lunedì 4 maggio 2015

Capitolo 31 del giallo "W.D.C sotto traccia."

Michael Bardi compose il numero privato di Rachel.
Squillo prolungato prima della risposta: “Ah, sei tu?! Mi trovo
in un meeting”.
“Sei sparita dalla circolazione. Ci possiamo vedere?”.
“Facciamo alle due al Caffè Milano, ti va bene?”.
“Perfetto”.
Il Caffè Milano di Franco Nuschese era il locale più ‘in’
di Washington DC. Se volevi trovare qualche personaggio
importante della politica, dell’economia o dello spettacolo
(in transito nella Capitale) il punto di ritrovo sicuro era quel
ristorante passato di mano in mano sino a che il nuovo proprietario,
Nuschese appunto, ne aveva rialzato le sorti con
un’attenta azione di pubbliche relazioni.
Quanto al cibo, se uno pretendeva di trovare gli stessi sapori
dei migliori ristoranti in Italia rimaneva deluso. Il Caffè
Milano, sia pure in una scala superiore rispetto ad altri
concorrenti, doveva accontentare gli americani che, anche se
appartenenti a categorie sociali selezionate, non avevano la
stessa sofisticazione degli europei quanto a cibo.
Michael era stato accompagnato al tavolo che aveva prenotato
in fondo alla sala per evitare il rumore che in genere
caratterizzava quel locale dove, al secondo bicchiere di vino
il tono della conversazione saliva oltre i cento decibel, per
merito soprattutto delle clienti, in genere belle ragazze, che
cominciavano a squittire con sonore risate.
Mentre attendeva l’arrivo della sua ospite che ritardava secondo
la migliore tradizione muliebre, si mise a osservare le
porzioni che venivano servite nei tavoli vicini.
Ricordò divertito la scena di quel film di culto ‘Big Night’
con Stanley Tucci. La storia di due fratelli italiani che avevano
aperto un ristorante a New York dove volevano servire un
menu di stretta tradizione italiana. I primi clienti erano stati
una coppia. Lei la tipica virago obesa che schiacciava con la
sua arroganza il marito mingherlino. Si fanno convincere a
ordinare un risotto mantecato al tartufo. Quando il fratello chef
porta personalmente, dopo i regolamentari venti minuti
di cottura, due piatti con il prezioso contenuto, la megera
esclama: “Ma che è questo misero riso? E poi non ci sono
nemmeno le meat balls, (le palline di carne al ragu che identificano
per gli americani un italiano)”.
“Eccomi”, disse Rachel che nel frattempo era arrivata inguainata
nel suo tailleur professionale che aveva suscitato le
consuete occhiate di desiderio in tutti i maschi che avevano
fatto cadere lo sguardo sulla sua figura con distrazione, mentre
passava tra i tavoli.
Allo chef de rang che si era avvicinato premuroso salutandola
con un cordiale “Avvocato O’Hara, buon pomeriggio…”
dopo un’occhiata al menu, ordinò il branzino e un
bicchiere di Sauvignon.
Michael Bardi la osservava con intensa ammirazione.
“Che ti succede, Rachel?”, chiese sottovoce. “Qualcosa
non funziona, se non sono indiscreto? Tutto bene sul lavoro?
Sono giorni che non ci vediamo per lavorare alle nostre
revisioni… ”.
Rachel dette una scossa alla rossa chioma. Assaporò il vino
bianco che le avevano servito e rispose fissando il bicchiere
senza rivolgere lo sguardo all’amico che sedeva alla sua sinistra.
“Per piacere non mi fare il piagnisteo dell’amante italiano,
iperprotettivo. È che ho un sacco di lavoro da fare e ho cambiato
cliente di riferimento. Non lavoro più per il gruppo
rappresentato da Gutierrez. Credevo che te l’avesse detto”.
Michael cominciò ad affrontare l’osso buco, servito ovviamente
con una buona dose di linguine, tipico esempio di
compromesso tra la cultura culinaria italiana e quella americana.
“No, è molto tempo che non sento l’onorevole Gutierrez.
Sei soddisfatta del nuovo lavoro?” chiese, sentendo che ormai
l’incontro stava scivolando sul formale e non certo per colpa
sua.
Rachel, a sua volta impegnata con una porzione di branzino,
cotto al forno e servito su un letto di spinaci, rispose a
stento, masticando:
“Sì. Pagano molto e chiedono il sangue. Però è un’attività
interessante che mi porterà di frequente all’estero”.
“Questo significa che ci vedremo sempre di meno?”.
Rachel posò le posate ai bordi del piatto e girò la testa
verso Michael fissandolo con uno sguardo gelido:
“Senti Michael, parliamoci chiaro. Tutto comincia e tutto
finisce. Hai presente il famoso detto francese tout casse, tout
passe, tout lasse... et tout se remplace?”.
“Mi stai dando il benservito, senza nemmeno gli otto giorni?”
chiese sorridendo Michael, atteggiando il viso a una tristezza
da amante licenziato. Da tempo aveva capito che lui
per Rachel era un bambolotto da usare e buttare. Ed era stato
al gioco perchè quella donna stava conducendo una danza
che bisognava decifrare. Come agente Michael non aveva
una vita privata e tanto meno poteva imbarcarsi in sentimentalismi.
“Ma che benservito. Non hai capito un cazzo. Mi piaci
un sacco e con te fare l’amore è una sinfonia. La colpa è solo
mia che mi sento svuotata, sotto pressione perché devo dimostrare
che sono brava oltre che una bella figa come tutti
mi considerano. Penso che la cosa migliore e più ragionevole
sia quella di prenderci una pausa di riflessione, tanto più che
devo andare a Dubai dopodomani per una settimana e poi
in Germania. Però, ti prego: non mettiamola sul melodrammatico
perché siamo due adulti, ognuno con le sue esperienze
più o meno piacevoli. Tra l’altro mi sento in colpa in un
modo maledetto perché da tre settimane non sono riuscita a
ritagliarmi qualche ora per andare a trovare mia figlia”.
Rachel aveva parlato ad alta voce e i vicini di tavolo facevano
finta di non avere sentito anche se si scambiavano
ammiccamenti divertiti.
Michael ordinò due espressi, precisando che non voleva
dentro la maledetta scorza di limone, altra pessima abitudine
della cultura italo-americana che aveva come risultato quello
di rovinare un buon caffè.
Pagò il conto, si alzò e aiutò Rachel a scostare la sedia.
Insieme uscirono dal locale, lei seguita dagli sguardi incantati
dei maschi, camerieri messicani compresi. Lui dalle occhiate
vellutate delle tante donne presenti che gli prendevano la
misura delle spalle e dello stretto bacino. E anche di qualcosaltro.
Nel parcheggio di fronte al Caffè Milano Rachel O’Hara
salì sulla sua Smart che l’addetto alla consegna delle auto si
era precipitato a farle trovare pronta e col motore acceso.
Michael Bardi tirò fuori dal portafoglio la chiave con la
quale sbloccò l’antifurto della bicicletta, una Bianchi da corsa
in titanio che pesava due chili. Si tiro’ su il calzone destro e
inizio’ a pedalare dirgendosi verso Wisconsin Avenue.
Rachel O’Hara gli stava sfuggendo. Che tipo di lavoro si
era messa a fare adesso?

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