“Fratello Bardi, gracchiò la voce al telefono, Come state? Sono Cardoni. Vi chiamo da Roma perché ho saputo di un piccolo inconveniente che vi è capitato in Mexico. Vi siete preso ‘la vendetta di Montezuma’. Una fastidiosa gastroenterite, male tipico dei turisti che non prendono precauzioni prima di andare da quelle parti. Che è poi il corrispondente della ‘vendetta di Allah’, con tutto il rispetto per gli amici musulmani, che ti costringe a lunghe sedute nel bagno. Spero, comunque, che vi siate rimesso bene. La prossima volta prendete del Bimixin prima di partire. Tutto va avanti al meglio, a parte Montezuma. Vi raccomando solo di non essere emotivo. A proposito: mi hanno telefonato dalla Smithson & Bradley Law Firm di Washington chiedendomi di ringraziare il caro Edmundo. È proprio vero che gli estremi si toccano”. A presto”. Michael chiuse il cellulare, mentre dall’altro lato della scrivania Rachel si abbassava gli occhiali sul naso e lo guardava con aria interrogativa. “Tutto OK. Un amico da Roma”. Disse Michael liquidando l’argomento.
Oreste Balducci, segretario della Loggia Garibaldi, lesse per la seconda volta l’e-mail ricevuto. “Gentile Segretario: come sapete sono molto impegnato in frequenti viaggi all’estero per la mia attività professionale. Questi viaggi mi tengono lontano da Washington per lunghi periodi di tempo. Volendo continuare il mio percorso di perfezionamento massonico, vi sarei molto grato se voleste farmi avere un ‘Certificato di buona condotta’ che viene richiesto quando chiedo di essere ammesso ai lavori di qualche Loggia nei paesi in cui mi trovo a operare. Ringraziandovi vi porgo il mio TFA (triplice Fraterno Abbraccio). Michael Bardi, Master Mason”.
Oreste Balducci compose il numero del telefono di Gaetano Olderisi, Worshipful Master della Loggia. E gli lesse il messaggio appena ricevuto. “Questo è uno di quelli che non si fanno vedere in Loggia e chiede di avere anche il passaporto massonico. In tanti mesi non ha trovato il tempo di dedicare due ore a una tornata della nostra Officina”, disse il Maestro Venerabile con tono seccato. “Rispondi che la pratica è di competenza della gran segreteria della Gran Loggia alla quale manderemo la richiesta. Bisogna che lo incontri. È un ottimo giovane, superpreparato. Potrebbe essere per noi una gran risorsa, solo che volesse dedicare uno spicchio del suo tempo alla nostra Loggia”.
Le cinque del pomeriggio in Piazza Signoria a Firenze. Seduto a un tavolino all’aperto del Caffè Rivoire, un uomo sulla trentina, incarnato olivastro tipico di un mediorentale. Assorto nei suoi pensieri, mentre sorseggiava una granita potenziata con un bicchiere di vodka. Il suo aspetto all’appa
renza comune, aveva se lo si guardava con attenzione degli elementi inquietanti. Ammirava le meraviglie artistiche della città disposte a pochi metri da lui. Sul tavolino teneva una guida di Firenze. Di fronte la facciata di Palazzo Vecchio, con in cima alla scalinata la copia della statua del David di Michelangelo. “L’originale si trova a San Marco”, pensò. E si mise a osservare con un piccolo binocolo la fontana del Nettuno meglio conosciuta dai fiorentini come ‘il Biancone’, scultura fatta dall’Ammannati e distrutta a parole da Michelangelo. E poi la Loggia dei Lanzi sulla destra e tra le varie statue quella di Perseo con la testa di Medusa. Un sorso di granita. L’uomo ricordò la descrizione del Cellini nella sua autobiografia, quando in piena fusione della statua gli venne a mancare lo stagno. E sguinzagliò tutti gli apprendisti della bottega a raccogliere dai vicini le posate di quel metallo che, gettate nel crogiolo, salvarono la fusione a cera persa. La prima in un pezzo solo di così grandi dimensioni. Che uomini quegli artisti fiorentini.
Il suo cellulare cominciò a vibrare. L’uomo aprì la conversazione. Dall’altra parte una voce chiaramente crittata attraverso un meccanismo speciale gli chiese dove si trovava. “A Firenze, in piazza della Signoria”. Rispose sussurrando nel ricevitore. “Bene: le verrà consegnata una busta con i dettagli della nuova missione. Si mantenga sottotraccia il più possibile. Eviti ogni iniziativa che possa lasciare un ricordo. A Firenze lei è uno delle decine di migliaia di turisti che ogni giorno affollano la città. Si comporti come tale. Questa vacanza a Firenze deve servire per far decantare la situazione. Non mi faccia aggiungere altro, ha capito?”.
Guardò l’orologio e confrontò l’ora con quella della torre di Palazzo Vecchio. Lasciò 20 euro e si avviò verso l’ingresso principale dove già un uomo di mezza età lo stava aspettando con un cartello sul quale figurava una X. “Bene arrivato, lieto di conoscerla. Mi chiamo Giovanni e sono una guida ufficiale. Devo dire che lei deve essere sicuramente una persona molto importante (ride) perché non è facile farsi aprire lo studiolo a quest’ora”. La conversazione o meglio, il monologo avveniva in buon inglese. Sorriso stentato dell’ospite. E invito ad andare avanti nell’illustrazione. “Da quello che lei mi ha scritto non è il caso di soffermarsi sul Salone dei 500 e Museo degli Uffizi che lei ha già visitato in altre occasioni”.
