Una fastidiosa gastroenterite, male tipico dei turisti che non prendono precauzioni prima di andare da quelle parti. Che è poi il corrispondente della ‘vendetta di Allah’, con tutto il rispetto per gli amici musulmani, che ti costringe a lunghe sedute nel bagno. Spero, comunque, che vi siate rimesso bene. La prossima volta prendete del Bimixin prima di partire. Tutto va avanti al meglio, a parte Montezuma. Vi raccomando solo di non essere emotivo. A proposito: mi hanno telefonato dalla Smithson & Bradley Law Firm di Washington chiedendomi di ringraziare il caro Edmundo. È proprio vero che gli estremi si toccano”. A presto”. Michael chiuse il cellulare, mentre dall’altro lato della scrivania Rachel si abbassava gli occhiali sul naso e lo guardava con aria interrogativa. “Tutto OK. Un amico da Roma”. Disse Michael liquidando l’argomento.

Oreste Balducci, segretario della Loggia Garibaldi, lesse per la seconda volta l’e-mail ricevuto. “Gentile Segretario: come sapete sono molto impegnato in frequenti viaggi all’estero per la mia attività professionale. Questi viaggi mi tengono lontano da Washington per lunghi periodi di tempo. Volendo continuare il mio percorso di perfezionamento massonico, vi sarei molto grato se voleste farmi avere un ‘Certificato di buona condotta’ che viene richiesto quando chiedo di essere ammesso ai lavori di qualche Loggia nei paesi in cui mi trovo a operare. Ringraziandovi vi porgo il mio TFA (triplice Fraterno Abbraccio). Michael Bardi, Master Mason”.
Oreste Balducci compose il numero del telefono di Gaetano Olderisi, Worshipful Master della Loggia. E gli lesse il messaggio appena ricevuto. “Questo è uno di quelli che non si fanno vedere in Loggia e chiede di avere anche il passaporto massonico. In tanti mesi non ha trovato il tempo di dedicare due ore a una tornata della nostra Officina”, disse il Maestro Venerabile con tono seccato. “Rispondi che la pratica è di competenza della gran segreteria della Gran Loggia alla quale manderemo la richiesta. Bisogna che lo incontri. È un ottimo giovane, superpreparato. Potrebbe essere per noi una gran risorsa, solo che volesse dedicare uno spicchio del suo tempo alla nostra Loggia”.

Le cinque del pomeriggio in Piazza Signoria a Firenze. Seduto a un tavolino all’aperto del Caffè Rivoire, un uomo sulla trentina, incarnato olivastro tipico di un mediorentale. Assorto nei suoi pensieri, mentre sorseggiava una granita potenziata con un bicchiere di vodka. Il suo aspetto all’appa
renza comune, aveva se lo si guardava con attenzione degli elementi inquietanti. Ammirava le meraviglie artistiche della città disposte a pochi metri da lui. Sul tavolino teneva una guida di Firenze. Di fronte la facciata di Palazzo Vecchio, con in cima alla scalinata la copia della statua del David di Michelangelo. “L’originale si trova a San Marco”, pensò. E si mise a osservare con un piccolo binocolo la fontana del Nettuno meglio conosciuta dai fiorentini come ‘il Biancone’, scultura fatta dall’Ammannati e distrutta a parole da Michelangelo. E poi la Loggia dei Lanzi sulla destra e tra le varie statue quella di Perseo con la testa di Medusa. Un sorso di granita. L’uomo ricordò la descrizione del Cellini nella sua autobiografia, quando in piena fusione della statua gli venne a mancare lo stagno. E sguinzagliò tutti gli apprendisti della bottega a raccogliere dai vicini le posate di quel metallo che, gettate nel crogiolo, salvarono la fusione a cera persa. La prima in un pezzo solo di così grandi dimensioni. Che uomini quegli artisti fiorentini.
Il suo cellulare cominciò a vibrare. L’uomo aprì la conversazione. Dall’altra parte una voce chiaramente crittata attraverso un meccanismo speciale gli chiese dove si trovava. “A Firenze, in piazza della Signoria”. Rispose sussurrando nel ricevitore. “Bene: le verrà consegnata una busta con i dettagli della nuova missione. Si mantenga sottotraccia il più possibile. Eviti ogni iniziativa che possa lasciare un ricordo. A Firenze lei è uno delle decine di migliaia di turisti che ogni giorno affollano la città. Si comporti come tale. Questa vacanza a Firenze deve servire per far decantare la situazione. Non mi faccia aggiungere altro, ha capito?”.
Guardò l’orologio e confrontò l’ora con quella della torre di Palazzo Vecchio. Lasciò 20 euro e si avviò verso l’ingresso principale dove già un uomo di mezza età lo stava aspettando con un cartello sul quale figurava una X. “Bene arrivato, lieto di conoscerla. Mi chiamo Giovanni e sono una guida ufficiale. Devo dire che lei deve essere sicuramente una persona molto importante (ride) perché non è facile farsi aprire lo studiolo a quest’ora”. La conversazione o meglio, il monologo avveniva in buon inglese. Sorriso stentato dell’ospite. E invito ad andare avanti nell’illustrazione. “Da quello che lei mi ha scritto non è il caso di soffermarsi sul Salone dei 500 e Museo degli Uffizi che lei ha già visitato in altre occasioni”.
