sabato 8 novembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 5

Michael Bardi raccolse scarpe, giacca e cintura dal vassoio
celeste che usciva dal metal detector. Attese che uscisse anche
il secondo vassoio con il computer, portafoglio e cellulare. Si
era già sottoposto al tanto criticato body scanning. Ma con
tutti i fondamentalisti pronti a far saltare un aereo infilandosi
nei pertugi corporali armi ed esplosivi quello era l’unico
modo per scoprirli.
Aveva dovuto attendere che una donna prima di lui passasse
con un gatto enorme che aveva dovuto tirare fuori dalla
valigetta traforata. Il gatto non ne voleva sapere di stare in
braccio alla padrona che alla fine, quando era riuscita a superare
il valico magnetico, grondava sangue per i graffi che il
felino le aveva inferto. Che belli gli animali domestici, pensò.
Del resto se uno non ha niente di meglio su cui riversare il
proprio affetto e la solitudine.
Michael Bardi, si diresse verso la zona pedonale che conduceva
al treno che portava ai terminal. Finalmente al Dulles
Airport avevano completato il pluriennale progetto di ampliamento
e di sostituzione degli shuttles, quegli strani veicoli
che si alzavano e abbassavano e conducevano i passeggeri alle
partenze delle aerolinee.
Il convoglio si fermò e Bardi salì inseme ad altre decine di
persone che trascinavano carry-on e borse a tracolla. Al gate
della United volo 966 per Roma si mise in fila per passare sul
red carpet perchè i passeggeri di prima e business stavano per
essere imbarcati.
Una volta a bordo, trovato il suo posto vicino al corridoio,
s’immerse nella lettura di alcune carte che aveva estratto dalla
borsa del computer. La cuffia antirumore della Bose riusciva
a eliminare il 90 per cento del ruggito dei motori in partenza
sulla pista.
Sintonizzò l’auricolare su un programma di musica classica
tra quelli offerti dalla compagnia aerea. Tra circa otto
ore e spiccioli sarebbero atterrati a Roma, FCO, aeroporto
Leonardo da Vinci di Fiumicino.
Il Boeing 777 aveva ormai raggiunto quota e stava dirigendosi
verso nord est per iniziare la traversata transatlantica.
Michael Bardi abbassò la spalliera della sua poltrona non senza
aver prima dato un’occhiata dietro per vedere se in qualche
modo poteva recare disturbo alla persona che stava dietro di
lui.
E il suo sguardo incontrò quello di un’avvenente brunetta
che ricambiò l’occhiata di ammirazione che lui aveva lanciato
alle lunghe gambe che fuoriuscivano da una mini-mini
gonna.
Michael sospirò sorridendo tra sè e si mise a pensare ai fatti
suoi. Non aveva voglia di continuare a leggere. La mente e
il ricordo vagavano alla ricerca degli episodi significativi della
sua giovane vita.
La tragica morte del padre in un incidente d’auto mentre
percorreva il Passo dello Stelvio. Forse ad andatura eccessiva.
Ma papà amava andare forte e aveva frequentato anche qualche
corso di guida veloce.
Lui, Michael, aveva appreso la notizia della scomparsa del
padre quando era in collegio a Saint Morritz e stava per dare
la maturità. A informarlo era stata la mamma che gli aveva
telefonato piangendo. Ma sull’intensità di quel dolore aveva
sempre espresso qualche dubbio.
Il rapporto tra i genitori si era logorato da tempo, complice
l’attività industriale che portava suo padre in giro per il
mondo a installare impianti in paesi emergenti. E complice il
fatto che sua madre, un’americana di Los Angeles trapiantata
in Italia, era una bella donna, ormai disperatamente occupata
a mantenere la sua grazia muliebre che suscitava ondate di
desiderio nei maschi del tennis club che frequentava assiduamente
a Milano.
Poi, dopo meno di un anno dalla morte del padre si era
sposata di nuovo con un vecchio amore di gioventù che comunque
godeva di un patrimonio di tutto rispetto ereditato
dai genitori e che si ingegnava a dissipare con una costanza
degna di nota.
Mamma... no: chiamarla mamma era forse troppo. Madre,
sì, madre biologica. Utero nel quale si era formato per
nove mesi. E poi la sua infanzia era stata punteggiata solo
dall’affetto delle tate che si erano avvicendate nel farlo crescere,
asciugare le lacrime delle sue bizze, cercare di riempire
il vuoto causato dalla assenza istituzionalizzata di mammina,
sempre impegnata in eventi, mostre, concerti, parties, settimane
bianche, gare di tennis, sedute di burraco e via citando.
Dopo il liceo e la maturità con il massimo dei voti, il passaggio
all’università. London School of Economics e anche
lì risultati brillanti, amorazzi con quelle ragazze che Michael
selezionava tra le molte in adorazione perenne. E risultati negli sport, s
oprattutto in quelli individuali come il tennis e le
arti marziali dove eccelleva. Cintura nera di Judo e terzo Dan
di Karate full contact.
Quasi due metri di altezza, zazzera di capelli biondi ondulati.
Lo studio della musica fatto in Svizzera gli aveva consentito
di innamorarsi della chitarra classica. E si negava con
decisione quando i soliti festaioli gli chiedevano di portare lo
strumento per animare qualche festicciola. “Non ho il repertorio
adatto”, rispondeva con finta umiltà.
E infatti dopo l’ennesimo diniego gli amici e le amiche
avevano riversato la loro attenzione musicale su un collega
che cantava con una voce discreta eseguendo qualche accordo
sulla chitarra.
Dopo Londra gli avevano offerto una posizione interessante
a Montreal in una azienda specializzata nel settore difesa.