Ma entrati nell’immensa sala, che è stata sede anche del primo parlamento dello stato italiano quando Firenze per poco tempo ne fu la capitale, si soffermò rivolgendosi alla parete nord coperta da uno dei giganteschi affreschi del Vasari. “Forse lei sa – iniziò Giovanni notando che comunque il suo cliente non era rimasto insensibile alla bellezza degli affreschi - che un noto ricercatore fiorentino, (ne hanno parlato a più riprese le grandi televisioni di tutto il mondo) il professor Maurizio Seracini, da più di venti anni sostiene che sotto questo affresco vi è quello di Leonardo conosciuto come ‘La Battaglia di Anghiari’. “No, non lo sapevo”. Rispose il turista senza abbassare lo sguardo. “Si tratta di una storia affascinante: Leonardo che era sempre alla ricerca di innovazioni, volle dipingere l’enorme parete riscoprendo l‘ ‘encaustum’, una tecnica pittorica a base di olio di noce che a differenza del tradizionale affresco avrebbe dovuto consentire una migliore ‘riflessione’ pittorica, una luce diversa. Purtroppo, come narrano le cronache del tempo, l’intonaco rigettava i colori. Pensi che Leonardo allestì degli enormi bracieri sperando di asciugare la sua opera. Ma fu inutile. E Leonardo rinunciò al lavoro. Sulla parete ricoperta di intonaco il Vasari affrescò i suoi dipinti”. “E questo come lo sappiamo?” chiese l’uomo con un pizzico di insofferenza, cercando di giungere alla fine della storia. “Beh, questo Seracini con tecnologie speciali sembra abbia individuato i frammenti dell’opera di Leonardo. Ma l’amministrazione comunale di Firenze si è sempre opposta a che si facessero dei carotaggi. La solita burocrazia. Oggi è diverso: hanno dato un assenso a effettuare dei sondaggi. Ma sono insorti dei gruppi capitanati da intellettuali e critici d’arte che si sono rivolti alla magistratura. Insomma: una classica storia all’italiana”, concluse la guida Giovanni dirigendosi verso la porticina che dava sullo studiolo e che fu aperta da un dipendente comunale, visibilmente contrariato perché doveva fare uno straordinario. Il visitatore passandogli davanti gli allungò un biglietto da 50 euro e la faccia assunse un’espressione più rilassata. “Vadino e faccino pure con comodo”, disse il funzionario che doveva avere qualche problema con il congiuntivo della lingua di Dante. “Siccome lei non è un turista qualsiasi, disse la guida Giovanni, sento il dovere di dirle che le farò una duplice esposizione. La prima di carattere ufficiale e la seconda di carattere, diciamo, popolare. Cominciamo col dire che questo piccolo studiolo era il luogo in cui Francesco I de’ Medici amava ritirarsi per i suoi,
esperimenti e ricerche. Francesco, secondo duca di Firenze dopo il padre Cosimo, era un tipo molto particolare per niente amato dai suoi concittadini che angariava con l’imposizione di gravi tasse perché doveva pagare il suo contributo a Ferdinando I di Austria, suo cognato, imperatore, del quale aveva sposato la sorella che sembra fosse claudicante. Ma che dette a Francesco sette figli prima di morire a 31 anni. Qualcuno dice avvelenata da Bianca Cappello, l’amante di Francesco, da lui sposata subito dopo la morte della moglie, dopo averne sistemato il marito. A Francesco interessavano l’alchimia e le collezioni. Ecco: questo studiolo è una sorta di wunderkammer, un luogo dove catalogare i materiali collezionati. È stato completato da Giorgio Vasari e Giovan Battista Andriani. Dopo la morte del GranDuca nel 1587 questo studiolo è stato abbandonato. E solo nel 1920 si è deciso di ripristinarlo basandosi sule documentazioni molto accurate del Vasari. «Lo stanzino ha da servire per una guardaroba di cose rare et pretiose, et per valuta et per arte, come sarebbe a dire gioie, medaglie, pietre intagliate, cristalli lavorati et vasi, ingegni et simil cose, non di troppa grandezza, riposte nei propri armadi, ciascuna nel suo genere. » Vede quel quadro di Giovanni Stradano, ‘Il laboratorio dell'alchimista’? L'uomo al lavoro in basso a destra è lo stesso Francesco I de' Medici. Francesco non ha voluto alcun riferimento religioso nei quadri che adornavano il suo stanzino e la cameretta attigua. E questo gli ha inimicato la curia che a quei tempi non perdonava. Anche se Francesco era un guelfo”. La guida Giovanni continuava a illustrare le pitture sulle pareti. Molte coprivano le porte di armadi. “Queste sono le personificazioni dei Quattro Elementi e
cioè Aria, Acqua, Terra e Fuoco. Nei quattro riquadri angolari, infine, sono rappresentate alcune entità alchemiche: la Flemma, fredda e umida come terra e acqua; Il Sangue, umido e caldo come acqua e fuoco; la Malinconia, fredda e secca come terra e aria; la Collera, calda e secca come aria e fuoco. Questi sono i ritratti dei genitori di Francesco: Cosimo I e Eleonora di Toledo di Alessandro Allori, che copiò quelli ufficiali del Bronzino. In totale otto nicchie per le statue e trentasei dipinti. Dietro ogni pannello si trovano armadi, con l'eccezione di una presa d'aria (badi bene) e porte che conducevano alla stanza da letto di Francesco e ad altre due stanzette "segrete" (lo studiolo di Cosimo e il presunto Tesoro). Bene. Fin qui la descrizione ufficiale. E ora quella ufficiosa che affonda nella credenza popolare. Perché vede: che Francesco fosse un tipo strano e molto dispotico lo abbiamo già detto. Come succede a tutti gli inventori e soprattutto agli alchimisti che erano impegnati nella ricerca della pietra filosofale e nella trasformazione del piombo in oro, insomma: anche questo può avere contribuito a creargli una