martedì 25 novembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 10

“Il mondo è come una tartina di caviale”, disse Edmundo
Gutierrez mentre si cimentava con un cucchiaio di Beluga
iraniano che doveva essere depositato su un cracker di ridotte
dimensioni.
“Vede queste prelibate uova di storione? Sono sicuramente
troppe per la tartina, così come ormai siamo troppi su questo
pianeta”.
Caviale e cracker sparirono nella bocca del messicano che
riprese: “Le risorse si esauriranno prima o poi. Purtroppo,
‘prima’ che poi. L’aumento della popolazione in Cina, India,
Brasile significa miliardi di nuovi consumatori. Siamo ormai
sette miliardi. Nei secoli, compreso quello passato, le guerre e
soprattutto le guerre mondiali servivano a equilibrare la crescita
eccessiva. Se andiamo ancora più indietro ci pensavano
le pestilenze a ridurre la popolazione attiva”.
E bevve di un fiato il bicchiere di vodka che premurosamente
gli avevano messo accanto alla bacinella contenente il
caviale fresco e non pastorizzato.
“Michael, che ne pensa?”.
“Quello che lei dice è molto giusto. Penso però che si debba
concentrare una parte delle risorse disponibili per esplorare
nuove strade e fonti energetiche”.
“Ahi, ahi: dunque lei è un sostenitore della banda Green…
Abbiamo scelto l’uomo sbagliato per un progetto giusto”.
Gutierrez rideva ma in modo forzato. Michael bevve un
sorso del suo champagne.
“Al di là delle battute, il mio è un ragionamento condiviso
ormai dai vertici delle grandi compagnie petrolifere. Tanto
per fare un esempio. Onorevole, questo lo sa bene quanto
me, pensi a quanti capitali sono investiti da Exxon, Shell, BP
per l’individuazione di nuove fonti energetiche, per il perfezionamento
delle tecniche di estrazione del petrolio e del gas
naturale, per la conversione dell’acqua in idrogeno.
Venti anni fa chi avrebbe immaginato che nel gallone di
benzina che mettiamo nel serbatoio della nostra auto più del
10 % fosse costituito da benzina verde, etanolo, ricavata dalla
fermentazione delle graminacee? Chiedere come fanno tanti
verdi la sostituzione del petrolio è un assurdo. Ma pensare
a soluzioni complementari può essere un business di sicuro
successo”.
Edmundo Gutierrez studiava il giovane biondo che gli
stava davanti e che si esprimeva in un inglese perfetto. Non
tralasciando talvolta di inserire qualche frase in spagnolo, con
una pronuncia resa accettabile dalla madre lingua italiana.
“Senta, Mr. Bardi: lei domani ha il suo aereo per gli Stati
Uniti. Io adesso me ne vado a Città di Messico col mio
Falcon. In mattinata devo incontrare il Presidente. Allora,
prenda questa busta con l’assegno. Resto in attesa di una sua
risposta corredata, come noi speriamo, da un rapporto su
quello che succede nella società di lobby della quale ci serviamo
da tempo”.
Stretta di mano e ghigno cordiale il proprietario del Maya
Resort si alzò sostenuto dalla ‘nipotina’ che non aveva proferito
parola durante la cena e si era limitata a scansare le
occhiate che incidentalmente Michael le dava di sfuggita
quando si cimentava in qualche panoramica.
Michael si rimise a sedere. Un cenno allo chef de rang che
si precipitò al tavolo.
“Vorrei ascoltare ancora qualche canzone dei tre Mariachi,
se fosse possibile”.
“Hanno finito il turno. Ma tutto è possibile, Dottor Bardi”,
sorrise il capo cameriere.
E servì un altro flute di champagne millesimato, un nettare
che il viaggio dalla Francia non aveva scalfito nel suo gusto
e aroma.
Dopo dieci mnuti ecco tornare i musicisti che avevano
dovuto rivestirsi con tanto di largo sombrero.
“Cosa desidera ascoltare, signore?” chiese inchinandosi
quello dei tre che doveva essere il capo.
“Sabor a mi e poi El Reloj. Comunque scegliete voi, siete
talmente bravi… ”. Fu la risposta.
Una brezza veniva dall’oceano e faceva muovere i tendaggi
di canapa bianca che scendevano dal soffitto del grande patio.
Le romantiche canzoni messicane si dipanavano discretamente
sostenute dalla professionalità degli arrangiamenti
vocali del trio.
Dopo avere assaporato il secondo bicchiere di bollicine a
fermetazione naturale, Michael lasciò sul tavolo due biglietti
da cento dollari. E salutati i musicisti ai quali strinse la mano,
si avviò verso il vialetto che conduceva al cottage.
Chiave elettronica. Dentro l’aria condizionata funzionava
ancora al massimo.
Sembrava di stare al Polo. Michael regolò il termostato sui
20 gradi centigradi. Aveva bevuto troppo quella sera. Si levò
i vestiti da dosso, rimase nudo e si infilò sotto il lenzuolo. Il
braccio sinistro sotto il cuscino del partner che non c’era.
E precipitò in un sonno profondo, attraversato da sogni
come lampi improvvisi.
Flash: papà sempre sorridente tutte le volte che tornava a
casa. Era così bello stare con lui. Sapeva tante cose e te le spiegava
con immagini e parole che poi ti rimanevano dentro.
Quando doveva stare in collegio in Svizzera chi gli mancava
veramente era lui. Non erano state molte le occasioni prima
che morisse di passare insieme qualche ora. Ma si trattava di
ricordi indimenticabili. Come quella mattina del suo compleanno.
