venerdì 21 novembre 2014

W.D.C sotto traccia - Capitolo 9

Da qualche anno le principali linee aeree americane avevano
soppresso i voli diretti Washington-Acapulco. Bisognava
fare scalo a Miami, Houston o Dallas e poi prendere un diretto
per la città messicana.
A Michael avevano spiegato che la corrente principale di
turismo si stava ormai riversando sulla costa atlantica del
Messico. E così Acapulco per tanti anni punto di ritrovo di
tutta l’Hollywood che contava a cominciare da Tarzan - John
Westmuller, John Wayne e Silvester Stallone e molti altri attori
famosi, aveva iniziato un’irreversibile caduta.
Qualcuno aggiungeva che la città, raggiunto ormai il milione
di abitanti, sommando i settecentomila della municipalità
ai sobborghi, era invivibile. Criminalità in aumento e un
paio di morti al giorno.
“Ma non c‘è da preoccuparsi, senor” – disse il tassista a Michael
Bardi nel tragitto dall’aeroporto internazionale General
Juan N. Alvarez al Maya Resort. “Si ammazzano tra di loro”.
La stampa locale, infatti, dava notizia dell’ennesimo ritrovamento
di cadaveri decapitati secondo l’usanza locale.
E poi quel ‘loro’ comprendeva le bande di trafficanti di
droga sempre più potenti, sempre più armate e sempre più
in lotta per la supremazia nel mercato americano. Che continuava
a tirare alla grande e dava la sicurezza di enormi guadagni.
Arrivarono all’ingresso principale del comprensorio e Michael,
pagata la corsa e scaricato il suo bagaglio, si diresse verso
gli uffici dell’accettazione. La ragazza al di là del bancone
appena comprese il suo nome prese il telefono e comunicò
che Mr. Bardi era arrivato.
Questione di un minuto e un cart elettrico si presentò guidato
da un giovane moro, molto bello, vestito di bleu, nonostante
il caldo afoso che imperversava da giorni sulla regione.
“El Nino, senor, insieme alla Nina ci fanno morire”. Aveva
detto il tassista ciarliero nella cui macchina l’aria condizionata
aveva cessato di funzionare chissà da quanti anni.
“Mr. Bardi, bene arrivato. La porto subito al suo cottage”.
Disse il bellone e Michael salì sul cart. Breve tragitto
sui vialetti, scansando frotte di bambini vivaci e anziani su
sedie a rotelle. Il giovane aprì la porta dell’unità, chiaramente
riservata agli ospiti di lusso (un equivalente di una super suite
in qualche albergo di Las Vegas) e Michael si trovò immerso
in un’atmosfera di grande e raffinato gusto. Un arredamento
non pacchiano, con i doverosi riferimenti alla civiltà Maya.
Unico tributo pagato alle esigenze del turista danaroso
proveniente dagli Stati Uniti, la vasca per idromassaggio Iacuzzi
in camera da letto. Da usare ovviamente con flutes di
champagne appoggiati sui bordi e candele accese un po’ da
per tutto. Secondo l’iconografia americana del sesso fatto in
una certa maniera, ovvero con stile.
“Mi permetterò disturbarla tra qualche ora. Le nove, se
per lei va bene. Avrà così tutto il tempo per rilassarsi e fare
un bagno in una delle piscine”. Aggiunse il giovane con uno
sguardo vellutato a Michael che si rese conto di avere fatto
centro con il gay di turno.
Michael tirò fuori dalla valigia un completo di lino comprato
a Roma, una camicia bianca che faceva parte di uno
stock su misura che ogni tanto ordinava a Firenze. Un paio di
cravatte di Marinella di Napoli trovarono il loro posto dietro
la porta dell’armadio. Mocassini di Gucci da indossare ovviamente
senza calzini. Doccia e poi disteso sul letto dopo avere
regolato il termostato dell’aria condizionata al massimo.
Gli venne fatto di ricordare i particolari dell’incontro
che aveva avuto pochi giorni prima a Roma, all’Olgiata con
quell’ex massone. La proposta di contratto ancora non gli era
arrivata; ma sarebbe mai arrivata dal momento che quell’appuntamento
ufficialmente non era mai avvenuto? La minaccia
contenuta nelle parole di Cardoni, quella invece era arrivata
a segno benissimo. Nonostante il modo amabile e soft
delle sue parole.