Ma entrati nell’immensa sala, che è stata sede anche del primo parlamento dello stato italiano quando Firenze per poco tempo ne fu la capitale, si soffermò rivolgendosi alla parete nord coperta da uno dei giganteschi affreschi del Vasari. “Forse lei sa – iniziò Giovanni notando che comunque il suo cliente non era rimasto insensibile alla bellezza degli affreschi - che un noto ricercatore fiorentino, (ne hanno parlato a più riprese le grandi televisioni di tutto il mondo) il professor Maurizio Seracini, da più di venti anni sostiene che sotto questo affresco vi è quello di Leonardo conosciuto come ‘La Battaglia di Anghiari’. “No, non lo sapevo”. Rispose il turista senza abbassare lo sguardo. “Si tratta di una storia affascinante: Leonardo che era sempre alla ricerca di innovazioni, volle dipingere l’enorme parete riscoprendo l‘ ‘encaustum’, una tecnica pittorica a base di olio di noce che a differenza del tradizionale affresco avrebbe dovuto consentire una migliore ‘riflessione’ pittorica, una luce diversa. Purtroppo, come narrano le cronache del tempo, l’intonaco rigettava i colori. Pensi che Leonardo allestì degli enormi bracieri sperando di asciugare la sua opera. Ma fu inutile. E Leonardo rinunciò al lavoro. Sulla parete ricoperta di intonaco il Vasari affrescò i suoi dipinti”. “E questo come lo sappiamo?” chiese l’uomo con un pizzico di insofferenza, cercando di giungere alla fine della storia. “Beh, questo Seracini con tecnologie speciali sembra abbia individuato i frammenti dell’opera di Leonardo. Ma l’amministrazione comunale di Firenze si è sempre opposta a che si facessero dei carotaggi. La solita burocrazia. Oggi è diverso: hanno dato un assenso a effettuare dei sondaggi. Ma sono insorti dei gruppi capitanati da intellettuali e critici d’arte che si sono rivolti alla magistratura. Insomma: una classica storia all’italiana”, concluse la guida Giovanni dirigendosi verso la porticina che dava sullo studiolo e che fu aperta da un dipendente comunale, visibilmente contrariato perché doveva fare uno straordinario. Il visitatore passandogli davanti gli allungò un biglietto da 50 euro e la faccia assunse un’espressione più rilassata. “Vadino e faccino pure con comodo”, disse il funzionario che doveva avere qualche problema con il congiuntivo della lingua di Dante. “Siccome lei non è un turista qualsiasi, disse la guida Giovanni, sento il dovere di dirle che le farò una duplice esposizione. La prima di carattere ufficiale e la seconda di carattere, diciamo, popolare. Cominciamo col dire che questo piccolo studiolo era il luogo in cui Francesco I de’ Medici amava ritirarsi per i suoi,
esperimenti e ricerche. Francesco, secondo duca di Firenze dopo il padre Cosimo, era un tipo molto particolare per niente amato dai suoi concittadini che angariava con l’imposizione di gravi tasse perché doveva pagare il suo contributo a Ferdinando I di Austria, suo cognato, imperatore, del quale aveva sposato la sorella che sembra fosse claudicante. Ma che dette a Francesco sette figli prima di morire a 31 anni. Qualcuno dice avvelenata da Bianca Cappello, l’amante di Francesco, da lui sposata subito dopo la morte della moglie, dopo averne sistemato il marito. A Francesco interessavano l’alchimia e le collezioni. Ecco: questo studiolo è una sorta di wunderkammer, un luogo dove catalogare i materiali collezionati. È stato completato da Giorgio Vasari e Giovan Battista Andriani. Dopo la morte del GranDuca nel 1587 questo studiolo è stato abbandonato. E solo nel 1920 si è deciso di ripristinarlo basandosi sule documentazioni molto accurate del Vasari. «Lo stanzino ha da servire per una guardaroba di cose rare et pretiose, et per valuta et per arte, come sarebbe a dire gioie, medaglie, pietre intagliate, cristalli lavorati et vasi, ingegni et simil cose, non di troppa grandezza, riposte nei propri armadi, ciascuna nel suo genere. » Vede quel quadro di Giovanni Stradano, ‘Il laboratorio dell'alchimista’? L'uomo al lavoro in basso a destra è lo stesso Francesco I de' Medici. Francesco non ha voluto alcun riferimento religioso nei quadri che adornavano il suo stanzino e la cameretta attigua. E questo gli ha inimicato la curia che a quei tempi non perdonava. Anche se Francesco era un guelfo”. La guida Giovanni continuava a illustrare le pitture sulle pareti. Molte coprivano le porte di armadi. “Queste sono le personificazioni dei Quattro Elementi e
cioè Aria, Acqua, Terra e Fuoco. Nei quattro riquadri angolari, infine, sono rappresentate alcune entità alchemiche: la Flemma, fredda e umida come terra e acqua; Il Sangue, umido e caldo come acqua e fuoco; la Malinconia, fredda e secca come terra e aria; la Collera, calda e secca come aria e fuoco. Questi sono i ritratti dei genitori di Francesco: Cosimo I e Eleonora di Toledo di Alessandro Allori, che copiò quelli ufficiali del Bronzino. In totale otto nicchie per le statue e trentasei dipinti. Dietro ogni pannello si trovano armadi, con l'eccezione di una presa d'aria (badi bene) e porte che conducevano alla stanza da letto di Francesco e ad altre due stanzette "segrete" (lo studiolo di Cosimo e il presunto Tesoro). Bene. Fin qui la descrizione ufficiale. E ora quella ufficiosa che affonda nella credenza popolare. Perché vede: che Francesco fosse un tipo strano e molto dispotico lo abbiamo già detto. Come succede a tutti gli inventori e soprattutto agli alchimisti che erano impegnati nella ricerca della pietra filosofale e nella trasformazione del piombo in