sabato 16 maggio 2015

Capitolo 33 del giallo "W.D.C sotto traccia"

Dopo quattro ore e quarantacinque minuti di guida, superando
di gran lunga il limite di settantacinque miglia orarie
della I-10 E e della CA-62 E arrivarono a Lake Havasu City.
Kevin aveva dimostrato di essere un gran guidatore, uno
che spesso preferiva accollarsi centinaia di miglia piuttosto
che prendere un aereo, mezzo di trasporto verso il quale nutriva
il massimo del terrore. Proprio lui che di aerei se ne
intendeva perché aveva fatto tre missioni in Irak e in Afghanistan
come capitano della Guardia Nazionale.
E del resto guidando la sua potente Mercedes CL63 AMG,
biturbo, non è che rimanesse isolato dalla sua attività e dal
business. Kevin riceveva in continuazione telefonate, dettava
messaggi al computer di bordo o inviava testi a viva voce.
La sua segreteria lo teneva aggiornato nei minimi dettagli.
Di questo si rendeva conto Habib Fareh che faceva finta di
pisolare.

Arrivarono al Ponte di Londra, acquistato e ricostruito
pietra su pietra a Lake Havasu City, città che aveva visto arrivare
sul lago omonimo il sindaco della capitale inglese per
presenziare all’inaugurazione sia del ponte che del Villaggio
Inglese. Era il 1971.
Si diressero verso il London Bridge Resort, un’imponente
costruzione con piscine, scivoli d’acqua, scalo barche sul
lago. Appena usciti dalla vettura furono assaliti da un’ondata
di caldo. La temperatura era al di sopra dei cinquanta gradi
anche se il tasso di umidità era molto basso dato che il
deserto del Mohave riusciva a non farsi sconfiggere dal lago
artificiale e dettava le sue regole. Sembrava di respirare l’aria
di fronte a un forno di fusione di un laminatoio.
Al ricevimento una giovane sorridente che rispondeva al
nome di ‘Sunny’ assegnò loro le camere.
Erano quasi le sette di sera.
“Ci vediamo al Martini Restaurant, qui sotto, dopo una
doccia... Ti va bene? Diciamo alle otto?” disse Kevin.
“Perfetto”. Assentì l’arabo.

L’ambiente del ristorante era in penombra, rischiarata dalle
candele sui tavoli. Di lato il bancone del bar.
Kevin, per fare onore al nome del ristorante, era già arrivato
al terzo cocktail Martini. E continuò con impegno ordinando
una bottiglia di pregiato vino italiano.
Habib Fareh rifiutò le insistenti pressioni di Kevin che voleva
assaggiasse quel nettare venuto dalla lontana Italia.
“Sono un credente praticante” disse Habib e quando si
trattò di ordinare scelse nel menu un’insalata ‘Caprese’ di
mozzarella e pomodoro. La mozzarella non era certo di bufala,
animale che dopo lo sterminio fatto un paio di secoli
prima era apprezzato ancora per la sua carne, magari venduta
in strisce essiccate ma non certo per il latte. Quanto ai
pomodori venivano dal Messico sperando che non fossero
inquinati da salmonella.

L’arabo non aveva voglia di tenere viva la conversazione e,
nonostante gli sforzi di Kevin dopo la pseudo insalata caprese,
chiese scusa, ma dichiarandosi molto stanco per il viaggio
decise di andare a dormire. Si sarebbero rivisti alle otto il
giorno dopo per la colazione e per la visita del loft e le pratiche
successive.
Kevin vuotò la bottiglia di Primitivo che assaporava come
un nettare paradisiaco. Si sentiva in pace con se stesso e con
il mondo. Dopo i tanti morti visti sui teatri di guerra e che
gli ritornavano davanti quando qualche incubo metteva a
repentaglio il sonno, tornato in patria sano nel corpo a differenza
delle decine di migliaia di altri soldati che avevano
subito ingiurie fisiche e psichiche, adesso sentiva il bisogno -
dovere di rendersi utile al suo prossimo che in quel momento
era rappresentato da quel fratello arabo. Un tipo certo non
molto espansivo e piuttosto eccentrico. Ma si trattava di un
massone come lui che bisognava aiutare al meglio. E poi che
vai a spezzare il capello? Domani lo attendeva un’altra giornata
di impegno e ore di viaggio per tornare a casa.
Kevin dopo un paio di bicchierini di grappa (era un fanatico
dell’Italia anche se non vi si era mai recato) decise di
avviarsi barcollando verso la propria camera. Che in realtà era
una suite di due vani con angolo cucina, ampia vasca Jacuzzi.