Da un paio di anni era impegnato nel gestire alcune importanti
consulenze. Ma chiaramente doveva essersi sparsa
la voce in certi ambienti che contavano. La cosa gli faceva
piacere sino ad un certo punto. Nel suo mestiere la regola
aurea era quella di stare sotto traccia. E anche questo invito
al Maya Resort rientrava nella categoria delle pubbliche relazioni
di business.
Gli era arrivato tramite una serie di e-mail la prima delle
quali risaliva a qualche minuto dopo l’incontro dell’Olgiata.
Di ritorno dall’Italia, era riuscito a ritagliarsi una ‘toccata e
fuga’ di qualche ora in Mexico.
Edmundo Gutierrez era il nome del proprietario del Resort
e non solo di questo. Bastava andare su Google per leggere
ampie citazioni su questo Gutierrez.
Esponente politico di spicco dello stato di Guerrero per il
PRI, Partido Revolucionario Institutional, (da oltre 70 anni
alla guida del Paese) era riuscito a divenirne per qualche anno
il governatore, costretto a fare la spola tra Acapulco e la piccola
capitale del tormentato stato, Chilpancingo.
Poi quando nel PRI si era verificata la frattura a livello
nazionale che nel 1987 aveva portato alla formazione di un
altro movimento politico di sinistra, il Partido Democratico
Revolutionario, Edmundo Gutierrez aveva pensato bene di
lasciare la politica attiva che era solo una perdita di tempo
e dedicarsi ai suoi affari. Che le malelingue dicevano fossero
commisti con i grandi traffici di droga.
Un’accusa che in Mexico viene affibbiata ad ogni persona
che si cimenta in politica, tanto pervasiva è la presenza della
criminalità organizzata che fa leva sulla tradizionale cultura
messicana imbevuta di corruzione ad ogni livello.
Così rimuginava Michael a occhi chiusi sperando di assopirsi.
E finalmente Morfeo l’ebbe vinta.
Sognava e gli sembrava di guidare sulle strade piene di verde
della Virginia. Una piscina in una farm e una sirena bionda
che usciva dall’acqua e gli sorrideva, mentre un rumore
insistente gli percuoteva le tempie. Il telefono stava squillando
con un suono stridulo e penetrante. Michael, ancora
intontito, alzò il ricevitore con un gesto automatico.
Il telefono. “Mr. Bardi sono le nove e il suo appuntamento
è tra venti minuti nella hall del Maya”, la voce del moretto
era un po’ eccitata.
“Va bene. Mi ero addormentato. Tra un quarto d’ora sono
pronto”.
“Sarò ad aspettarla fuori del suo cottage con il cart”.
Doccia fredda prolungata, una rapida passata con il rasoio
elettrico che gli manteneva alla giusta altezza il filo di barba,
vestito di lino, camicia (senza cravatta, con quel caldo… ) e
mocassini infilati all’ultimo momento. Aprì la porta.
Il giovanotto vestito di blue era sul cart e gli sorrideva con
intensità.
Il cart iniziò la sua corsa silenziosa lungo i vialetti verso la
costruzione principale del resort. Ispirata ai Maya con fontane,
piramidi, riproduzioni del calendario di quella civiltà e il
tripudio di colori che solo in Mexico si trova.
Il cart si fermò alla base di una breve scala che conduceva
sotto un patio che comprendeva uno dei vari ristoranti e il
bar dove un trio di chitarristi cantanti si stava esibendo suonando
in maniera perfetta una delle canzoni messicane più
apprezzate da Michael, “Sabor a mi”.
I tre cantavano per un attempato ma vigoroso gentiluomo,
camicia nera su pantaloni neri e calzari, che ascoltava sorridendo,
rapito, mentre sorseggiava un whisky on the rocks.
Alle sue spalle seduti tre individui anch’essi nero vestiti. Due
dalle dimensioni di giocatori di football americano. Il terzo
mingherlino, baffetti e pizzetto alla Mefisto che contribuivano
a rendere spettrale il suo viso. Chiaramente un locale.