oro, insomma: anche questo può avere contribuito a creargli una brutta fama tra i fiorentini. Aggiunga che la morte della prima moglie è stata considerata dalla vox populi come la conseguenza dell’avvelenamento fatto da Bianca Cappello. Resta comunque la diceria del popolino che era solito dire: “Francesco è a palazzo” quando si scoprivano pezzi di cadaveri, soprattutto femminili sezionati che galleggiavano sulle acque dell’Arno. E in questa stanzetta, dicono quelli che nel 1920 fecero i lavori di restauro dello studiolo, sembra che ci fosse uno scivolo adibito, pare, allo smaltimento delle scorie degli esperimenti che Francesco conduceva. Esperimenti che erano l’esca per invitare qualche donzella e qualche cavaliere a vedere le meraviglie che aveva preparato. Ma che non potevano tornare a raccontare agli altri. Non è da escludere che all’origine di questa diceria ci fosse l’atteggiamento della Chiesa che odiava Francesco. E quanto ai cadaveri, di gente morta ammazzata a quei tempi ce n’era abbastanza ogni sera. Non è un caso che i Medici avessero ordinato al Vasari la costruzione di quel corridoio Vasariano che da Palazzo Vecchio, passando sul Ponte Vecchio e superando l’Arno conduce direttamente a Palazzo Pitti. Un modo per evitare attacchi da parte di qualche banda assoldata da famiglie avversarie che odiavano i Medici. Francesco e Bianca morirono lo stesso giorno. Dicono per malaria. Molti sostengono perché avvelenati dal fratello del Gran Duca Ferdinando che aspirava a prenderne il posto. Insomma: storie di ordinaria follia aristocratica”. L’ospite, colorito olivastro, naso pronunciato tipico di un arabo, si soffermò a osservare la stanzetta definita camera da letto ufficialmente, ma che forse era stata il vero mattatoio del Gran Duca Francesco I, tipo strano e depresso. Con la mano sinistra accarezzava le pietre che sporgevano e il suo sguardo era assente. Un sorriso increspava gli angoli della bocca. Si appoggiò al blocco di marmo su cui Francesco aveva fatto a pezzi i poveretti che gli erano capitati tra le mani e che dovevano soddisfare la sua perversione. I minuti passavano scanditi solo dal respiro pesante dell’ospite, come se avesse avuto un problema al setto nasale. La guida Giovanni lo osservava con attenzione, senza interrompere quella singolare meditazione e pensava: “Ma guarda che tipo strano è questo qui. Sembra quasi che provi un orgasmo al pensiero che Francesco I maciullava in questa stanza le sue vittime. Boh!”.
Nell’aprire la porta il commesso comunale che aveva problemi col congiuntivo italiano, si avvicinò al turista e in ottimo inglese gli disse: “Hanno lasciato questa busta per lei”.
Habib Fareh si ritrovò in Piazza della Signoria e si mischiò a un folto gruppo di giapponesi intenti a fotografare il sesso esplicito delle statue di marmo. A cominciare dalla riproduzione del David di Michelangelo.

domenica 21 dicembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 15

Michael Bardi non era riuscito a dormire bene. Erano passate alcune settimane dal suo viaggio lampo in Mexico. Il ricordo di Olivia e della notte piena di fremiti veniva spesso a galla nella sua coscienza. Anche nei ripetuti momenti di intimità con la rossa Rachel O’Hara, una vera macchina da guerra che lo utilizzava sessualmente con accanimento. Prima del suo ritorno a Washington Olivia gli aveva promesso che lo avrebbe chiamato sul suo cellulare. Ma fino ad allora non aveva ricevuto alcun messaggio. Olivia gli aveva dato anche il numero del suo ‘mobile’, pregandolo però di non usarlo perché poteva essere sotto controllo. Dopo avere inserito il sistema di allarme, che comunque non aveva funzionato quando qualcuno si era introdotto a casa sua a rovistare tra le sue carte, Michael si infilò nella BMW. Poca benzina nel serbatoio. Decise di fare una piccola deviazione su McArthur Boulevard dove era una stazione di servizio Exxon, tra le più care della Capitale. “È una cosa incredibile”, pensava mentre inseriva la carta di credito nella pompa, “Una differenza di prezzo con i rifornimenti in Virginia, al di là del ponte sul Potomac, che va dai 30 ai 40 centesimi a gallone”. Mentre il serbatoio si riempiva Michael si avvicinò a un telefono pubblico, inserì alcune monete e compose il numero del cellulare di Olivia in Mexico. Breve attesa scandita da scatti e modulazioni sonore. Suonava libero. Una voce maschile chiaramente registrata: “Notizia su El Sol de Acapulco”. E indicò la data.
Michael non se la sentiva di andare a lavorare con Rachel. Tornò a casa. Accese il laptop e andò sul sito del giornale messicano. Lesse l’articolo. Sbiancò in volto. Rimase come paralizzato a fissare nel vuoto per un minuto. Afferrò la bottiglia del whisky e si versò un mezzo bicchiere. Abbassò le tende nel suo studio e si adagiò nella poltrona di cuoio, bevendo a piccoli sorsi il liquore mentre l’impianto hi-fi diffondeva il Concerto n.5 per piano e orchestra di Ludvig Van Beethoven. Digitò sul suo smart phone fino a che trovò una fotografia. Olivia che sorrideva assonnata dopo la notte d’amore che avevano passato insieme. Olivia che si era sacrificata per lui, pur sapendo che stava correndo un grave rischio. Michael sentì gli occhi inumidirsi al pensiero della morte alla quale Gutierrez l’aveva destinata. Una morte terribile che sanzionava la vendetta del mafioso messicano che doveva essere stato informato da qualcuno dei suoi scherani. Oppure, come molto probabile, nella suite avevano messo delle telecamere invisibili.