brutta fama tra i fiorentini. Aggiunga che la morte della prima moglie è stata considerata dalla vox populi come la conseguenza dell’avvelenamento fatto da Bianca Cappello. Resta comunque la diceria del popolino che era solito dire: “Francesco è a palazzo” quando si scoprivano pezzi di cadaveri, soprattutto femminili sezionati che galleggiavano sulle acque dell’Arno. E in questa stanzetta, dicono quelli che nel 1920 fecero i lavori di restauro dello studiolo, sembra che ci fosse uno scivolo adibito, pare, allo smaltimento delle scorie degli esperimenti che Francesco conduceva. Esperimenti che erano l’esca per invitare qualche donzella e qualche cavaliere a vedere le meraviglie che aveva preparato. Ma che non potevano tornare a raccontare agli altri. Non è da escludere che all’origine di questa diceria ci fosse l’atteggiamento della Chiesa che odiava Francesco. E quanto ai cadaveri, di gente morta ammazzata a quei tempi ce n’era abbastanza ogni sera. Non è un caso che i Medici avessero ordinato al Vasari la costruzione di quel corridoio Vasariano che da Palazzo Vecchio, passando sul Ponte Vecchio e superando l’Arno conduce direttamente a Palazzo Pitti. Un modo per evitare attacchi da parte di qualche banda assoldata da famiglie avversarie che odiavano i Medici. Francesco e Bianca morirono lo stesso giorno. Dicono per malaria. Molti sostengono perché avvelenati dal fratello del Gran Duca Ferdinando che aspirava a prenderne il posto. Insomma: storie di ordinaria follia aristocratica”. L’ospite, colorito olivastro, naso pronunciato tipico di un arabo, si soffermò a osservare la stanzetta definita camera da letto ufficialmente, ma che forse era stata il vero mattatoio del Gran Duca Francesco I, tipo strano e depresso. Con la mano sinistra accarezzava le pietre che sporgevano e il suo sguardo era assente. Un sorriso increspava gli angoli della bocca. Si appoggiò al blocco di marmo su cui Francesco aveva fatto a pezzi i poveretti che gli erano capitati tra le mani e che dovevano soddisfare la sua perversione. I minuti passavano scanditi solo dal respiro pesante dell’ospite, come se avesse avuto un problema al setto nasale. La guida Giovanni lo osservava con attenzione, senza interrompere quella singolare meditazione e pensava: “Ma guarda che tipo strano è questo qui. Sembra quasi che provi un orgasmo al pensiero che Francesco I maciullava in questa stanza le sue vittime. Boh!”.
Nell’aprire la porta il commesso comunale che aveva problemi col congiuntivo italiano, si avvicinò al turista e in ottimo inglese gli disse: “Hanno lasciato questa busta per lei”.
Habib Fareh si ritrovò in Piazza della Signoria e si mischiò a un folto gruppo di giapponesi intenti a fotografare il sesso esplicito delle statue di marmo. A cominciare dalla riproduzione del David di Michelangelo.
sabato 27 dicembre 2014
domenica 21 dicembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 15
Michael Bardi non era riuscito a dormire bene. Erano passate alcune settimane dal suo viaggio lampo in Mexico. Il ricordo di Olivia e della notte piena di fremiti veniva spesso a galla nella sua coscienza. Anche nei ripetuti momenti di intimità con la rossa Rachel O’Hara, una vera macchina da guerra che lo utilizzava sessualmente con accanimento. Prima del suo ritorno a Washington Olivia gli aveva promesso che lo avrebbe chiamato sul suo cellulare. Ma fino ad allora non aveva ricevuto alcun messaggio. Olivia gli aveva dato anche il numero del suo ‘mobile’, pregandolo però di non usarlo perché poteva essere sotto controllo. Dopo avere inserito il sistema di allarme, che comunque non aveva funzionato quando qualcuno si era introdotto a casa sua a rovistare tra le sue carte, Michael si infilò nella BMW. Poca benzina nel serbatoio. Decise di fare una piccola deviazione su McArthur Boulevard dove era una stazione di servizio Exxon, tra le più care della Capitale. “È una cosa incredibile”, pensava mentre inseriva la carta di credito nella pompa, “Una differenza di prezzo con i rifornimenti in Virginia, al di là del ponte sul Potomac, che va dai 30 ai 40 centesimi a gallone”. Mentre il serbatoio si riempiva Michael si avvicinò a un telefono pubblico, inserì alcune monete e compose il numero del cellulare di Olivia in Mexico. Breve attesa scandita da scatti e modulazioni sonore. Suonava libero. Una voce maschile chiaramente registrata: “Notizia su El Sol de Acapulco”. E indicò la data.
Michael non se la sentiva di andare a lavorare con Rachel. Tornò a casa. Accese il laptop e andò sul sito del giornale messicano. Lesse l’articolo. Sbiancò in volto. Rimase come paralizzato a fissare nel vuoto per un minuto. Afferrò la bottiglia del whisky e si versò un mezzo bicchiere. Abbassò le tende nel suo studio e si adagiò nella poltrona di cuoio, bevendo a piccoli sorsi il liquore mentre l’impianto hi-fi diffondeva il Concerto n.5 per piano e orchestra di Ludvig Van Beethoven. Digitò sul suo smart phone fino a che trovò una fotografia. Olivia che sorrideva assonnata dopo la notte d’amore che avevano passato insieme. Olivia che si era sacrificata per lui, pur sapendo che stava correndo un grave rischio. Michael sentì gli occhi inumidirsi al pensiero della morte alla quale Gutierrez l’aveva destinata. Una morte terribile che sanzionava la vendetta del mafioso messicano che doveva essere stato informato da qualcuno dei suoi scherani. Oppure, come molto probabile, nella suite avevano messo delle telecamere invisibili.
Il suo cellulare cominciò a vibrare. Era Rachel che chiamava: “Che fai, non vieni in ufficio?”.
