venerdì 22 maggio 2015

Capitolo 34 del giallo "W.D.C sotto traccia".

A jungle area in Timbiqui, in south-western Colombia.
“Ecco, Onorevole: quello che vede è l’ultimo modello di
sottomarino appena mimetizzato con i colori verde e celeste”.
Mauricio Herrera era impegnato a illustrare a Edmundo
Gutierrez le caratteristiche tecniche e operative dell’ultimo
nato del piccolo cantiere nella giungla. I due erano circondati
da un manipolo di guardie schierate, armate di fucili
mitragliatori.

“Interessante” sottolineò Gutierrez, “Mi racconti come è
nato il progetto e come si è evoluto nel tempo... ”.

“I primi modelli sono stati messi in acqua nel 2000. Erano
semisommergibili, navigavano sotto il pelo dell’acqua e venivano
facilmente identificati perché avevano una torretta che
sporgeva e lo scarico del motore elettro-diesel. Questo invece
è un vero sottomarino. Vede: è costruito in fibra di vetro e
legno per non essere identificato dal radar o dal sonar. Ha
due motori con un serbatoio di nafta di 5700 litri e una autonomia
di 3200 chilometri. Viaggia a undici chilometri all’ora
ovvero 5.9 nodi. Ha un equipaggio di tre persone e può portare
dieci tonnellate di cocaina dalla Colombia al Messico”.

“Quanti ne lanciate adesso?”.

Mauricio Herrera si strinse nelle spalle. “Non ho dati aggiornati
globali. Ma per quanto riguarda la nostra ‘azienda’
organizziamo circa quattro spedizioni al mese”.

Edmundo Gutierrez si mise a sedere su una delle sedie pieghevoli
e prese da un tavolino da campeggio un bicchiere di
limonata potenziata con vodka gelata. L’aria in quello spiazzo
in mezzo alla giungla era molto pesante con un’umidità che
sicuramente era intorno al cento per cento. Tutti sudavano
copiosamente.

“Ma se la guardia costiera colombiana o quella messicana
intercettano un sottomarino... ?” chiese l’onorevole.

Mauricio Herrera sorrise: “Quando vengono scoperti l’equipaggio
in un minuto affonda il sottomarino e aspetta in
acqua che la polizia li tiri a bordo. Le normative attuali impediscono
di metterli in galera se non ci sono prove schiaccianti.
È anche vero che gli americani stanno spingendo per una
modifica della legge che consenta di imprigionare anche sulla
base di un reale sospetto. Che ci fanno tre o quattro persone
a bagno in mezzo all’oceano?”.

Gutierrez si asciugò il sudore dalla fronte e dal collo con
una salvietta di carta e affrontò il secondo bicchiere questa
volta di ottima Tequila, non senza avere prima leccato il sale
che aveva messo sul dorso della mano sinistra...

“Quanto li pagate?”, chiese.

“Circa tremila dollari a testa. Che sono niente per noi,
ma per loro rappresentano una fortuna e un grosso aiuto alla
famiglia”.

“Quanti cantieri avete?”.

“Abbastanza”, rispose Mauricio Herrera senza scendere nei
particolari. Era un po’ nervoso. Quell’onorevole Gutierrez
che era stato raccomandato dalla centrale narco, doveva essere
un uomo di rispetto. Lo si vedeva e capiva subito. Ma lui
non era tenuto a scendere nei dettagli ma solo a dare informazioni
di carattere generale.

“I cantieri sono situati nei vari fiumi fangosi della costa colombiana
che si gettano nel Pacifico. Come vede, onorevole,
il fiume ogni tanto si allarga in qualche insenatura dove costruiamo
il bacino e iniziamo la costruzione che ormai viene
fatta in gran parte con prefabbricati che arrivano da diverse
parti del paese. Un luogo come questo è protetto dalle mangrovie
e dalla vegetazione tropicale”.

“Quanto costa un sottomarino?”, chiese ancora Gutierrez
che aveva fatto segno a una delle guardie di riempirgli di
nuovo il bicchiere di Tequila. “Ottima!” disse.

“La distilliamo noi, Onorevole. Quanto al sottomarino
dipende dalla lunghezza e dalla capacità di carico. Uno come
questo va sui due milioni di dollari e ci vuole circa un anno
per costruirlo. La maggior parte di questi natanti è destinata
a un solo viaggio che se va a destinazione rende un bel po’ di
guadagno... ”.

“Non meno di quattrocento cinquanta milioni di dollari”,
commentò Gutierrez accendendosi un sigaro.
Il sole stava calando e l’aria si era leggermente rinfrescata.
Gli operai che lavoravano al sottomarino si erano allontanati
diretti alle tende nelle quali dormivano, qualcuno insieme
alla propria donna.

