Andrew era un fratello sordomuto. Ma non completamente.
Leggeva bene le labbra quando ti guardava e rispondeva
con un parlare gutturale. Andrew era stato curato sin da
ragazzo nella clinica per bambini disabili nell’udito e nella
parola annessa allo Scottish Rite Center.
Tutte le spese sia per i medici che per i degenti nonché
i familiari che li assistono sono a carico del Rito Scozzese.
In America ogni giorno i massoni tirano fuori dalle tasche
milioni di dollari con i quali finanziano e gestiscono 23
cliniche distribuite nelle principali città della nazione-continente.
In questi ospedali si accolgono bambini e ragazzi fino ai
diciotto anni affetti da gravi problemi ortopedici e spinali,
oltre che grandi ustionati.
Andrew era il janitor, il tuttofare, dello Scottish Rite Center.
A lui spettavano le pulizie dei vari ambienti e della sala
da ballo dopo che vi si erano tenuti degli eventi a conclusione
di cerimonie che erano state allestite nell’auditorium o nei
templi.
Andrew lavorava duro, ma aveva anche qualche piccola
soddisfazione personale. Alla fine dei banchetti si portava a
casa borse di cibo che non era stato toccato e bottiglie di vino
nel quale poteva annegare le rinuncie della vita di scapolo
forzato, perché le donne che gli piacevano lo scansavano per
il fatto che aveva dei problemi fisici. E poi qualche bottiglia
se la rivendeva pure.
Quella sera il fratello Andrew era parecchio arrabbiato: il
Grand Commander e il General Secretary del Centro gli avevano
imposto di cercare un tale, arabo di nome Habib Fareh,
che sembrava si fosse introdotto con false attestazioni nell’edificio,
approfittando dell’ingenuità dei giovani assistenti
messi al controllo dei visitatori che lo avevano fatto passare.
“Ma chi ci mettono in questi posti di responsabilità?”,
mugugnava tra sé Andrew.
“Io devo fare solo lavori di merda, con paga di merda e
trattamento di merda. Mi prendono a calci in culo, solo perché
sono quello che sono e devo vivere della loro carità”.
Così gorgogliava il sordomuto mentre con una scopa spazzava
il pavimento della ball room, raccogliendo bottigliette e
cartacce. “Anche tra i massoni ci sono tanti ‘pigs’, maiali. Ma
non potrebbero insegnargli come ci si comporta oltre a fargli
imparare a memoria i rituali?”.
La scomparsa del presunto libanese aveva gettato un grande
scompiglio nell’organizzazione del Brotherhood Week
End. Anche se i dirigenti del Centro avevano imposto di non
creare allarmismo tra i tanti partecipanti alla cerimonia.
Bisognava cercare senza dare nell’occhio. E avevano cercato,
cercato, per ore in tutti gli ambienti. Ma dell’arabo nessuna
traccia. La ricerca non era stata facile.
Uffici di segreteria e dei dirigenti, sale riunioni, il piccolo
tempio con annesso spogliatoio e l’ex barberia (dotata anco-
ra di bellissime poltrone rivestite in pelle dei primi anni del
‘900). Il grande tempio al secondo piano con la sala biliardi,
la sala dei passi perduti. I bagni e i salottini per le ladies in
visita ai mariti.
La grande cucina dotata di frigoriferi industriali e di ogni
attrezzatura per preparare pranzi per centinaia di persone.
Avevano cercato nell’auditorium, anche tra le file delle poltrone
e soprattutto dietro il palcoscenico dove erano le attrezzature
teatrali e dove nascondersi sarebbe stato abbastanza
facile. Con le potenti lampade a batteria avevano ispezionato
in alto tutti i movimenti di scena, le nicchie dei cordami, le
quinte raggruppate da una parte. Nulla: del libanese neanche
una traccia.
E avevano concluso che, quando si era visto oggetto di
troppa attenzione, l’arabo era sgattaiolato uscendo indisturbato
dalla porta dell’ingresso secondario da cui era entrato
all’inizio della manifestazione. Inutile domandare a quelli
che stazionavano fuori della porta a fumarsi l’ennesima sigaretta.
Nessuno lo conosceva e lo aveva visto. Salvo quelli all’inizio
che ne ricordavano vagamente il sorriso quando li aveva
salutati entrando e si erano chiesti chi fosse e i due assistenti
al ricevimento oltre ai rappresentanti della loggia armena e di
quella iraniana. Anche loro avevano partecipato alle ricerche,
senza successo.
