“Fratello Bardi, gracchiò la voce al telefono, Come state? Sono Cardoni. Vi chiamo da Roma perché ho saputo di un piccolo inconveniente che vi è capitato in Mexico. Vi siete preso ‘la vendetta di Montezuma’. Una fastidiosa gastroenterite, male tipico dei turisti che non prendono precauzioni prima di andare da quelle parti. Che è poi il corrispondente della ‘vendetta di Allah’, con tutto il rispetto per gli amici musulmani, che ti costringe a lunghe sedute nel bagno. Spero, comunque, che vi siate rimesso bene. La prossima volta prendete del Bimixin prima di partire. Tutto va avanti al meglio, a parte Montezuma. Vi raccomando solo di non essere emotivo. A proposito: mi hanno telefonato dalla Smithson & Bradley Law Firm di Washington chiedendomi di ringraziare il caro Edmundo. È proprio vero che gli estremi si toccano”. A presto”. Michael chiuse il cellulare, mentre dall’altro lato della scrivania Rachel si abbassava gli occhiali sul naso e lo guardava con aria interrogativa. “Tutto OK. Un amico da Roma”. Disse Michael liquidando l’argomento.
Oreste Balducci, segretario della Loggia Garibaldi, lesse per la seconda volta l’e-mail ricevuto. “Gentile Segretario: come sapete sono molto impegnato in frequenti viaggi all’estero per la mia attività professionale. Questi viaggi mi tengono lontano da Washington per lunghi periodi di tempo. Volendo continuare il mio percorso di perfezionamento massonico, vi sarei molto grato se voleste farmi avere un ‘Certificato di buona condotta’ che viene richiesto quando chiedo di essere ammesso ai lavori di qualche Loggia nei paesi in cui mi trovo a operare. Ringraziandovi vi porgo il mio TFA (triplice Fraterno Abbraccio). Michael Bardi, Master Mason”.
Oreste Balducci compose il numero del telefono di Gaetano Olderisi, Worshipful Master della Loggia. E gli lesse il messaggio appena ricevuto. “Questo è uno di quelli che non si fanno vedere in Loggia e chiede di avere anche il passaporto massonico. In tanti mesi non ha trovato il tempo di dedicare due ore a una tornata della nostra Officina”, disse il Maestro Venerabile con tono seccato. “Rispondi che la pratica è di competenza della gran segreteria della Gran Loggia alla quale manderemo la richiesta. Bisogna che lo incontri. È un ottimo giovane, superpreparato. Potrebbe essere per noi una gran risorsa, solo che volesse dedicare uno spicchio del suo tempo alla nostra Loggia”.
Le cinque del pomeriggio in Piazza Signoria a Firenze. Seduto a un tavolino all’aperto del Caffè Rivoire, un uomo sulla trentina, incarnato olivastro tipico di un mediorentale. Assorto nei suoi pensieri, mentre sorseggiava una granita potenziata con un bicchiere di vodka. Il suo aspetto all’appa
renza comune, aveva se lo si guardava con attenzione degli elementi inquietanti. Ammirava le meraviglie artistiche della città disposte a pochi metri da lui. Sul tavolino teneva una guida di Firenze. Di fronte la facciata di Palazzo Vecchio, con in cima alla scalinata la copia della statua del David di Michelangelo. “L’originale si trova a San Marco”, pensò. E si mise a osservare con un piccolo binocolo la fontana del Nettuno meglio conosciuta dai fiorentini come ‘il Biancone’, scultura fatta dall’Ammannati e distrutta a parole da Michelangelo. E poi la Loggia dei Lanzi sulla destra e tra le varie statue quella di Perseo con la testa di Medusa. Un sorso di granita. L’uomo ricordò la descrizione del Cellini nella sua autobiografia, quando in piena fusione della statua gli venne a mancare lo stagno. E sguinzagliò tutti gli apprendisti della bottega a raccogliere dai vicini le posate di quel metallo che, gettate nel crogiolo, salvarono la fusione a cera persa. La prima in un pezzo solo di così grandi dimensioni. Che uomini quegli artisti fiorentini.
Il suo cellulare cominciò a vibrare. L’uomo aprì la conversazione. Dall’altra parte una voce chiaramente crittata attraverso un meccanismo speciale gli chiese dove si trovava. “A Firenze, in piazza della Signoria”. Rispose sussurrando nel ricevitore. “Bene: le verrà consegnata una busta con i dettagli della nuova missione. Si mantenga sottotraccia il più possibile. Eviti ogni iniziativa che possa lasciare un ricordo. A Firenze lei è uno delle decine di migliaia di turisti che ogni giorno affollano la città. Si comporti come tale. Questa vacanza a Firenze deve servire per far decantare la situazione. Non mi faccia aggiungere altro, ha capito?”.