Compiva tredici anni e si sentiva ‘vecchio’, proprio
così. Era nella sua camera di Milano e il babbo prima di partire
per l’aeroporto per uno dei suoi tanti viaggi era entrato
furtivamente per baciarlo. Si era sorpreso perché Michael,
tutto preso dalla sua crisi esistenziale di adolescente, stava
piangendo perché il futuro gli appariva nero e nessuno gli
avrebbe potuto dare una risposta. Papà si era seduto sul letto,
lo aveva preso tra le sue braccia e gli chiedeva: “Cosa c’è che
non va, Pulcino mio?” Michael non sapeva dare una risposta.
“Non lo so, Papi. Sono triste e mi sento inutile”. “Inutile a
tredici anni, piccolo mio?! Avrai tante soddisfazioni nella tua
vita, Michael perché hai talenti e la voglia di affermarti. Ne
sono sicuro. Ascolta il tuo Papà che ti vuole tanto bene e che
ti dice la verità. Da me non sentirai mai delle cose non vere”.
Lo aveva lasciato rinfrancato e fiducioso che il cammino della
vita sarebbe stato facile con il suo babbo al fianco che lo
proteggeva.
Flash: quella volta che era venuto a casa un amico a trovare
la mamma, un suo compagno del liceo. Papà era in viaggio.
Michael aveva notato che la mamma era tutta eccitata e si
era cosparsa di un profumo francese che a Michael toglieva il
fiato. Aveva sedici anni ed era in vacanza per qualche giorno
a Milano prima di ritornare nel collegio in Svizzera. Lui si
era rinchiuso nella sua camera ad ascoltare in cuffia i Beegees.
Poi gli era venuta voglia di una Coca Cola ed era andato in
cucina. Ritornando in camera aveva intravisto attraverso la
porta semiaperta del salotto la mamma e l’amico che si baciavano,
avvinghiati in un grande abbraccio. La mano di lui
che razzolava tra le cosce materne. Si era sentito sgomento.
Perché a pelle da tempo percepiva che qualcosa non doveva
funzionare nel matrimonio dei suoi genitori. Un grande rispetto
reciproco quando erano in pubblico, contrappuntato
da qualche ‘Amore’ o ‘Tesoro’. Era comprensibile anche per
un ragazzo che si trattava solo di una messinscena, al di là
della quale vi era il vuoto pneumatico dei sentimenti. Ma vedere
quella scena e sua madre infoiata per i massaggi e i baci
del suo antico primo amore gli avevano preso lo stomaco. E
rientrato in camera si era recato nel bagno e aveva vomitato
nella toilette.
Flash: le foto del crash del padre in quella maledetta curva
del Passo dello Stelvio. Gli accertamenti fatti dalla polizia
stradale avevano individuato la dinamica dell’incidente.
Papà stava scendendo ad andatura sostenuta quando su un
tornante si era trovato la sua mezzeria invasa da un TIR. La
frenata, di cui restavano le tracce dei pneumatici sull’asfalto,
non era stata sufficiente a evitare lo scontro con il pesante
autoarticolato. La Duetto era rimbalzata contro il guard rail
che, anziché attutire e contenere il veicolo si era trasformato
in una rampa di lancio, catapultando l’Alfa Romeo al di là
della curva. Un salto di più di cento metri. Ai soccorritori si
era presentata una scena raccapricciante con frammenti del
corpo del guidatore sparsi per decine di metri, in mezzo ai
rottami della macchina.
Flash: E il funerale con il corteo di finti addolorati. A cominciare
dai colleghi della azienda, perché, grazie a Dio, si
apriva uno spazio per salire. La mamma ovviamente che recitava
da par suo la parte della moglie disperata, ma civile. Il
suo dolore era evidente, ma contenuto come solo le persone
di un certo livello sociale sanno fare. Pieno di premure l’amico
del liceo la sosteneva nel tragitto fino alla Basilica di
Sant’Ambrogio. Dio, come li odiava quei due.
Flash: la bionda Olivia incontrata alla Tuscan View Farm
in Virginia. E questa Olivia, la ‘nipotina’, stessi occhi ma capelli
corvini.
Flash: e gli sembrava di toccarla quella dea, bionda o mora,
ne sentiva il profumo un po’ selvaggio della pelle, sentiva le
sue labbra che gli sfioravano il viso, la fronte e si attardavano
sui suoi capezzoli.
“Dio, come sei bello e quanto mi piaci” stava dicendo la
creatura che si era infilata nel letto.
Michael aveva ormai smaltito la mezza sbornia. Si sollevò
su un fianco, stupito e felice di trovare Olivia, di averla vicina,
nuda, perfetta nelle sue rotondità. Un cocktail di Venere
Capitolina e Paolina Bonaparte del Canova.
“Ma sei pazza? Come sei entrata? Se lo viene a scoprire”.
“Ho detto che stavo male e non me la sentivo di andare a
Città di Messico. Non sei contento di vedermi? Ho pensato
molto a te dopo che ci siamo visti a casa mia in Virginia”.
“Olivia, Dio, incredibile ritrovarti qui”. Il volto di Michael
sprizzava gioia, quella stessa gioia che provava quando,
bambino, il papà gli portava il regalo che da tempo desiderava.
Una luce negli occhi di sorpresa e candore infantile.
“Non parlare; ti voglio dentro di me, subito”.
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 (Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)

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