“Scusami, ma ho dovuto sistemare alcune pendenze urgenti… tasse e altre cose del genere con il mio consulente amministrativo. Mi hai anticipato, perché stavo per chiamarti.’ “Hai una voce strana questa mattina. Non ti senti bene?”. “Sono un po’ triste perché mi hanno telefonato dalla Svizzera che è morto un mio caro compagno di liceo”. “Mi dispiace Michael. A proposito mi ha telefonato Gutierrez e mi ha chiesto di domandarti se hai letto il Sol de Acapulco. Quando gli ho domandato a che cosa si riferiva mi ha detto che si trattava di una questione tra voi due. Che è successo?"
Michael non se la sentiva di andare a lavorare con Rachel. Tornò a casa. Accese il laptop e andò sul sito del giornale messicano. Lesse l’articolo. Sbiancò in volto. Rimase come paralizzato a fissare nel vuoto per un minuto. Afferrò la bottiglia del whisky e si versò un mezzo bicchiere. Abbassò le tende nel suo studio e si adagiò nella poltrona di cuoio, bevendo a piccoli sorsi il liquore mentre l’impianto hi-fi diffondeva il Concerto n.5 per piano e orchestra di Ludvig Van Beethoven. Digitò sul suo smart phone fino a che trovò una fotografia. Olivia che sorrideva assonnata dopo la notte d’amore che avevano passato insieme. Olivia che si era sacrificata per lui, pur sapendo che stava correndo un grave rischio. Michael sentì gli occhi inumidirsi al pensiero della morte alla quale Gutierrez l’aveva destinata. Una morte terribile che sanzionava la vendetta del mafioso messicano che doveva essere stato informato da qualcuno dei suoi scherani. Oppure, come molto probabile, nella suite avevano messo delle telecamere invisibili.
Il suo cellulare cominciò a vibrare. Era Rachel che chiamava: “Che fai, non vieni in ufficio?”.
“Scusami, ma ho dovuto sistemare alcune pendenze urgenti… tasse e altre cose del genere con il mio consulente amministrativo. Mi hai anticipato, perché stavo per chiamarti.’ “Hai una voce strana questa mattina. Non ti senti bene?”. “Sono un po’ triste perché mi hanno telefonato dalla Svizzera che è morto un mio caro compagno di liceo”. “Mi dispiace Michael. A proposito mi ha telefonato Gutierrez e mi ha chiesto di domandarti se hai letto il Sol de Acapulco. Quando gli ho domandato a che cosa si riferiva mi ha detto che si trattava di una questione tra voi due. Che è successo?"
martedì 9 dicembre 2014
W.D.C sotto traccia - capitolo 14
Il Falcon atterrò all’aeroporto internazionale General Juan N. Alvarez e si diresse verso l’area dell’aviazione civile dove molti altri jet privati erano parcheggiati. Un SUV nero stava aspettando sulla pista. Si trattava di uno di quei mostri che escono dalle elaborazioni fatte da alcune aziende americane che blindano le vetture per i VIP. Vetri antiproiettile, lamine di rinforzo in acciaio temperato, teflon nelle portiere, pneumatici ad alta resistenza, impianto frenante raddoppiato e superturbo nel motore. Prezzo dopo il ‘trattamento’ paragonabile a quello di una Ferrari. Corso di guida per l’autista in un centro speciale gestito dalla stessa azienda che opera la blindatura. Materie trattate: come riuscire a superare senza danni un agguato stradale fatto con comparse che sparano raffiche a salve con i mitra, tecnica dello slalom con un veicolo molto pesante. Clienti delle fabbriche americane specializzate nella conversione delle auto: politici, imprenditori e anche narcotrafficanti. Figure professionali queste che spesso coincidono con la stessa persona. L’onorevole Edmundo Gutierrez scese velocemente la scaletta dell’aereo e si infilò nel SUV nero, stringendo al petto una borsa di cuoio. “Piccola, come stai?” disse sottovoce parlando su uno dei cellulari. “Oh, Edmundo, sei tornato. Sto molto meglio. Disturbi di noi donne. Sono felice che sei di nuovo qui”. “Te la senti di cenare? Ma non voglio costringerti a farmi compagnia se sei indisposta, amore mio”. Olivia rassicurò l’onorevole Gutierrez. Il tempo per Edmundo di fare una doccia e un po’ di relax. Si sarebbero trovati nella saletta riservata del Quetzalcoal alle 9. Olivia indossava un abito lungo di Balenciaga che ne metteva in risalto le splendide forme. Ampio dècolletè che copriva a malapena i capezzoli del seno generoso e pieno. Schiena nuda oltre la vita e tanga d’ordinanza per mettere in risalto il perfetto punto B. Si avvicinò a Gutierrez che già aveva preso posto a un tavolo riservato del noto e raffinato ristorante e lo baciò su una guancia. Poi prese posto di fronte a lui che le sorrideva con un’espressione estasiata per tanta immagine di bellezza. “Ho ordinato anche per te un cocktail di gamberoni. Spero vada bene. Poi proseguiremo con un filetto di cernia appena pescata”. Olivia ricambiò il sorriso reso ancora più accattivante da due fossette ai lati della bocca. “Come è andata la tua visita a Mexico City, se non ti chiedo troppo?”, chiese mentre impugnava il primo flute di champagne Veuve Cliquot brut millesimato. Edmundo Gutierrez toccò con il suo bicchiere quello di Olivia. “Con te non ho assolutamente segreti, amore mio. Soprattutto l’incontro col Presidente a quattrocchi, credo sia stato molto positivo. Vedi: lui ora ha bisogno di avere uno