“Dormito bene?” chiese Kevin mentre si accingeva ad affrontare
un piatto di uova con regolamentare pancetta e patate
fritte.
“Come un neonato”. Sorrise l’arabo il cui colorito tendeva
sempre di più a stingere sul verdognolo.
Finita la colazione (l’arabo si era limitato a un po’ di frutta
e yogurt) uscirono dall’hotel e a piedi, percorrendo un camminamento
tra aiuole e finte cascatelle d’acqua riciclata entrarono
nel Villaggio Inglese, imitazione alla lontana di un
ambiente stradale di Londra.
“Ecco”, disse Kevin fermandosi davanti a una porta di uno
stabile in stile Tudor. “Siamo arrivati”. Digitò un codice in
un box che era appeso alla maniglia di ingresso. Dalla scatola
trasse la chiave dell’appartamento.
Il loft era molto vasto e in buone condizioni. Chiaramente
i proprietari avevano ristrutturato l’ambiente prima di metterlo
sul mercato.
“Che te ne pare”, chiese Kevin.
“Mi sembra un’ottima soluzione. Quanto chiedono?”.
“Chiedono trecento sessantamila dollari, ma non sono
trattabili”.
“Preferisco fare una prova se sono disponibili per un affitto”.
“Ho carta bianca dalla proprietà che chiede cinque mila
dollari al mese. Ma il contratto deve essere per un anno”.
“Non ci sono problemi. Pago in contanti per un anno.
Però il contratto di leasing lo devi fare intestandolo alla mia
società”.

Kevin si attaccò al cellulare. Aprì il laptop che appoggiò sul
countertop della cucina. Tirò fuori dalla ventiquattro ore una
piccola stampante wi-fi e si mise a lavorare.
Nel frattempo Habib Fareh andava in giro osservando
l’appartamento.
Dopo una mezz’ora Kevin si rivolse all’arabo:
“Allora è tutto pronto, se vuoi firmare queste carte. Personalmente
provvederò a trasferire alla proprietà il contante
che mi hai detto di essere in grado di darmi per il quale farò
un versamento sul mio conto e successivo trasferimento bancario
ai destinatari che non sono americani”.
Habib Fareh firmò le carte come amministratore della società
libanese e consegnò a Kevin la somma richiesta in biglietti
da 100 dollari che erano contenuti in un’ampia valigia.
Kevin aveva da tempo capito che quel pagare in contanti
doveva mascherare qualcosa di poco limpido. Ma come dicono
i latini “pecunia non olet”. Così gli avevano insegnato
nel corso di letteratura al college. E poi su quella somma anticipata
avrebbe potuto ritagliarsi una cospicua provvigione a
copertura delle spese. Ma come faceva quel libanese a disporre
di tanto cash? Meglio verificare se quei biglietti da cento
erano buoni.
“Mi devo assentare per un po’ perchè ho qualche difficoltà
di collegamento con Internet. Torno tra una ventina di minuti”.