Guardò l’orologio e confrontò l’ora con quella della torre di Palazzo Vecchio. Lasciò 20 euro e si avviò verso l’ingresso principale dove già un uomo di mezza età lo stava aspettando con un cartello sul quale figurava una X. “Bene arrivato, lieto di conoscerla. Mi chiamo Giovanni e sono una guida ufficiale. Devo dire che lei deve essere sicuramente una persona molto importante (ride) perché non è facile farsi aprire lo studiolo a quest’ora”. La conversazione o meglio, il monologo avveniva in buon inglese. Sorriso stentato dell’ospite. E invito ad andare avanti nell’illustrazione. “Da quello che lei mi ha scritto non è il caso di soffermarsi sul Salone dei 500 e Museo degli Uffizi che lei ha già visitato in altre occasioni”.
Ma entrati nell’immensa sala, che è stata sede anche del primo parlamento dello stato italiano quando Firenze per poco tempo ne fu la capitale, si soffermò rivolgendosi alla parete nord coperta da uno dei giganteschi affreschi del Vasari. “Forse lei sa – iniziò Giovanni notando che comunque il suo cliente non era rimasto insensibile alla bellezza degli affreschi - che un noto ricercatore fiorentino, (ne hanno parlato a più riprese le grandi televisioni di tutto il mondo) il professor Maurizio Seracini, da più di venti anni sostiene che sotto questo affresco vi è quello di Leonardo conosciuto come ‘La Battaglia di Anghiari’. “No, non lo sapevo”. Rispose il turista senza abbassare lo sguardo. “Si tratta di una storia affascinante: Leonardo che era sempre alla ricerca di innovazioni, volle dipingere l’enorme parete riscoprendo l‘ ‘encaustum’, una tecnica pittorica a base di olio di noce che a differenza del tradizionale affresco avrebbe dovuto consentire una migliore ‘riflessione’ pittorica, una luce diversa. Purtroppo, come narrano le cronache del tempo, l’intonaco rigettava i colori. Pensi che Leonardo allestì degli enormi bracieri sperando di asciugare la sua opera. Ma fu inutile. E Leonardo rinunciò al lavoro. Sulla parete ricoperta di intonaco il Vasari affrescò i suoi dipinti”. “E questo come lo sappiamo?” chiese l’uomo con un pizzico di insofferenza, cercando di giungere alla fine della storia. “Beh, questo Seracini con tecnologie speciali sembra abbia individuato i frammenti dell’opera di Leonardo. Ma l’amministrazione comunale di Firenze si è sempre opposta a che si facessero dei carotaggi. La solita burocrazia. Oggi è diverso: hanno dato un assenso a effettuare dei sondaggi. Ma sono insorti dei gruppi capitanati da intellettuali e critici d’arte che si sono rivolti alla magistratura. Insomma: una classica storia all’italiana”, concluse la guida Giovanni dirigendosi verso la porticina che dava sullo studiolo e che fu aperta da un dipendente comunale, visibilmente contrariato perché doveva fare uno straordinario. Il visitatore passandogli davanti gli allungò un biglietto da 50 euro e la faccia assunse un’espressione più rilassata. “Vadino e faccino pure con comodo”, disse il funzionario che doveva avere qualche problema con il congiuntivo della lingua di Dante. “Siccome lei non è un turista qualsiasi, disse la guida Giovanni, sento il dovere di dirle che le farò una duplice esposizione. La prima di carattere ufficiale e la seconda di carattere, diciamo, popolare. Cominciamo col dire che questo piccolo studiolo era il luogo in cui Francesco I de’ Medici amava ritirarsi per i suoi,
esperimenti e ricerche. Francesco, secondo duca di Firenze dopo il padre Cosimo, era un tipo molto particolare per niente amato dai suoi concittadini che angariava con l’imposizione di gravi tasse perché doveva pagare il suo contributo a Ferdinando I di Austria, suo cognato, imperatore, del quale aveva sposato la sorella che sembra fosse claudicante. Ma che dette a Francesco sette figli prima di morire a 31 anni. Qualcuno dice avvelenata da Bianca Cappello, l’amante di Francesco, da lui sposata subito dopo la morte della moglie, dopo averne sistemato il marito. A Francesco interessavano l’alchimia e le collezioni. Ecco: questo studiolo è una sorta di wunderkammer, un luogo dove catalogare i materiali collezionati. È stato completato da Giorgio Vasari e Giovan Battista Andriani. Dopo la morte del GranDuca nel 1587 questo studiolo è stato abbandonato. E solo nel 1920 si è deciso di ripristinarlo basandosi sule documentazioni molto accurate del Vasari. «Lo stanzino ha da servire per una guardaroba di cose rare et pretiose, et per valuta et per arte, come sarebbe a dire gioie, medaglie, pietre intagliate, cristalli lavorati et vasi, ingegni et simil cose, non di troppa grandezza, riposte nei propri armadi, ciascuna nel suo genere. » Vede quel quadro di Giovanni Stradano, ‘Il laboratorio dell'alchimista’? L'uomo al lavoro in basso a destra è lo stesso Francesco I de' Medici. Francesco non ha voluto alcun riferimento religioso nei quadri che adornavano il suo stanzino e la cameretta attigua. E questo gli ha inimicato la curia che a quei tempi non perdonava. Anche se Francesco era un guelfo”. La guida Giovanni continuava a illustrare le pitture sulle pareti. Molte coprivano le porte di armadi. “Queste sono le personificazioni dei Quattro Elementi e