come me al suo fianco, dopo tante esperienze negative fatte con gli avventurieri del partito che finalmente hanno mostrato il vero volto. Il Presidente ha bisogno di poche persone di cui fidarsi. E me lo ha detto con espressioni di grande affetto. Poi siamo passati a esaminare in prospettiva gli anni che mancano alla scadenza del suo mandato che, come sai, qui in Mexico non può essere rinnovato. Al contrario di quanto succede negli Stati Uniti e in altri paesi”. Un sorso di champagne prima di affrontare un gambero. “Sono felice di sentirti dire questo. Finalmente il Presidente si rende conto di quanto sia importante avere al suo fianco una persona meravigliosa come te. E, soprattutto, di grande esperienza”. Edmundo Gutierrez fissò il viso di Olivia, i suoi occhi verdi che sembravano cambiare colore a seconda del suo umore. “Dio, quanto sei bella!”, disse. “Raccontami della tua giornata. Che hai fatto?”. “Nulla di particolare. Ho passato qualche ora ai bordi della piscina, quella grande. Poi sono andata sulla spiaggia e ho camminato a lungo. Avresti dovuto vedere che onde c’erano. Bisogna stare molto attenti perché all’improvviso ne arriva una alta e si corre il rischio di essere trascinati nell’oceano. Poi sono rientrata e dopo la doccia mi sono messa a leggere”. “Che stai leggendo, piccola?”. “Topo mio non ridere: sto leggendo il Corano. Perché voglio capire la ragione per cui quasi due miliardi di persone nel mondo sono musulmani. Anche se il Profeta è venuto a predicare 600 anni dopo Cristo”. “Mi fa molto piacere che tu cerchi di approfondire questi aspetti di una religione che a noi cristiani e cattolici sembra agli antipodi. Diventerai il mio consulente per i problemi della fede”. “Senti Olivia. Mi è venuta un’idea. Facciamo un salto alla Quebrada, dopo cena, a vedere l’ultimo spettacolo di tuffi della sera. Ti va?”. Olivia rispose che erano anni da quando aveva visto l’ultima esibizione. Il cameriere ossequioso servì la cernia con un contorno leggero di fagiolini e di piccole patate al forno. Lo SUV attraversò Acapulco velocemente grazie a un lampeggiante giallo che l’autista aveva posto sul cruscotto. I turisti americani che si avventuravano sulle strisce bianche dei passaggi pedonali dovevano far un salto indietro per non essere investiti. In Mexico non valevano le regole del codice della strada che non era rispettato da alcuno. Contava invece la legge del più forte. E quel SUV nero e superblindato era la quintessenza del potere seguito com’era da un’altra fuoristrada. Le tre guardie del corpo dell’onorevole Gutierrez si fecero largo tra le centinaia di persone che assiepavano le terrazze per assistere allo spettacolo di tuffi della notte. Olivia e il suo anziano amante trovarono uno spazio riservato vicino al parapetto. I turisti venivano tenuti lontani dai due. La Quebrada in spagnolo significa gola, burrone. È una spaccatura della costa nella quale si insinua il mare. I tuffatori che si esibivano lanciandosi dagli speroni di roccia che arrivavano sino ai 35 metri, facevano parte de La Quebrada Cliff Divers. Si dividevano i biglietti e le mance delle migliaia di turisti che affollavano ogni giorno i punti di osservazione. L’atleta doveva calcolare l’esatto momento in cui lanciarsi in un tuffo ad angelo che coincideva con l’ingresso dell’onda nella gola.
Ogni tuffatore si faceva il segno della Croce prima di gettarsi nel vuoto. Ormai si erano lanciati i più giovani da altezze diverse seguiti nella loro arrampicata libera sulle pareti del burrone dalle fotolettriche che illuminavano a giorno la scena. La vista dei giovani corpi abbronzati coperti da costumi da bagno ridotti che venivano stretti col cordino prima del tuffo mandava in sollucchero stuoli di donne di ogni età. L’ultimo tuffo era quello da trentacinque metri di altezza. Quella sera a lanciarsi era stato scelto il famoso Balboa. La fotocellula lo avvolse in un alone di luce. Balboa era piccolo, un corpo certo non statuario. Ogni sera insieme ai colleghi rischiava la vita per un pugno di dollari. Da quando la Quebrada Cliff Divers era stata fondata nel 1934 per difendere dallo sfruttamento i giovani tuffatori, qualche decina erano morti. Balboa si aggiustò il costume rosso mentre si sistemava sullo sperone di roccia. Salutò il pubblico agitando il braccio e chiedendo un applauso che scrosciò dai punti di osservazione e dal bar ristorante. Segno di Croce, qualche secondo di sospensione e poi si gettò nella Quebrada in un armonico tuffo ad angelo. Le telecamere dei turisti lo seguirono fino al suo impatto nell’onda che sopravveniva dall’ingresso della gola. Balboa penetrò nell’acqua in un punto quasi a ridosso della roccia, rischiarato dai fari. E riemerse poco dopo salutato dagli applausi della gente che cominciava a sfollare. Si arrampicò sul costone di roccia e riapparve sul parapetto proprio dove si trovava appoggiata Olivia che gli batté le mani e gli disse “Bravo!” “Grazie, señorita” sorrise l’omino. “Andiamo a vedere da dove si buttano”. Disse Edmundo Gutierrez e si diresse verso la scalinata che conduceva alla piattaforma dove si radunavano i tuffatori.