Andrew continuava a spazzare, ripiegava le tovaglie posate
sui lunghi tavoli rettangolari e riempiva bidoni di immondizia
con quello che toglieva dai piatti di plastica.
Si sentiva stanco, molto stanco. Era arrivato al Centro
alle sei del mattino ed era ormai mezzanotte. Il giorno dopo
avrebbe dovuto ripresentarsi per completare le pulizie. E ora
si trattava di portare fuori i sacchi dei rifiuti e poi guidare
con la sua Corolla, vecchia di dieci anni, sino a Damascus
in Maryland. Quarantacinque minuti di strada, certamente
libera a quell’ora.
Ma con quella stanchezza, che fatica. E poi dover tornare
alzandosi presto l’indomani. Quattro ore di sonno se gli andava
bene.
“Sai che ti dico?”, disse fra sè il fratello Andrew, “Mi fermo
qui come ho già fatto altre volte”.
Ripose la scopa nell’armadio metallico e si avviò verso la
barberia, passando per il piccolo tempio. Anche quello bisognava
pulire. Che palle. Domani, domani.
Andrew si tolse la tuta e rimase in boxer e maglietta. Aprì
il rubinetto di uno dei lavandini e fece scorrere l’acqua per
alcuni minuti. Gli era venuta una grande sete dovuta sicuramente
a tutti gli avanzi che aveva mangiato mentre faceva la
pulizia del salone. Questa volta il menu aveva molti piatti di
carne cucinati alla peruviana con una sacco di spezie.
Si riempì un bicchierone di carta e lo vuotò con un sospiro
di soddisfazione. Ancora un pò d’acqua per raffreddare il
bruciore di stomaco che stava montando. Saggia decisione
quella di restare lì dentro ed evitare il penoso ritorno a casa
per poche ore. E poi il direttore generale non avrebbe avuto
niente da eccepire. “E che gli chiedo di pagarmi lo straordinario
notturno anche per le ore che sto appisolato su una
delle poltrone del barbiere?”.
Il poggia testa era veramente confortevole. “Però questi
massoni degli anni venti si trattavano proprio bene. Pensa
tu: il servizio di barbiere gratuito. OK: era riservato a quei
fratelli che dovevano interpretare sul palcoscenico qualcuno
dei rituali in costume dei passaggi di grado del Rito Scozzese,
ma era sempre un taglio gratis”.
Pensando alla sua vita spesa nel centro, alle cure avute per
anni nella clinica lì vicina, Andrew provò una sorta di sentimento
di riconoscenza. In fondo questa era proprio casa sua.
Inclinò al massimo la spalliera della poltrona e si adagiò con
un sospiro.
Il cavo metallico del ‘laccio’ gli squarcio’ la gola. Aria e
sangue schizzavano fuori dalla trachea e dalle arterie con un
suono strano. Ma non era il tipico modo di parlare di Andrew.
Quando il corpo del fratello janitor finì di dibattersi nell’agonia,
l’arabo ripulì su un asciugamano lo strumento tascabile
di morte che aveva acquistato a caro prezzo da un antiquario
di Valencia. Un ‘laccio’ del ‘600 e chissà quante gole
aveva squarciato.
Habib Fareh, o comunque fosse il suo nome, uscì dalla
barberia, attraversò il piccolo tempio, poi la grande cucina.
Si incamminò nel corridoio e salì una rampa di scale. Svolta a
sinistra e si presentò davanti alla porta della segreteria che era
chiusa. Ma non gli fu difficile aprirla con il suo passpartout.
Acceso il computer cominciò le sue ricerche sicuro che
nessuno lo avrebbe disturbato almeno per un pò. Del resto il
sordomuto, rimanendo a dormire nel Centro non aveva messo
in funzione l’impianto di allarme collegato con la centrale
e la vicina stazione di polizia.
Sul suo cellulare digitò un numero. Quando sentì che
dall’altra parte avevano alzato il ricevitore disse: “Fatto”. E
riattaccò. Da una tasca tirò fuori un portasigarette d’argento.
Lo aprì, estrasse una sigaretta di cannabis e con un accendino
a gas l’accese. Un paio di profonde boccate, prima di mettersi
a consultare i files della segreteria del Centro. Mentre
la droga si diffondeva nel suo organismo e gli dava un senso
di tranquilla completezza, l’arabo sorrise alla sua immagine
rispecchiata nel monitor del computer. Tutto stava andando
nel migliore dei modi grazie al suo talento professionale.
Come assassino internazionale nessuno poteva competere
con lui.
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