Il suo cellulare cominciò a vibrare. Era Rachel che chiamava: “Che fai, non vieni in ufficio?”.
“Scusami, ma ho dovuto sistemare alcune pendenze urgenti… tasse e altre cose del genere con il mio consulente amministrativo. Mi hai anticipato, perché stavo per chiamarti.’ “Hai una voce strana questa mattina. Non ti senti bene?”. “Sono un po’ triste perché mi hanno telefonato dalla Svizzera che è morto un mio caro compagno di liceo”. “Mi dispiace Michael. A proposito mi ha telefonato Gutierrez e mi ha chiesto di domandarti se hai letto il Sol de Acapulco. Quando gli ho domandato a che cosa si riferiva mi ha detto che si trattava di una questione tra voi due. Che è successo?"

martedì 9 dicembre 2014

W.D.C sotto traccia - capitolo 14

Il Falcon atterrò all’aeroporto internazionale General Juan N. Alvarez e si diresse verso l’area dell’aviazione civile dove molti altri jet privati erano parcheggiati. Un SUV nero stava aspettando sulla pista. Si trattava di uno di quei mostri che escono dalle elaborazioni fatte da alcune aziende americane che blindano le vetture per i VIP. Vetri antiproiettile, lamine di rinforzo in acciaio temperato, teflon nelle portiere, pneumatici ad alta resistenza, impianto frenante raddoppiato e superturbo nel motore. Prezzo dopo il ‘trattamento’ paragonabile a quello di una Ferrari. Corso di guida per l’autista in un centro speciale gestito dalla stessa azienda che opera la blindatura. Materie trattate: come riuscire a superare senza danni un agguato stradale fatto con comparse che sparano raffiche a salve con i mitra, tecnica dello slalom con un veicolo molto pesante. Clienti delle fabbriche americane specializzate nella conversione delle auto: politici, imprenditori e anche narcotrafficanti. Figure professionali queste che spesso coincidono con la stessa persona. L’onorevole Edmundo Gutierrez scese velocemente la scaletta dell’aereo e si infilò nel SUV nero, stringendo al petto una borsa di cuoio. “Piccola, come stai?” disse sottovoce parlando su uno dei cellulari. “Oh, Edmundo, sei tornato. Sto molto meglio. Disturbi di noi donne. Sono felice che sei di nuovo qui”. “Te la senti di cenare? Ma non voglio costringerti a farmi compagnia se sei indisposta, amore mio”. Olivia rassicurò l’onorevole Gutierrez. Il tempo per Edmundo di fare una doccia e un po’ di relax. Si sarebbero trovati nella saletta riservata del Quetzalcoal alle 9. Olivia indossava un abito lungo di Balenciaga che ne metteva in risalto le splendide forme. Ampio dècolletè che copriva a malapena i capezzoli del seno generoso e pieno. Schiena nuda oltre la vita e tanga d’ordinanza per mettere in risalto il perfetto punto B. Si avvicinò a Gutierrez che già aveva preso posto a un tavolo riservato del noto e raffinato ristorante e lo baciò su una guancia. Poi prese posto di fronte a lui che le sorrideva con un’espressione estasiata per tanta immagine di bellezza. “Ho ordinato anche per te un cocktail di gamberoni. Spero vada bene. Poi proseguiremo con un filetto di cernia appena pescata”. Olivia ricambiò il sorriso reso ancora più accattivante da due fossette ai lati della bocca. “Come è andata la tua visita a Mexico City, se non ti chiedo troppo?”, chiese mentre impugnava il primo flute di champagne Veuve Cliquot brut millesimato. Edmundo Gutierrez toccò con il suo bicchiere quello di Olivia. “Con te non ho assolutamente segreti, amore mio. Soprattutto l’incontro col Presidente a quattrocchi, credo sia stato molto positivo. Vedi: lui ora ha bisogno di avere uno come me al suo fianco, dopo tante esperienze negative fatte con gli avventurieri del partito che finalmente hanno mostrato il vero volto. Il Presidente ha bisogno di poche persone di cui fidarsi. E me lo ha detto con espressioni di grande affetto. Poi siamo passati a esaminare in prospettiva gli anni che mancano alla scadenza del suo mandato che, come sai, qui in Mexico non può essere rinnovato. Al contrario di quanto succede negli Stati Uniti e in altri paesi”. Un sorso di champagne prima di affrontare un gambero. “Sono felice di sentirti dire questo. Finalmente il Presidente si rende conto di quanto sia importante avere al suo fianco una persona meravigliosa come te. E, soprattutto, di grande esperienza”. Edmundo Gutierrez fissò il viso di Olivia, i suoi occhi verdi che sembravano cambiare colore a seconda del suo umore. “Dio, quanto sei bella!”, disse. “Raccontami della tua giornata. Che hai fatto?”