I turisti avevano lasciato la Quebrada e anche i tuffatori si erano ormai allontanati dopo l’ultima esibizione. Il giorno dopo sarebbe stato ancora più impegnativo a causa dell’oceano molto mosso. Ma la Madonna di Guadalupe li proteggeva. Edmundo Gutierrez tenendo per mano Olivia che si faceva trascinare sul bordo del cliff, le indicò la postazione dalla quale si era appena tuffato Balboa. “Edmundo, per favore: soffro di vertigini. Torniamo indietro”. C’erano delle sedie di plastica e Olivia e l’onorevole Gutierrez sedettero ad ammirare lo spettacolo della luna i cui raggi si riflettevano sulla baia e rendevano argentata l’onda che si insinuava nella fenditura. “Che notte fantastica!”, disse Edmundo. Su un tavolo di fronte a loro era appoggiato un secchiello pieno di ghiaccio nel quale troneggiava una bottiglia di Moet-Chandon. “Beviamo a noi e al nostro amore”. Cominciò a riempire due flutes e ne porse uno a Olivia che guardava l’oceano che si avventava ritmicamente nella gola e poi si ritraeva. Dopo il primo bicchiere fu la volta di un secondo che Olivia cercò sorridendo di rifiutare senza riuscire a scoraggiare il suo amante. “Edmundo, mi vuoi brilla? Lo sai che non tengo l’alcool”. “Questa, Olivia, è una serata speciale per noi. Non voglio ‘se’ e ‘ma’. Devi fare quello che ti chiedo per amore mio”. L’onorevole messicano tirò fuori dalla tasca interna della sua sahariana un astuccio d’argento che aprì e depose sul tavolo. Preparò due strisce di cocaina e utilizzando una cannuccia inserita nella scatola ne aspirò violentemente una. “Adesso tocca a te, Olivia”, disse porgendo il tubetto d'argento all’amante. “Edmundo: sai che mi sono disintossicata in quella clinica in New Mexico. Non posso, credimi”. “Stasera devi farlo, perché te lo ordino”. La voce di Gutierrez aveva assunto un tono minaccioso d’improvviso, lasciando da parte l’atteggiamento mieloso di pochi minuti prima. L’occhiata feroce del messicano, convinse Olivia a prendere in mano la cannuccia e a sniffare il contenuto della striscia. Poi si rilassò appoggiandosi allo schienale della sedia e assaporando il terzo bicchiere di champagne che Gutierrez le aveva di nuovo versato. Passarono alcuni minuti senza parlare, mentre alcool e droga cominciavano a far sentire i loro effetti. Il silenzio era rotto solo dal rumore della risacca. Le onde dell’oceano si andavano facendo sempre più alte. Gutierrez fece un cenno al suo assistente che si avvicinò e porse al maturo impreditore un lettore di dvd. “Olivia, metti la cuffia. Voglio farti vedere una cosa interessante”. La giovane donna guardò con sorpresa Gutierrez e obbedì fregandosi il naso. Sul piccolo schermo apparvero le immagini di Olivia e Michael impegnati in una notte di sesso estremo. El Sol de Acapulco la mattina successiva aprì con la notizia di sette trafficanti di droga uccisi e decapitati da una gang rivale. E all’interno la storia di una giovane turista americana precipitata nella Quebrada al termine dell’ultimo spettacolo di tuffi. Le autorità di polizia, dopo gli accertamenti medici, avevano dichiarato che la donna doveva aver perduto l’equilibrio intossicata com’era per droga e alcool.
Ogni tuffatore si faceva il segno della Croce prima di gettarsi nel vuoto. Ormai si erano lanciati i più giovani da altezze diverse seguiti nella loro arrampicata libera sulle pareti del burrone dalle fotolettriche che illuminavano a giorno la scena. La vista dei giovani corpi abbronzati coperti da costumi da bagno ridotti che venivano stretti col cordino prima del tuffo mandava in sollucchero stuoli di donne di ogni età. L’ultimo tuffo era quello da trentacinque metri di altezza. Quella sera a lanciarsi era stato scelto il famoso Balboa. La fotocellula lo avvolse in un alone di luce. Balboa era piccolo, un corpo certo non statuario. Ogni sera insieme ai colleghi rischiava la vita per un pugno di dollari. Da quando la Quebrada Cliff Divers era stata fondata nel 1934 per difendere dallo sfruttamento i giovani tuffatori, qualche decina erano morti. Balboa si aggiustò il costume rosso mentre si sistemava sullo sperone di roccia. Salutò il pubblico agitando il braccio e chiedendo un applauso che scrosciò dai punti di osservazione e dal bar ristorante. Segno di Croce, qualche secondo di sospensione e poi si gettò nella Quebrada in un armonico tuffo ad angelo. Le telecamere dei turisti lo seguirono fino al suo impatto nell’onda che sopravveniva dall’ingresso della gola. Balboa penetrò nell’acqua in un punto quasi a ridosso della roccia, rischiarato dai fari. E riemerse poco dopo salutato dagli applausi della gente che cominciava a sfollare. Si arrampicò sul costone di roccia e riapparve sul parapetto proprio dove si trovava appoggiata Olivia che gli batté le mani e gli disse “Bravo!” “Grazie, señorita” sorrise l’omino. “Andiamo a vedere da dove si buttano”. Disse Edmundo Gutierrez e si diresse verso la scalinata che conduceva alla piattaforma dove si radunavano i tuffatori.