All’arrivo di Michael, Edmundo Gutierrez si alzò dalla
poltrona con una certa fatica, forse soffriva di gotta. Sorrise
con lo splendore dei suoi trentadue denti appena impiantati,
colorito bruno che rivelava come qualcuno dei suoi progenitori
si fosse innamorato di una fanciulla india.
“Sto bevendo un whisky favoloso. Vuole tenermi compagnia?”,
esordì Gutierrez.
Michael annuì sorridendo. Le tre guardie del corpo avevano
spostato di un metro le loro sedie. L’assistente si era
dileguato.
Gutierrez fece un cenno con la mano al bartender che si
precipitò con bicchiere, bottiglia, cestello del ghiaccio.
Stretta di mano a Michael che si attendeva quella massonica.
Evidentemente Gutierrez non era un fratello. Meglio
così. Va a fidarti.
“Cardoni mi ha subito chiamato appena lei è uscito da
casa sua a Roma. E così mi sono messo in moto io. Le ho
mandato un po’ di messaggi e la ringrazio per avere aderito a
questa richiesta di incontro, anche se in un così breve spazio
di tempo, immaginando i suoi impegni professionali in giro
per il mondo”.
Michael Bardi sorridendo fece un gesto con le mani come
per dire: “Ma le pare? È un piacere reciproco” e tutti i minuetti
di rito che precedono la trattativa di temi e argomenti
molto duri.
Edmundo Gutierrez era un uomo di mondo, preparato
culturalmente e abituato da sempre a gestire i propri affari e
quelli che gli venivano affidati da poche altre persone molto
selezionate. Parlava in maniera diretta ma senza caricare il
discorso di enfasi. Il che per un messicano doc era una eccezione,
visto che non usava iperboli e aggettivazione.
“Cardoni le ha parlato del nostro club, delle nostre preoccupazioni.
Non le ha detto che abbiamo investito al momento
un sacco di dollari in una delle più note società di lobby
di Washington. Ovviamente sulla K Street. Ma non siamo
molto soddisfatti dei risultati raggiunti. Anche perché, parliamoci
fuori dei denti, lei sa bene come funzionano queste
aziende.
Raccolgono superpagati consulenti, ovvero quegli uomini
politici di alto livello che sono stati trombati in qualche elezione.
Ma che comunque per l’intensa attività politica svolta
si sono creati una fitta rete di contatti ai livelli più alti della
amministrazione. Senza parlare dei colleghi di partito e
anche di quelli al potere. Tanto il dollaro non ha e non avrà mai
colorazioni politiche”.
Edmundo Gutierrez si concesse una pausa indicando al
barista di riempirgli di nuovo il bicchiere del biondo liquido.
“Chissà quanti ne ha bevuti sino ad ora”, pensò Michael, ammirando
la tenuta all’alcool del suo anfitrione.
“Da tempo puntiamo ad averla come nostro collaboratore.
Abbiamo studiato il suo curriculum e seguito la sua attività
professionale. Non è nostra abitudine forzare la mano. Vorremmo,
come dire? Stabilire un periodo di rodaggio reciproco
per il quale le sarà corrisposto un lauto assegno. Il primo
impegno che le chiediamo, sperando in una sua accettazione,
è la verifica di quello che stanno facendo per noi sulla K street.
Abbiamo il sospetto che alcuni dei nuovi dirigenti della
società di lobby stiano facendo a nostre spese il doppio gioco.
Non si spiegherebbero altrimenti le informazioni riservate
che sono in mano ai sostenitori delle energie alternative e
complementari.
Guardi in questa busta ho messo un assegno che penso
possa coprire le spese per il primo rapporto sull’argomento
che vorrà inviarci. Prenda la busta, ci pensi sopra questa notte
prima di dormire. E domani ne riparleremo”.
Gutierrez alzò la mano e da un piccolo tavolo poco distante
si levò una dea che zampettando su tacchi altissimi, gli si
avvicinò baciandolo lievemente sulla guancia.
“Penso che sia arrivato il momento di andare a mangiare
qualcosa. Questa è la mia nipotina”.
Gli occhi verdi sotto un caschetto di capelli neri folgorarono
Michael e lo trapassarono.
“Questo è Michael e questa è Olivia”. Disse Gutierrez dirigendosi
verso il tavolo riservato nel ristorante.
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 (Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)

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