. “Nulla di particolare. Ho passato qualche ora ai bordi della piscina, quella grande. Poi sono andata sulla spiaggia e ho camminato a lungo. Avresti dovuto vedere che onde c’erano. Bisogna stare molto attenti perché all’improvviso ne arriva una alta e si corre il rischio di essere trascinati nell’oceano. Poi sono rientrata e dopo la doccia mi sono messa a leggere”. “Che stai leggendo, piccola?”. “Topo mio non ridere: sto leggendo il Corano. Perché voglio capire la ragione per cui quasi due miliardi di persone nel mondo sono musulmani. Anche se il Profeta è venuto a predicare 600 anni dopo Cristo”. “Mi fa molto piacere che tu cerchi di approfondire questi aspetti di una religione che a noi cristiani e cattolici sembra agli antipodi. Diventerai il mio consulente per i problemi della fede”. “Senti Olivia. Mi è venuta un’idea. Facciamo un salto alla Quebrada, dopo cena, a vedere l’ultimo spettacolo di tuffi della sera. Ti va?”. Olivia rispose che erano anni da quando aveva visto l’ultima esibizione. Il cameriere ossequioso servì la cernia con un contorno leggero di fagiolini e di piccole patate al forno. Lo SUV attraversò Acapulco velocemente grazie a un lampeggiante giallo che l’autista aveva posto sul cruscotto. I turisti americani che si avventuravano sulle strisce bianche dei passaggi pedonali dovevano far un salto indietro per non essere investiti. In Mexico non valevano le regole del codice della strada che non era rispettato da alcuno. Contava invece la legge del più forte. E quel SUV nero e superblindato era la quintessenza del potere seguito com’era da un’altra fuoristrada. Le tre guardie del corpo dell’onorevole Gutierrez si fecero largo tra le centinaia di persone che assiepavano le terrazze per assistere allo spettacolo di tuffi della notte. Olivia e il suo anziano amante trovarono uno spazio riservato vicino al parapetto. I turisti venivano tenuti lontani dai due. La Quebrada in spagnolo significa gola, burrone. È una spaccatura della costa nella quale si insinua il mare. I tuffatori che si esibivano lanciandosi dagli speroni di roccia che arrivavano sino ai 35 metri, facevano parte de La Quebrada Cliff Divers. Si dividevano i biglietti e le mance delle migliaia di turisti che affollavano ogni giorno i punti di osservazione. L’atleta doveva calcolare l’esatto momento in cui lanciarsi in un tuffo ad angelo che coincideva con l’ingresso dell’onda nella gola.
Ogni tuffatore si faceva il segno della Croce prima di gettarsi nel vuoto. Ormai si erano lanciati i più giovani da altezze diverse seguiti nella loro arrampicata libera sulle pareti del burrone dalle fotolettriche che illuminavano a giorno la scena. La vista dei giovani corpi abbronzati coperti da costumi da bagno ridotti che venivano stretti col cordino prima del tuffo mandava in sollucchero stuoli di donne di ogni età. L’ultimo tuffo era quello da trentacinque metri di altezza. Quella sera a lanciarsi era stato scelto il famoso Balboa. La fotocellula lo avvolse in un alone di luce. Balboa era piccolo, un corpo certo non statuario. Ogni sera insieme ai colleghi rischiava la vita per un pugno di dollari. Da quando la Quebrada Cliff Divers era stata fondata nel 1934 per difendere dallo sfruttamento i giovani tuffatori, qualche decina erano morti. Balboa si aggiustò il costume rosso mentre si sistemava sullo sperone di roccia. Salutò il pubblico agitando il braccio e chiedendo un applauso che scrosciò dai punti di osservazione e dal bar ristorante. Segno di Croce, qualche secondo di sospensione e poi si gettò nella Quebrada in un armonico tuffo ad angelo. Le telecamere dei turisti lo seguirono fino al suo impatto nell’onda che sopravveniva dall’ingresso della gola. Balboa penetrò nell’acqua in un punto quasi a ridosso della roccia, rischiarato dai fari. E riemerse poco dopo salutato dagli applausi della gente che cominciava a sfollare. Si arrampicò sul costone di roccia e riapparve sul parapetto proprio dove si trovava appoggiata Olivia che gli batté le mani e gli disse “Bravo!” “Grazie, señorita” sorrise l’omino. “Andiamo a vedere da dove si buttano”. Disse Edmundo Gutierrez e si diresse verso la scalinata che conduceva alla piattaforma dove si radunavano i tuffatori.