I turisti avevano lasciato la Quebrada e anche i tuffatori si erano ormai allontanati dopo l’ultima esibizione. Il giorno dopo sarebbe stato ancora più impegnativo a causa dell’oceano molto mosso. Ma la Madonna di Guadalupe li proteggeva. Edmundo Gutierrez tenendo per mano Olivia che si faceva trascinare sul bordo del cliff, le indicò la postazione dalla quale si era appena tuffato Balboa. “Edmundo, per favore: soffro di vertigini. Torniamo indietro”. C’erano delle sedie di plastica e Olivia e l’onorevole Gutierrez sedettero ad ammirare lo spettacolo della luna i cui raggi si riflettevano sulla baia e rendevano argentata l’onda che si insinuava nella fenditura. “Che notte fantastica!”, disse Edmundo. Su un tavolo di fronte a loro era appoggiato un secchiello pieno di ghiaccio nel quale troneggiava una bottiglia di Moet-Chandon. “Beviamo a noi e al nostro amore”. Cominciò a riempire due flutes e ne porse uno a Olivia che guardava l’oceano che si avventava ritmicamente nella gola e poi si ritraeva. Dopo il primo bicchiere fu la volta di un secondo che Olivia cercò sorridendo di rifiutare senza riuscire a scoraggiare il suo amante. “Edmundo, mi vuoi brilla? Lo sai che non tengo l’alcool”. “Questa, Olivia, è una serata speciale per noi. Non voglio ‘se’ e ‘ma’. Devi fare quello che ti chiedo per amore mio”. L’onorevole messicano tirò fuori dalla tasca interna della sua sahariana un astuccio d’argento che aprì e depose sul tavolo. Preparò due strisce di cocaina e utilizzando una cannuccia inserita nella scatola ne aspirò violentemente una. “Adesso tocca a te, Olivia”, disse porgendo il tubetto d'argento all’amante. “Edmundo: sai che mi sono disintossicata in quella clinica in New Mexico. Non posso, credimi”. “Stasera devi farlo, perché te lo ordino”. La voce di Gutierrez aveva assunto un tono minaccioso d’improvviso, lasciando da parte l’atteggiamento mieloso di pochi minuti prima. L’occhiata feroce del messicano, convinse Olivia a prendere in mano la cannuccia e a sniffare il contenuto della striscia. Poi si rilassò appoggiandosi allo schienale della sedia e assaporando il terzo bicchiere di champagne che Gutierrez le aveva di nuovo versato. Passarono alcuni minuti senza parlare, mentre alcool e droga cominciavano a far sentire i loro effetti. Il silenzio era rotto solo dal rumore della risacca. Le onde dell’oceano si andavano facendo sempre più alte. Gutierrez fece un cenno al suo assistente che si avvicinò e porse al maturo impreditore un lettore di dvd. “Olivia, metti la cuffia. Voglio farti vedere una cosa interessante”. La giovane donna guardò con sorpresa Gutierrez e obbedì fregandosi il naso. Sul piccolo schermo apparvero le immagini di Olivia e Michael impegnati in una notte di sesso estremo. El Sol de Acapulco la mattina successiva aprì con la notizia di sette trafficanti di droga uccisi e decapitati da una gang rivale. E all’interno la storia di una giovane turista americana precipitata nella Quebrada al termine dell’ultimo spettacolo di tuffi. Le autorità di polizia, dopo gli accertamenti medici, avevano dichiarato che la donna doveva aver perduto l’equilibrio intossicata com’era per droga e alcool.
sabato 6 dicembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 13
Il ‘maestro venerabile’ Gaetano Olderisi con un colpo di maglietto richiamò l’attenzione dei fratelli che affollavano il piccolo tempio dello Scottish Rite Center. “Fratelli, aiutatemi ad aprire la Loggia”. Disse e iniziò a recitare il rituale Emulation tradotto in italiano. Gaetano Olderisi era il maestro venerabile della Loggia Garibaldi. Un dialogo a memoria con il primo e secondo sorvegliante, con il copritore interno e con quello esterno. Aperta l’officina nel Primo Grado di Apprendista, il maestro venerabile Olderisi chiese al segretario che sedeva alla sua sinistra se aveva comunicazioni da fare. Il segretario Oreste Balducci si alzò, facendo il segno di saluto e disse: “Worshipful Master, abbiamo due petizioni di aspiranti candidati con allegati i rapporti della commissione di inchiesta. Ma si rende necessario che la Loggia esamini e discuta il problema della mancata o insufficiente presenza dei Fratelli ai nostri lavori”. Il maestro venerabile Olderisi sospirò. E cominciò a parlare:
“Fratelli carissimi. Questo è un tema per noi delicato. Ma è arrivato il momento di prendere una decisione nell’interesse della nostra Officina che ha ormai superato felicemente il decennale dalla sua fondazione. La preoccupazione dei Gran Maestri che si sono alternati annualmente alla guida della nostra Grand Lodge è stata ed è quella di evitare che vi potessero essere infiltrazioni spurie all’interno delle Logge bilingue che caratterizzano da circa venti anni la vita massonica nella Capitale degli Stati Uniti. Con il Consiglio delle Luci che riunisce il primo e secondo sorvegliante e il segretario, abbiamo deciso di operare uno screening molto accurato della nostra lista di appartenenza. Abbiamo diversi fratelli, la maggior parte dei quali residenti in Italia che dopo avere passato i gradi di Apprendista, Compagno d’arte e Maestro Massone, sono spariti nel nulla. Parliamoci chiaro, carissimi Fratelli: molti di questi membri della nostra Loggia dimostrano con il loro comportamento che il loro interesse nei confronti della Massoneria era motivato solo dalla volontà di potere esibire in qualche ‘officina’ la tessera di appartenenza alla nostra Loggia. Non rispondono alle nostre sollecitazioni, non confermano o meno i loro indirizzi, non proseguono il loro iter massonico in qualche altra loggia come invece avviene per molti altri Fratelli. Apro la discussione su questo tema”. A turno i fratelli massoni alzarono la mano. Dapprima con una certa riluttanza, poi riscaldandosi e magari chiedendo più volte la parola. Il maestro venerabile Olderisi cercò di gestire la discussione entro i binari della tolleranza reciproca. Il worshipful master Olderisi ascoltò con attenzione. Cercò di moderare i toni troppo enfatizzati ricordando che in Loggia si deve dialogare nel reciproco rispetto.