cioè Aria, Acqua, Terra e Fuoco. Nei quattro riquadri angolari, infine, sono rappresentate alcune entità alchemiche: la Flemma, fredda e umida come terra e acqua; Il Sangue, umido e caldo come acqua e fuoco; la Malinconia, fredda e secca come terra e aria; la Collera, calda e secca come aria e fuoco. Questi sono i ritratti dei genitori di Francesco: Cosimo I e Eleonora di Toledo di Alessandro Allori, che copiò quelli ufficiali del Bronzino. In totale otto nicchie per le statue e trentasei dipinti. Dietro ogni pannello si trovano armadi, con l'eccezione di una presa d'aria (badi bene) e porte che conducevano alla stanza da letto di Francesco e ad altre due stanzette "segrete" (lo studiolo di Cosimo e il presunto Tesoro). Bene. Fin qui la descrizione ufficiale. E ora quella ufficiosa che affonda nella credenza popolare. Perché vede: che Francesco fosse un tipo strano e molto dispotico lo abbiamo già detto. Come succede a tutti gli inventori e soprattutto agli alchimisti che erano impegnati nella ricerca della pietra filosofale e nella trasformazione del piombo in oro, insomma: anche questo può avere contribuito a creargli una brutta fama tra i fiorentini. Aggiunga che la morte della prima moglie è stata considerata dalla vox populi come la conseguenza dell’avvelenamento fatto da Bianca Cappello. Resta comunque la diceria del popolino che era solito dire: “Francesco è a palazzo” quando si scoprivano pezzi di cadaveri, soprattutto femminili sezionati che galleggiavano sulle acque dell’Arno. E in questa stanzetta, dicono quelli che nel 1920 fecero i lavori di restauro dello studiolo, sembra che ci fosse uno scivolo adibito, pare, allo smaltimento delle scorie degli esperimenti che Francesco conduceva. Esperimenti che erano l’esca per invitare qualche donzella e qualche cavaliere a vedere le meraviglie che aveva preparato. Ma che non potevano tornare a raccontare agli altri. Non è da escludere che all’origine di questa diceria ci fosse l’atteggiamento della Chiesa che odiava Francesco. E quanto ai cadaveri, di gente morta ammazzata a quei tempi ce n’era abbastanza ogni sera. Non è un caso che i Medici avessero ordinato al Vasari la costruzione di quel corridoio Vasariano che da Palazzo Vecchio, passando sul Ponte Vecchio e superando l’Arno conduce direttamente a Palazzo Pitti. Un modo per evitare attacchi da parte di qualche banda assoldata da famiglie avversarie che odiavano i Medici. Francesco e Bianca morirono lo stesso giorno. Dicono per malaria. Molti sostengono perché avvelenati dal fratello del Gran Duca Ferdinando che aspirava a prenderne il posto. Insomma: storie di ordinaria follia aristocratica”. L’ospite, colorito olivastro, naso pronunciato tipico di un arabo, si soffermò a osservare la stanzetta definita camera da letto ufficialmente, ma che forse era stata il vero mattatoio del Gran Duca Francesco I, tipo strano e depresso. Con la mano sinistra accarezzava le pietre che sporgevano e il suo sguardo era assente. Un sorriso increspava gli angoli della bocca. Si appoggiò al blocco di marmo su cui Francesco aveva fatto a pezzi i poveretti che gli erano capitati tra le mani e che dovevano soddisfare la sua perversione. I minuti passavano scanditi solo dal respiro pesante dell’ospite, come se avesse avuto un problema al setto nasale. La guida Giovanni lo osservava con attenzione, senza interrompere quella singolare meditazione e pensava: “Ma guarda che tipo strano è questo qui. Sembra quasi che provi un orgasmo al pensiero che Francesco I maciullava in questa stanza le sue vittime. Boh!”.
Nell’aprire la porta il commesso comunale che aveva problemi col congiuntivo italiano, si avvicinò al turista e in ottimo inglese gli disse: “Hanno lasciato questa busta per lei”.
Habib Fareh si ritrovò in Piazza della Signoria e si mischiò a un folto gruppo di giapponesi intenti a fotografare il sesso esplicito delle statue di marmo. A cominciare dalla riproduzione del David di Michelangelo.
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