I turisti avevano lasciato la Quebrada e anche i tuffatori si erano ormai allontanati dopo l’ultima esibizione. Il giorno dopo sarebbe stato ancora più impegnativo a causa dell’oceano molto mosso. Ma la Madonna di Guadalupe li proteggeva. Edmundo Gutierrez tenendo per mano Olivia che si faceva trascinare sul bordo del cliff, le indicò la postazione dalla quale si era appena tuffato Balboa. “Edmundo, per favore: soffro di vertigini. Torniamo indietro”. C’erano delle sedie di plastica e Olivia e l’onorevole Gutierrez sedettero ad ammirare lo spettacolo della luna i cui raggi si riflettevano sulla baia e rendevano argentata l’onda che si insinuava nella fenditura. “Che notte fantastica!”, disse Edmundo. Su un tavolo di fronte a loro era appoggiato un secchiello pieno di ghiaccio nel quale troneggiava una bottiglia di Moet-Chandon. “Beviamo a noi e al nostro amore”. Cominciò a riempire due flutes e ne porse uno a Olivia che guardava l’oceano che si avventava ritmicamente nella gola e poi si ritraeva. Dopo il primo bicchiere fu la volta di un secondo che Olivia cercò sorridendo di rifiutare senza riuscire a scoraggiare il suo amante. “Edmundo, mi vuoi brilla? Lo sai che non tengo l’alcool”. “Questa, Olivia, è una serata speciale per noi. Non voglio ‘se’ e ‘ma’. Devi fare quello che ti chiedo per amore mio”. L’onorevole messicano tirò fuori dalla tasca interna della sua sahariana un astuccio d’argento che aprì e depose sul tavolo. Preparò due strisce di cocaina e utilizzando una cannuccia inserita nella scatola ne aspirò violentemente una. “Adesso tocca a te, Olivia”, disse porgendo il tubetto d'argento all’amante. “Edmundo: sai che mi sono disintossicata in quella clinica in New Mexico. Non posso, credimi”. “Stasera devi farlo, perché te lo ordino”. La voce di Gutierrez aveva assunto un tono minaccioso d’improvviso, lasciando da parte l’atteggiamento mieloso di pochi minuti prima. L’occhiata feroce del messicano, convinse Olivia a prendere in mano la cannuccia e a sniffare il contenuto della striscia. Poi si rilassò appoggiandosi allo schienale della sedia e assaporando il terzo bicchiere di champagne che Gutierrez le aveva di nuovo versato. Passarono alcuni minuti senza parlare, mentre alcool e droga cominciavano a far sentire i loro effetti. Il silenzio era rotto solo dal rumore della risacca. Le onde dell’oceano si andavano facendo sempre più alte. Gutierrez fece un cenno al suo assistente che si avvicinò e porse al maturo impreditore un lettore di dvd. “Olivia, metti la cuffia. Voglio farti vedere una cosa interessante”. La giovane donna guardò con sorpresa Gutierrez e obbedì fregandosi il naso. Sul piccolo schermo apparvero le immagini di Olivia e Michael impegnati in una notte di sesso estremo. El Sol de Acapulco la mattina successiva aprì con la notizia di sette trafficanti di droga uccisi e decapitati da una gang rivale. E all’interno la storia di una giovane turista americana precipitata nella Quebrada al termine dell’ultimo spettacolo di tuffi. Le autorità di polizia, dopo gli accertamenti medici, avevano dichiarato che la donna doveva aver perduto l’equilibrio intossicata com’era per droga e alcool.

sabato 6 dicembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 13

Il ‘maestro venerabile’ Gaetano Olderisi con un colpo di maglietto richiamò l’attenzione dei fratelli che affollavano il piccolo tempio dello Scottish Rite Center. “Fratelli, aiutatemi ad aprire la Loggia”. Disse e iniziò a recitare il rituale Emulation tradotto in italiano. Gaetano Olderisi era il maestro venerabile della Loggia Garibaldi. Un dialogo a memoria con il primo e secondo sorvegliante, con il copritore interno e con quello esterno. Aperta l’officina nel Primo Grado di Apprendista, il maestro venerabile Olderisi chiese al segretario che sedeva alla sua sinistra se aveva comunicazioni da fare. Il segretario Oreste Balducci si alzò, facendo il segno di saluto e disse: “Worshipful Master, abbiamo due petizioni di aspiranti candidati con allegati i rapporti della commissione di inchiesta. Ma si rende necessario che la Loggia esamini e discuta il problema della mancata o insufficiente presenza dei Fratelli ai nostri lavori”. Il maestro venerabile Olderisi sospirò. E cominciò a parlare:
“Fratelli carissimi. Questo è un tema per noi delicato. Ma è arrivato il momento di prendere una decisione nell’interesse della nostra Officina che ha ormai superato felicemente il decennale dalla sua fondazione. La preoccupazione dei Gran Maestri che si sono alternati annualmente alla guida della nostra Grand Lodge è stata ed è quella di evitare che vi potessero essere infiltrazioni spurie all’interno delle Logge bilingue che caratterizzano da circa venti anni la vita massonica nella Capitale degli Stati Uniti. Con il Consiglio delle Luci che riunisce il primo e secondo sorvegliante e il segretario, abbiamo deciso di operare uno screening molto accurato della nostra lista di appartenenza. Abbiamo diversi fratelli, la maggior parte dei quali residenti in Italia che dopo avere passato i gradi di Apprendista, Compagno d’arte e Maestro Massone, sono spariti nel nulla. Parliamoci chiaro, carissimi Fratelli: molti di questi membri della nostra Loggia dimostrano con il loro comportamento che il loro interesse nei confronti della Massoneria era motivato solo dalla volontà di potere esibire in qualche ‘officina’ la tessera di appartenenza alla nostra Loggia. Non rispondono alle nostre sollecitazioni, non confermano o meno i loro indirizzi, non proseguono il loro iter massonico in qualche altra loggia come invece avviene per molti altri Fratelli. Apro la discussione su questo tema”. A turno i fratelli massoni alzarono la mano. Dapprima con una certa riluttanza, poi riscaldandosi e magari chiedendo più volte la parola. Il maestro venerabile Olderisi cercò di gestire la discussione entro i binari della tolleranza reciproca. Il worshipful master Olderisi ascoltò con attenzione. Cercò di moderare i toni troppo enfatizzati ricordando che in Loggia si deve dialogare nel reciproco rispetto.