Kevin appena uscito attraversò il London Bridge si diresse
alla filiale della Bank of America all’interno del piccolo centro
commerciale.
Arrivato allo sportello chiese alla cassiera, chiaramente una
discendente dei Navajos, se poteva cambiare due biglietti da
cento dollari.
La ragazza era un po’ perplessa. Kevin le disse di avere
tre conti correnti presso la filiale di Santa Monica della stessa
banca. La ragazza digitò nel suo sistema e verificato che
l’informazione era corretta chiese a Kevin come voleva che
fossero cambiate le due banconote. In biglietti da venti. Ma
prima di consegnare il denaro inserì le due banconote in una
macchina che ne valutò la filigrana e la perfetta validità. 
Ritornato sui suoi passi e attraversato di nuovo il ponte si
imbatté vicino al loft nell’arabo che gli chiese: “Tutto OK?”.
“Sì, ho avuto qualche piccola difficoltà. Ma tutto è risolto.
Queste sono le chiavi dell’appartamento. Tu che fai? Ritorni
con me a Los Angeles?”.
“No, guarda. Mentre eri assente ho fatto anch’io qualche
telefonata. Domani arriva il camion da San Diego con le mie
attrezzature. E quindi mi devo trattenere. Ti sono molto grato
per l’aiuto che mi hai dato. Nelle prossime ore restiamo in
contatto”.
E dette a Kevin il triplice fraterno abbraccio.
Dopo avere pagato il conto della sua camera e della cena,
Kevin si diresse verso il parcheggio. Aprì il portabagagli dove
mise la valigia gonfia di biglietti da cento dollari e prese
di nuovo la via di casa, questa volta senza spingere troppo
sull’acceleratore.

Mentre guidava si chiedeva chi diavolo fosse quel libanese.
“È un fratello ed è stato introdotto dal mio Maestro Venerabile”,
pensava mentre ascoltava sulla radio satellitare Sirio-
Xm un preludio di Chopin.
“Certo che questo fatto di pagare in contanti qualche dubbio
me lo lascia. Per fortuna ho verificato che le banconote
sono buone. Ma nel mio mestiere se ne incontrano di persone
strane”.
Ormai era arrivato all’altezza del passo di San Bernardino
e il traffico si era fatto più intenso.
Kevin, nonostante la stanchezza, accentuò la concentrazione,
perché quando viaggi a ottanta miglia su un’autostrada
a sei corsie non sai mai cosa ti può succedere. C’è sempre il
drogato o l’ubriaco o quello che gli prende un coccolone che
sbanda esce dalla sua ‘lane’ e ti investe.

La fiammata partì da sotto il cofano prima dell’esplosione.
La Mercedes CL63 AMG saltò in aria, investendo un paio di
vetture che procedevano nelle corsie vicine.
Si ribaltò più volte, mentre le altre macchine cercavano
in qualche modo di evitarla e alcune si tamponavano violentemente.
Finì nell’ampio spazio avallato che divideva i due
sensi di marcia dell’autostrada.
Il rogo la distrusse quasi completamente. L’incidente causo`
la chiusura dell’autostrada con decine di miglia di auto
incolonnate. Molti i feriti, alcuni gravi, dei tamponamenti.
Dopo una decina di minuti due elicotteri della polizia già
giravano sul luogo del maxincidente, mentre da diverse località
dell’area molto urbanizzata arrivavano autoambulanze e
elio ambulanze dirette poi ai più vicini nosocomi.

L’analitico rapporto della polizia stabili che l’esplosione era
stata determinata da un ritorno di fiamma dovuto al difettoso
funzionamento di uno dei due turbocompressori. Caso
raro per un brand come la Mercedes che immediatamente
avviò una richiesta per essere autorizzata a verificare il relitto
della macchina.
Dell’esplosivo al plastico e del minitimer magnetico che
l’arabo aveva introdotto sotto il parafango anteriore sinistro
nessuna traccia. Ovvio, trattandosi di un prodotto nuovo,
appena sperimentato con successo in altri attentati.
Un agente trovò tra i resti carbonizzati della potente vettura
alcuni biglietti di banca da cento dollari semibruciati.
Le banconote esaminate presso il Bureau of Engraving and
Printing, la Zecca di Washington, risultarono essere perfettamente
contraffatte.

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