Nel frattempo, tanto per far passare il tempo, si era immerso
nello studio dell’arabo, lingua che andava ad aggiungersi a
quelle che aveva praticato perfettamente in Svizzera: italiano,
inglese, francese, tedesco e anche un pò di spagnolo visto che
c’era. Si riteneva fortunato perché il suo talento musicale lo
agevolava molto nell’apprendimento degli idiomi.
Oltre al passaporto italiano e a quello svizzero gli avevano
procurato anche quello canadese. Quasi glielo avevano imposto
i suoi capi che sapevano bene come si utilizzavano certe
scorciatoie ministeriali.
Una sera mentre con la ragazza di turno bevevano in un
pub era stato avvicinato al bancone del bar da un tale in abito
scuro che gli aveva chiesto di passargli la coppa di legno con
le noccioline. E nel frattempo gli aveva dato un biglietto.
Poi se n’era andato dopo avere bevuto un sorso di birra.
Michael aveva chiesto scusa alla ragazza perchè doveva recarsi
al bagno. Quella birra aveva effetti idraulici molto potenti.
“Mi raccomando: trattamelo bene”. Aveva detto la spudorata.
Vicino ad altri che pisciavano litri e scoreggiavano alla
grande correndo il pericolo di farsela addosso, Michael mentre
mingeva si mise a leggere il biglietto. Vi era scritto solo
un indirizzo a lettere maiuscole, la data e l’ora dell’incontro.
L’aereo era entrato ora in una zona di forte turbolenza
annunciata dal comandante con invito a tenere allacciata la
cintura. Il servizio di ristorazione era stato sospeso e anche
gli assistenti di bordo si erano messi a sedere, cercando di
nascondere con volti quasi impassibili la preoccupazione per
l’agitarsi dell’aereo.
E Michael si chiese perchè il comandante non avesse scelto
di modificare la rotta quando gli strumenti gli avevano
segnalato la forte turbolenza.
Dopo venti minuti ‘il gran ballo’ si attenuò fino a cessare e
il servizio riprese in mezzo al sollievo dei passeggeri.
Lo steward assegnato alla sua sezione era un evidente omosessuale,
tutto mossette. Si avvicinò a Michael chiedendo
cosa sceglieva nel menu. Michael aveva poca fame e si orientò
per la cernia al forno.
Era la volta della ragazza dalla superminigonna nella poltrona
dietro Michael. Scelse il filetto. “Come vuole la carne?’
chiese lo steward. “Deep inside!” fu la risposta squillante della
gentildonna fatta perchè Michael sentisse.
“Meglio fare la parte dello stupido, prima che lei decida di
cambiare posto venendo accanto a me”, pensò Bardi.
Lo steward venne a ritirare il vassoio e non tralasciò occasione
per incidentalmente strofinarsi al giovane biondo.
“Decisamente questo è il mio giorno”, commentò Michael.
La stessa frase detta a Montreal quando si era recato al
305 di Rue de la Commune. Aveva suonato il campanello
corrispondente al nome di una società. Il portone si era aperto
cigolando e Michael Bardi si era trovato all’interno di un
cortile di un condominio ricavato da un vecchio magazzino
di raccolta e spedizione dei cereali.
“Salve, Mr. Bardi. Venga pure dentro”. Il giovane gigante
biondo, capelli rasati da GI, spalle possenti in un abito nero,
scarpe nere di vernice tipo soldati che fanno il cambio della
guardia al Milite Ignoto nel cimitero di Arlington, gli aveva
sorriso a sessantaquattro denti.
Michael era entrato in un appartamento adibito a ufficio.
Dietro una scrivania Ikea un altro gigante sui quaranta
e oltre. Volto scavato dalle rughe e abbronzatura permanente
tipica di uno che passa la sua vita in zone desertiche. O ai
Caraibi, va a sapere.
“Grazie, Mr. Bardi di avere accettato il nostro invito un
pò singolare. Sono il colonnello Bradford dei US Navy Seals.
La stiamo seguendo da qualche anno e dobbiamo ammettere
che sino a ora lei si è molto distinto sia negli studi che nell’attività
professionale e sportiva”.
E così Michael si era trovato inserito nel prestigioso corpo
fondato nel 1962 e da sempre adibito al compimento di incarichi
speciali come eseguire azioni di ricognizione, di anti
terrorismo e di guerriglia non convenzionale per terra e per
mare. I SEAL di fatto potevano fare quello che gli pareva
in qualsiasi parte del globo pur di raggiungere gli obiettivi
prefissati in segreto nell’interesse degli Stati Uniti d’America.
Dopo un intenso training a Coronado, California e poi a
Little Creek in Virginia, Michael si era trovato subito impegnato
in operazioni all’estero. La scoperta del covo di Osama
Bin Laden e la sua uccisione era stata una missione alla quale
aveva partecipato? Segreto.
Otto del mattino successivo; il volo United 966 si preparava
ad atterrare a Fiumicino. Fuori tutta la ‘biancheria’ come
in gergo chiamano gli ipersostentatori e i flaps. Tempo piovoso
e pozze d’aqua sulla pista quando i carrelli toccarono.
Michael Bardi viaggiava solo con un carry-on e la borsa del
computer. Se aveva bisogno di ricambi li avrebbe comprati
nel paese dove stava arrivando. Ormai si trovava di tutto da
tutte le parti.
I passeggeri della business si avviarono verso la porta. Prima
di varcarla Michael sentì una mano che gli toccava il sedere
per poi salire sul suo fianco infilando nella tasca della
sua giacca un biglietto con numero di telefono. La brunetta
non demordeva.

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