Dopo alcune ulteriori comunicazioni amministrative che il segretario portò a conoscenza dei fratelli, il maestro Venerabile iniziò il rituale di chiusura della Loggia e con un colpo di maglietto mandò tutti a casa. La decisione l’avrebbe presa in autonomia. Perché va bene stare a sentire il parere di tutti. Ma poi chi decide è il capo della Loggia che ha piena autorità su tutto e tutti. Anche se molte delle osservazioni che erano state fatte durante la discussione in Loggia erano motivate dal buon senso. In effetti la Massoneria stava vivendo le stesse problematiche delle altre associazioni organizzate. Come il Rotary per esempio, sebbene non vi fosse alcuna colleganza tra le due istituzioni. “In poche parole – pensava Olderisi – se non offriamo motivi di interesse a chi entra il risultato finale sarà sempre di più un’emorragia di iscritti. “Non abbiamo ‘appeal’ e questo lo si paga”. “Nei lavori di Loggia in tutto il mondo è vietato parlare di politica e religione. Ma la vita è fatta di politica e anche di conflitti religiosi. Tutto è politica. Dall’inquinamento atmosferico al riscaldamento globale. Dall’accentuata carenza di acqua, alle energie, dagli scontri di culture, al caos finanziario mondiale, dalla droga all’educazione dei giovani. Tutto è politica.” rifletteva il maestro venerabile della Loggia Garibaldi. “E noi pretendiamo di tenere fuori dalle logge il mondo profano per salvaguardare la tranquillità e la sopravvivenza dei lavori delle nostre ‘officine’. Questo è un principio sano, diceva fra sé Gaetano Olderisi, ma non possiamo considerarlo come uno schermo per ignorare quello che accade intorno a noi. George Washington e i Padri Fondatori erano massoni, sapevano dove dovevano andare, erano dei visionari e la loro visione del futuro sembrava un’ipotesi impossibile. A cominciare dalla lotta contro l’impero più potente del momento. Eppure ci sono riusciti. E quelli che hanno fatto il Risorgimento in Italia… sia i grandi che i piccoli nomi… erano fratelli ma vivevano nella politica, avevano un progetto ed era quello di unificare l’Italia lottando contro i regimi totalitari. Tanti sono caduti ma alla fine lo sforzo di quei fratelli è stato coronato di successo. Insomma: non bisogna fare politica partigiana in Loggia. Ma trattare argomenti che hanno una rilevanza politica e che ci mordono tutti i giorni, bene: di questo si dovrebbe parlare per interessare i giovani e dare loro uno stimolo a operare correttamente nel mondo civile e profano. Dobbiamo attirare quei fratelli, soprattutto quelli che hanno talenti, che non vengono alle nostre tornate perché le considerano una perdita di tempo”.

martedì 2 dicembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 12

“Ci andiamo?”, domandò la donna. “Dove?”. “All’ambasciata italiana. Ho ricevuto un invito per una manifestazione sui cibi kosher. Come ebrea-irlandese anche se scarsamente osservante, il tema può interessarmi. Tu che ne dici?”. Michael si stirò sulla sedia. Da ore stavano lavorando a verificare tutte le azioni intraprese da Rachel O’Hara per conto del suo maxi cliente, l’onorevole Edmundo Gutierrez. “Pur di uscire da questa stanza, mi va bene anche il kosher”. “Dimmi, chiese Rachel, tu di che fede religiosa sei?”. “Formalmente cattolico. Ma non sono credente e tanto meno praticante”.
Rachel chiuse a chiave la porta del suo ufficio dopo avere messo in cassaforte la documentazione sulla quale avevano lavorato. Michael giacca sulla spalla e maniche della camicia rimboccate la seguiva. Ascensore in garage e poi dentro la Smart, una delle prime che giravano a Washington. Certo che vedere quella rossa naturale nella minicar per le strade della Capitale faceva un certo effetto. Uscirono sulla K Street, poi la Smart imboccò la Quindicesima St. a sinistra e si diresse verso Massachusetts Avenue, la strada delle ambasciate. “La conosci la storia dell’Ambasciata italiana?” domandò Rachel a Michael a un semaforo. “Non nei dettagli”, mentì Michael per galanteria. “Prima di questa la sede diplomatica era in Fuller Street, un’area fino a ieri poco raccomandabile. Pensa che la polizia chiedeva di potersi nascondere nel piccolo giardinetto di fronte all’ingresso della cancelleria per beccare gli spacciatori di droga. Poi è stata decisa la costruzione di questa imponente ambasciata che si trova in Whitehaven, una traversa di Massachussets Ave. In questa strada c’è anche l’abitazione dei Clinton”. Mentre attendeva che il traffic light passasse al verde per la curva a sinistra Rachel continuava nella sua illustrazione: “Ecco lo vedi questo parallelepipedo. Secondo il progetto dell’architetto Sartogo, che ha vinto anni fa un concorso internazionale, l’ambasciata doveva essere ispirata a una villa fortezza toscana del ‘500. Boh... non so che dirti. Comunque vedi che la costruzione è divisa da un corridoio che spartisce in due l’edificio. Nel mezzo una grande piazza coperta, piazza Italia, dove organizzano mostre, concerti. Questa ambasciata è divenuta uno dei luoghi di interesse turistico di Washington. In questo voi italiani siete unici, quanto ad apparire”. Trovato uno spazio per parcheggiare la vetturetta si diressero verso il gruppo di persone che attendevano l’apertura del cancello e i controlli di sicurezza. Al momento di passare attraverso il metal detector, Michael oltre al cellulare, portafoglio, chiavi, estrasse anche l’ascellare con la Beretta nella fondina e pose tutto su un vassoio. Il carabiniere di servizio lo guardò attentamente e gli disse in inglese: “Questa la tratteniamo noi e le sarà riconsegnata all’uscita”. Michael fece un cenno di assenso.