“Ma come fanno a navigare e a orientarsi per centinaia di
miglia in uno spazio così ristretto” chiese ancora Edmundo
Gutierrez, anche se l’interrogatorio cominciava a mettere sul
chi vive Mauricio Herrera che aveva imparato sino da bambino
a non fidarsi di nessuno. Meno che mai dei cosiddetti
amici.

“Hanno il GPS che viene alimentato dalle batterie dei due
motori che hanno, come in questo modello, una potenza di
400 cavalli. E poi c’è la rete... ”.

“Che sarebbe?”.

“I cartelli più importanti hanno deciso di creare una rete
di pescherecci d’alto mare, ognuno dislocato in un settore
preciso. Questi grossi pescherecci sono un punto di riferimento
stabile per gli equipaggi che possono rifornirsi di viveri
e carburante, quando emergono”. Si trattava di informazioni
super vecchie che erano state pubblicate anche dai
media. Quindi non compromettenti.

“Mauricio: lei poco fa ha detto che il radar e il sonar non
riescono a identificare questi nuovi sottomarini che sono
costruiti in fiberglass. E allora come vengono identificati?”,
chiese pensieroso Gutierrez morsicando il sigaro.

“A vista, dall’aria, Onorevole. Anche se come vede cerchiamo
di mimetizzarli. E poi lo scarico dei motori avviene attraverso
un lungo tubo che esce dalla poppa del sottomarino
per ridurre la possibilità di essere intercettato agli infrarossi.
Purtroppo per noi i voli della guardia costiera e della polizia
si sono intensificati e anche il numero di sottomarini scoperti
in navigazione sta aumentando. Per cui abbiamo deciso di
modificare la tecnologia delle nostre spedizioni”.

“Non capisco. Si spieghi meglio”. Disse Edmumdo Gutierrez
che non amava gli indovinelli e voleva da collaboratori
e subordinati risposte precise, sintetiche e convincenti.
Mauricio Herrera era un subordinato anche se era il direttore
del cantiere. Almeno così si era presentato. Ma Gutierrez
era sicuro che uno come Herrera, che si esprimeva con tanta
proprietà di linguaggio, dovesse essere in realtà una sorta di
esperto delle pubbliche relazioni del cartello con il quale, da
tempo Gutierrez faceva affari in Messico.

“Quello che lei vede è l’ultimo modello di sottomarino
che stiamo finendo in questo cantiere. Inizieremo anche
qui, come in altri cantieri, la costruzione dei torpedo. Sono
sommergibili come questo, ma senza motore e trainati a una
profondità di 30 metri da un peschereccio come se fossero
un’ampia rete. In una situazione di pericolo il torpedo viene
mollato e affonda, rilasciando una boa, identica a quella della
pesca ai tonni, con un trasmettitore crittato che consente di
recuperare il natante e il carico. Ormai il novanta per cento
delle consegne va a buon fine grazie all’impiego dei torpedos”.

Gutierrez a questo punto obiettò: “Molte consegne vengono
fatte usando ultraleggeri che riescono a sfuggire ai radar…”.

“Piccole quantità non superiori al quintale e mezzo. Quello
che conta sono i grandi quantitativi. I sottomarini sino a
ora hanno garantito le consegne di tonnellate di cocaina. Ma
stiamo andando avanti... ”.

“E cioè?”.

“Il futuro sarà dei sottomarini senza equipaggio e manovrati
da terra come se fossero degli aerei drone. La tecnologia
perfezionata sugli aerei senza pilota ci consente ormai di
progettare dei drone sottomarini. E stiamo passando dalla
fase di progettazione a quella di costruzione... del resto tutto
è giustificato dalla domanda crescente di droga del mercato
americano, come lei sa meglio di me”.

Il rumore di un elicottero in avvicinamento interruppe il
dialogo tra Mauricio Herrera e l’Onorevole Gutierrez.
Guidato da una radio mobile del cantiere il velivolo atterrò
su una spianata poco distante dal bacino del sottomarino.
Herrera accompagnò l’Onorevole Gutierrez e lo aiutò a
issarsi a bordo salutandolo con la mano mentre il pilota dava
gas ai rotori e riprendeva quota.

L’onorevole Gutierrez si mise la cuffia e chiese al pilota via
microfono quale fosse il programma.
“Voleremo per circa trenta minuti e atterreremo su un aeroporto
privato dove un Falcon la sta attendendo per ricondurla
a Acapulco”.

La giungla equatoriale si snodava sotto l’elicottero che
procedeva sfiorando gli alberi per sicurezza. Tante le volte ci
fosse stato qualche malintenzionato con un lancia razzi.

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