sabato 1 novembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 3


“Indirizzo?” chiese il tassista di origine somala. “Mi faccia
vedere: 2800 Sedicesima strada. Ma credo si debba entrare
da Mozart St”.
I tassisti di Washington sono una disgrazia. Non conoscono
le strade e la maggior parte di loro non ha il navigatore
perché non vogliono spendere.
Sedicesima strada. Il taxi passò davanti alla House of Temple,
sede dello Scottish Rite. Un imponente building di marmo
con ai lati della gradinata due Sfingi.
La vettura svoltò a sinistra su Fuller street e poi a destra
su Mozart st. Ed entrò in un grande parcheggio che apparteneva
allo Scottish Rite Center, tempio del Rito Scozzese
massonico del sud che gestiva anche la clinica per bambini
disabili nell’udito e nella parola le cui spese erano coperte dai
massoni di Washington.
Il passeggero pagò la corsa e uscì dal taxi avviandosi verso
una porta di metallo vicino alla quale erano alcuni ‘fratelli’ in
tuxedo, che stavano fumando.
Sorrise, salutando come se li conoscesse da sempre; aprì la
porta ed entrò dentro il centro. C’erano già molti fratelli che
parlavano tra loro e, attendendo che iniziasse la cerimonia, si
aggiustavano l’apron, il grembiule.
“Per la registrazione dove devo andare?” domandò il visitatore.
“Nel salone, segui le indicazioni”. Breve corridoio, svolta a
sinistra e si ritrovò nell’ingresso principale, comunque chiuso
per ragioni di sicurezza. Un lungo tavolo dietro al quale lavoravano
due giovani assistenti del Grand Secretary.
“Il tuo nome?”.
“Habib Fareh”.
“Non risulta. A quale Loggia appartieni?”.
“Grand Lodge of Lebanon. Ho qui la dichiarazione del
nostro Gran Segretario e il certificato di ‘good standing’. Dovreste
avere la lettera ufficiale di presentazione. È stata mandata
una diecina di giorni fa”.
I due assistenti erano perplessi. Si scambiarono occhiate
preoccupate. Poi uno prese un badge bianco sul quale scrisse
‘Habib Fareh, Grand Lodge of Lebanon’ e lo consegnò al
visitatore che stava osservando il busto del Generale Albert
Pike grande restauratore del Rito Scozzese in America.
Habib Fareh si applicò sulla giacca il cartellino adesivo,
ritornò nel corridoio e poi entrò nell’auditorium da 500 posti,
palcoscenico come quello di un teatro di Broadway con
quinte e scene.
Trovò un posto libero, schiacciato tra due enormi massoni
con decine di chili di grasso che debordavano sulla sua sedia.
Cerimonia del Brotherhood WeekEnd, un evento massonico
che aveva assunto nel tempo una forte rilevanza internazionale.
Infatti seduti nel settore destro dell’anfiteatro Habib
Fareh vide i rappresentanti di delegazioni estere di Grandi
Logge.
Il Brotherhood WE era stato creato una decina di anni
prima, una logica derivazione delle Logge Bilingue che caratterizzavano
la Gran Loggia di Washington D.C.
Queste logge erano un ponte diplomatico-massonico tra la
Capitale degli Stati Uniti e il rispettivo paese di riferimento.
Il Brotherhood Week End era una manifestazione che si
svolgeva mettendo fratelli di diversa nazionalità nelle postazioni
della Loggia. Ognuno recitava il rituale nella propria
lingua nazionale. Poteva sembrare una torre di Babele. Ma
per i massoni di Washington si trattava della conferma del
concetto di Fratellanza Universale che accomuna gli aderenti
a questa antica Istituzione.
Habib Fareh notò che l’età media dei Grand Officers della
Grand Lodge of Washington DC era sui trenta anni. Tutti
rigorosamente in abito da cerimonia con code.
Ogni Fratello che copriva una postazione, a cominciare
dal Gran Maestro che portava in capo il cilindro, aveva un
radio microfono con auricolare gestito dalla cabina di regia
che comandava le luci e gli effetti sonori. L’organo situato in
una nicchia sulla sinistra dell’anfiteatro era suonato da un
esperto musicista massone. Nessun ‘profano’ era ammesso
alla cerimonia.
La cerimonia si snodò con semplicità e senza intoppi,
segno che gli attori si erano sottoposti a numerose prove.
Ognuno recitava a memoria la propria parte.
Al termine i fratelli scesero nella sala da ballo dove era
stato allestito un buffet-lunch e decine di lunghi tavoli che
ospitavano i partecipanti.
Habib Fareh si era fatto indicare il rappresentante della
Loggia Armena e di quella Iraniana in esilio. Fece in modo di
trovarsi vicino a loro quando prese posto a un tavolo d’angolo.
Attaccò discorso, presentandosi nella sua qualità di rap-
presentante della Gran Loggia del Libano.
I suoi interlocutori lo osservarono e cambiarono marcia
alla loro attenzione: da conviviale a molto interessata. E cominciarono
le domande: “Gran Loggia del Libano? Tempo
fa abbiamo avuto un grosso problema quando la nostra Gran
Loggia di Washington ha sottoscritto la creazione di una
Loggia in Libano. Ne è venuta fuori una polemica astiosa
con un altra Gran Loggia”.
“Ma tu veramente… da dove vieni e chi rappresenti?”.
Habib Fareh sorrise: “È chiaro che voi non siete a conoscenza
della realtà della presenza massonica in Libano, con
tutto il dovuto rispetto - disse con tono calmo e mostrando
sicurezza - Scusatemi un momento perché devo andare alla
toilette”.
Si allontanò. I suoi interlucutori si guardarono poco convinti
e decisero di andare a parlarne con l’ex gran maestro che
aveva gestito la difficile situazione in Libano.
“Cercate di bloccarlo”. Disse allarmato, “Perché bisogna
vederci chiaro e capire chi è questo tale che si spaccia come
fratello libanese”.
I due giovani cominciarono a cercare Habib Fareh ma non
riuscirono a rintracciarlo. Sparito nel nulla.
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(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)

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