Entrati nella grande cupola, dove Michael apprezzò l’accostamento di quadri antichi su pareti e superfici dai colori molto marcati, si diressero a destra verso l’auditorium da 200 posti. Poltrone in pelle beige. Dopo un breve intervento di saluto dell’ambasciatore inziò il seminario. Al microfono si alternarono un rabbino, un esperto di marketing e un giovane presidente di una azienda che importava prodotti kosher. Lunga esposizione del rabbino che ricordò come il cibo kosher (conforme) degli ebrei sia regolato dalle leggi della Bibbia. Si lanciò in una dotta elucubrazione dei prodotti kosher che andavano dalla carne macellata e privata del sangue ai filtri delle macchine da caffè e alle caramelle. Sottolineò che il mercato della carne kosher era in grande espansione negli Stati Uniti. “Difficile anzi impossibile invitare un ebreo ortodosso a cena a casa, a meno che tu non garantisca un menu completamente kosher”, sussurrò Rachel in un orecchio a Michael, sbadigliando. “Per quanto mi riguarda non ci sono problemi: mi puoi invitare quando e dove ti pare”. Al termine del lungo seminario, che aveva stremato il pubblico, i due uscirono nella piazza Italia dove erano stati allestiti tavoli da buffet con cibi, ovviamente, kosher. “La cosa più interessante di questa riunione - disse Michael sottovoce - è che ebrei e musulmani almeno su un punto si trovano d’accordo: hai sentito che hanno detto che milioni di musulmani negli Stati Uniti acquistano cibi kosher perché non hanno a disposizione la carne ‘halal’ che è in pratica macellata alla stessa maniera di quella ebraica?”. “Michael, lascia perdere… - rispose l’avvocatessa ammiccante - Posso invitarti a mangiare un piatto di pasta a casa mia?
L’appartamento di Rachel O’Hara era situato in un condominio di lusso sulla Wisconsin Avenue a cinque minuti di auto dall’ambasciata. Lasciata la Smart in garage Michael e Rachel si diressero all’ascensore a disposizione dei soli residenti. Decimo piano, chiave magnetica, piccolo studio con cucina, ampio bagno e spazio letto distinto dal salotto. “Ti va di aiutarmi? Visto che sei italiano, caro Bardi, una pasta sono sicura che la sai fare”. Michael si cimentò con un pacco di spaghetti da cui estrasse 250 grammi, la pila dell’acqua opportunamente salata che cominciava a bollire, un pezzo di Parmigiano Reggiano con relativa grattugia e un panetto di burro. Scolò la pasta, rigorosamente ‘al dente’, la condì con burro, pepe e formaggio in abbondanza, servita sui piatti apparecchiati sul piccolo tavolo. Rachel era uscita dalla doccia avvolta in un pareo dai mille colori. La pasta, annaffiata da una bottiglia di Morellino di Scansano sparì tra risate e commenti sulla abilità dei maschi italiani che vengono in America a catturare le donne grazie anche alla loro capacità di destreggiarsi tra i fornelli. Senza immaginare che alle ragazze americane questo talento fa proprio comodo perché a nessuna piace cucinare. La ritengono un’attività degradante secondo il femminismo imparato dalle madri. Rachel si alzò, armeggiò al rack dell’alta fedeltà. Tirò fuori da uno scaffale un vecchio LP. “Vedi Michael: sono tornata alla passione del vinile. Questo sicuramente te lo ricordi di Sarah Vaughan”. E porse la mano a Michael che si alzò, invitandolo ad allacciarsi al suo corpo appena coperto dalla tela caraibica, mentre si diffondevano le note e le parole di ‘The nearness of you’. Michael affondò il viso nel collo di Rachel. Aspirò il suo profumo naturale intenso appena coperto da qualche goccia di Arpege. E la sentì prima mormorare, come se stesse parlando tra sé e poi appoggiare il suo sesso alla sua verga impettita nei pantaloni. Rachel non smentiva la fama che le rosse naturali hanno in giro per il mondo. E al contrario, di moltitudini di donne anorgasmiche, lei godeva ripetutamente, lamentandosi, mentre strusciava a tempo di musica il monte di Venere contro Michael. Lasciò cadere il pareo e scoprì la bellezza del suo corpo di donna realizzata nella maturità. Un seno dai capezzoli impennati e frementi, lievemente appoggiato, fianchi rotondi che disegnavano una clessidra, lunghe gambe tornite. Rachel si slacciò da Michael, si abbassò in ginocchio sbottonandogli i pantaloni e tutto il resto e affondò il volto nel suo sesso turgido e aggressivo. “Come è bello”, diceva ripetutamente a mezza voce quasi salmodiando. Rachel raccolse tra le mani il pene impettito, con delicatezza, quasi fosse una reliquia. Lo passò sulle guance, sugli occhi chiusi, sotto il collo. Iniziò poi un delicato arabesco con la lingua cercando di prolungare il tormento del suo partner che si ergeva in tutta la sua notevole dimensione. Michael esplose e innondò la faccia di Rachel ripetutamente mentre lei godeva digitando il clitoride impazzito.
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“Mi raccomando: fa’ la brava e non fare arrabbiare la nonna. Vengo sicuramente questo fine settimana. Ma mi devi promettere che avrai preso tutti ‘A’”. Rachel parlava sommessamente, ma il suono della sua voce svegliò Michael. “Beh, se hai sentito, stavo parlando con mia figlia Sarah. La solita storia di un matrimonio tra due giovani studenti incoscienti che finisce poco dopo, lasciando l’amaro in bocca. Alzati e vai in bagno. Ci attende una lunga giornata di lavoro”.