domenica 26 aprile 2015

Capitolo 30 del giallo "W.D.C. sotto traccia"

Le due Chevrolet Suburban, nere e con in vetri oscurati
entrarono nel cancello della Casa Bianca dopo le ispezioni
d’uso da parte dei marines di guardia che ne ispezionarono
accuratamente il fondo con gli specchi. Nonostante gli autisti
avessero mostrato il badge dello FBI e della CIA.
“Fidarsi è bene. Ma non fidarsi è meglio”. Disse sorridendo
il direttore dello FBI al suo collega della CIA, quando
furono di fronte all’ingresso principale della White House.
I due, seguiti ciascuno da un assistente, furono accompagnati
nella Sala Ovale e fatti accomodare sui due divani
contrapposti.
“Ogni volta che mi trovo in questa stanza mi vien fatto
di pensare al presidente William Howard Taft che nel 1909
decise di espandere e rimodellare la West Wing”, disse il capo
del FBI.
“Già”, aggiunse il collega della CIA, “Per lui la Oval Room
doveva simboleggiare la sua visione della giornata moderna
di un Presidente che doveva essere il centro della amministrazione
e averne un controllo giornaliero più di quanto avessero
fatto i suoi predecessori”.
“Signori, il Presidente”, annunciò un usciere.
I quattro si alzarono metre il Presidente faceva il suo ingresso
accompagnato dal segretario per le relazioni con i media.
“Buon giorno. È meglio che veniate qui alla mia scrivania,
disse il Presidente.
I direttori presero posto nelle due sedie poste ai lati del
desk presidenziale, mentre gli altri sistemavano altre sedie di
fronte alla scrivania.
Il Presidente era vestito di grigio fumo di Londra con cravatta
a piccole righe su fondo bianco. Dopo quel meeting
aveva in agenda un lungo colloquio con il nuovo presidente
del Venezuela, succeduto a Chavez, morto di recente e che
tanti impicci aveva creato nei suoi anni di presidenza agli
Stati Uniti.
“Facciamo il punto sulle minacce di morte e i complotti
scoperti sino a oggi… ”, disse l’inquilino della White House.
“Signor Presidente”, iniziò il direttore dello FBI, “Partendo
dall’11 settembre 2001, grazie alla collaborazione delle
agenzie domestiche e internazionali abbiamo identificato
più di quaranta progetti terroristici contro gli Stati Uniti. Di
questi circa quattordici sono articolati nella soppressione del
Presidente. L’uccisione di Osama bin Laden ha confermato
che la guerra al terrorismo internazionale non è chiusa. Noi
siamo ancora il target preferito di queste azioni e i dollari
investiti nei programmi di sicurezza devono essere modulati
secondo il variare delle tecniche di aggressione”.
Il Presidente si rivolse con aria interrogativa al direttore
della CIA che sedeva alla sua sinistra.
“Dopo i tragici atti terroristici di Roma le informazioni
incrociate in nostro possesso ci confermano che il target è
cambiato. Da parte delle centrali del terrorismo internazionale
si cerca l’episodio sconvolgente a livello planetario.
E questo non può che essere focalizzato nell’uccisione del
Presidente degli Stati Uniti. Un attentato alla sua persona
avrebbe una doppia valenza: da una parte sarebbe la più grave
sconfitta di immagine per il nostro Paese.
In secondo luogo, il fatto poi che Lei si sia apertamente
schierato a favore delle energie rinnovabili ha fatto della sua
figura un bersaglio su cui convergono i propositi di molti
attori della cultura del petrolio.
Dagli estrattori, ai raffinatori, dalle aziende che costruiscono
impianti di gassificazione, centrali a carbone, ai costruttori
di autoveicoli. Per non parlare degli interessi domestici
legati alla distribuzione dei carburanti.
Questa singolare coincidenza di interessi diversi fa sì che il
pericolo degli atti di terrorismo internazionale si saldino con
i movimenti domestici americani da sempre schierati contro
Washington”.
“Quando anni fa mi sono presentato come candidato alle
elezioni presidenziali sapevo bene che correvo questo rischio”,
commentò il Presidente. “Fa parte del mio mestiere. Cercate
piuttosto di mobilitare tutte le vostre risorse e di evitare gli
errori che hanno punteggiato decenni di rivalità tra FBI e
CIA durante le passate presidenze. Di questo voi rispondete
a me e al Congresso. Lo sapete bene”.
I due direttori annuirono.
“Bene: adesso passiamo alla mia immagine personale.
John, quali sono gli ultimi rilevamenti?”.
“Purtroppo non sono buoni, signor Presidente. Siamo al
di sotto della soglia del 30% che già di per sè è molto bassa.
Le viene contestato da larga parte dell’opinione pubblica che
la nazione non è ancora riuscita a riprendersi dopo gli anni di
recessione nei quali siamo precipitati. Purtroppo, come Lei
sa bene, tutti gli indicatori macroeconomici indicano che la
ripresa dalla recessione è ancora debole”.
“Dai, John... non venire a ripetermi quello che mi dicono
tutti i giorni quelli della FED e gli altri consulenti economici:
GDP in calo mentre i fallimenti e la disoccupazione
sono alti. Gli ultimi provvedimenti basati sull’aumento della
circolazione monetaria, l’incremento della spesa e la diminuzione
delle tasse sono l’unica ricetta. Sta a te pompare i media
e contrastare le critiche.
Ma adesso state bene a sentire, possibilmente senza fare
obiezioni: ho deciso di fare un giro di alcuni giorni presso
alcune piccole comunità locali, soprattutto di stati che mi
odiano.
Visto che sta per scadere il secondo mandato e che non
ho la preoccupazione di andare a fare comizi in Ohio, voglio
invece recarmi in Arizona e in Nevada. A parlare con la gente
che vive intorno ai tre grandi laghi artificiali, Havasu, Mead
e Powell.
Voglio andare là e ricordare che, a partire dal 1936, i miei
predecessori alla Casa Bianca ebbero la visione di come doveva
essere governato questo Paese. Che non si doveva guardare
alle cose di casa nostra con la tradizionale miopia del politico
americano preoccupato solo della propria rielezione.
Quei presidenti, che in decenni diversi hanno affrontato
polemiche e rischi personali, hanno dato vita a immense modificazioni
del deserto che hanno assicurato e stanno assicurando
acqua al Nevada, Arizona e California.
Noi, prendendo esempio da quella visione che andava
avanti nei decenni, dobbiamo fare altrettanto. La via per noi
è il cambio di paradigma culturale. Dal petrolio e combustibili
fossili, alle energie rinnovabili. Lo dobbiamo fare per le
future generazioni.
Io credo in questo. Ecco perchè voglio cominciare da un
town-hall, un consiglio comunale, a Lake Havasu. E tu John,
devi battere la grancassa a più non posso su queste visite, anche
se è scontato che incontreremo molti oppositori. Quanto
alla sicurezza, ragazzi: pensateci voi”.
Il Presidente si alzò e strinse la mano a ognuno dei collaboratori
prima di avviarsi verso la porta che lo conduceva
all’incontro con il nuovo presidente venezuelano.

Nessun commento:

Posta un commento