Dopo alcune ulteriori comunicazioni amministrative che il segretario portò a conoscenza dei fratelli, il maestro Venerabile iniziò il rituale di chiusura della Loggia e con un colpo di maglietto mandò tutti a casa. La decisione l’avrebbe presa in autonomia. Perché va bene stare a sentire il parere di tutti. Ma poi chi decide è il capo della Loggia che ha piena autorità su tutto e tutti. Anche se molte delle osservazioni che erano state fatte durante la discussione in Loggia erano motivate dal buon senso. In effetti la Massoneria stava vivendo le stesse problematiche delle altre associazioni organizzate. Come il Rotary per esempio, sebbene non vi fosse alcuna colleganza tra le due istituzioni. “In poche parole – pensava Olderisi – se non offriamo motivi di interesse a chi entra il risultato finale sarà sempre di più un’emorragia di iscritti. “Non abbiamo ‘appeal’ e questo lo si paga”. “Nei lavori di Loggia in tutto il mondo è vietato parlare di politica e religione. Ma la vita è fatta di politica e anche di conflitti religiosi. Tutto è politica. Dall’inquinamento atmosferico al riscaldamento globale. Dall’accentuata carenza di acqua, alle energie, dagli scontri di culture, al caos finanziario mondiale, dalla droga all’educazione dei giovani. Tutto è politica.” rifletteva il maestro venerabile della Loggia Garibaldi. “E noi pretendiamo di tenere fuori dalle logge il mondo profano per salvaguardare la tranquillità e la sopravvivenza dei lavori delle nostre ‘officine’. Questo è un principio sano, diceva fra sé Gaetano Olderisi, ma non possiamo considerarlo come uno schermo per ignorare quello che accade intorno a noi. George Washington e i Padri Fondatori erano massoni, sapevano dove dovevano andare, erano dei visionari e la loro visione del futuro sembrava un’ipotesi impossibile. A cominciare dalla lotta contro l’impero più potente del momento. Eppure ci sono riusciti. E quelli che hanno fatto il Risorgimento in Italia… sia i grandi che i piccoli nomi… erano fratelli ma vivevano nella politica, avevano un progetto ed era quello di unificare l’Italia lottando contro i regimi totalitari. Tanti sono caduti ma alla fine lo sforzo di quei fratelli è stato coronato di successo. Insomma: non bisogna fare politica partigiana in Loggia. Ma trattare argomenti che hanno una rilevanza politica e che ci mordono tutti i giorni, bene: di questo si dovrebbe parlare per interessare i giovani e dare loro uno stimolo a operare correttamente nel mondo civile e profano. Dobbiamo attirare quei fratelli, soprattutto quelli che hanno talenti, che non vengono alle nostre tornate perché le considerano una perdita di tempo”.
“Fratelli carissimi. Questo è un tema per noi delicato. Ma è arrivato il momento di prendere una decisione nell’interesse della nostra Officina che ha ormai superato felicemente il decennale dalla sua fondazione. La preoccupazione dei Gran Maestri che si sono alternati annualmente alla guida della nostra Grand Lodge è stata ed è quella di evitare che vi potessero essere infiltrazioni spurie all’interno delle Logge bilingue che caratterizzano da circa venti anni la vita massonica nella Capitale degli Stati Uniti. Con il Consiglio delle Luci che riunisce il primo e secondo sorvegliante e il segretario, abbiamo deciso di operare uno screening molto accurato della nostra lista di appartenenza. Abbiamo diversi fratelli, la maggior parte dei quali residenti in Italia che dopo avere passato i gradi di Apprendista, Compagno d’arte e Maestro Massone, sono spariti nel nulla. Parliamoci chiaro, carissimi Fratelli: molti di questi membri della nostra Loggia dimostrano con il loro comportamento che il loro interesse nei confronti della Massoneria era motivato solo dalla volontà di potere esibire in qualche ‘officina’ la tessera di appartenenza alla nostra Loggia. Non rispondono alle nostre sollecitazioni, non confermano o meno i loro indirizzi, non proseguono il loro iter massonico in qualche altra loggia come invece avviene per molti altri Fratelli. Apro la discussione su questo tema”. A turno i fratelli massoni alzarono la mano. Dapprima con una certa riluttanza, poi riscaldandosi e magari chiedendo più volte la parola. Il maestro venerabile Olderisi cercò di gestire la discussione entro i binari della tolleranza reciproca. Il worshipful master Olderisi ascoltò con attenzione. Cercò di moderare i toni troppo enfatizzati ricordando che in Loggia si deve dialogare nel reciproco rispetto.
Dopo alcune ulteriori comunicazioni amministrative che il segretario portò a conoscenza dei fratelli, il maestro Venerabile iniziò il rituale di chiusura della Loggia e con un colpo di maglietto mandò tutti a casa. La decisione l’avrebbe presa in autonomia. Perché va bene stare a sentire il parere di tutti. Ma poi chi decide è il capo della Loggia che ha piena autorità su tutto e tutti. Anche se molte delle osservazioni che erano state fatte durante la discussione in Loggia erano motivate dal buon senso. In effetti la Massoneria stava vivendo le stesse problematiche delle altre associazioni organizzate. Come il Rotary per esempio, sebbene non vi fosse alcuna colleganza tra le due istituzioni. “In poche parole – pensava Olderisi – se non offriamo motivi di interesse a chi entra il risultato finale sarà sempre di più un’emorragia di iscritti. “Non abbiamo ‘appeal’ e questo lo si paga”. “Nei lavori di Loggia in tutto il mondo è vietato parlare di politica e religione. Ma la vita è fatta di politica e anche di conflitti religiosi. Tutto è politica. Dall’inquinamento atmosferico al riscaldamento globale. Dall’accentuata carenza di acqua, alle energie, dagli scontri di culture, al caos finanziario mondiale, dalla droga all’educazione dei giovani. Tutto è politica.” rifletteva il maestro venerabile della Loggia Garibaldi. “E noi pretendiamo di tenere fuori dalle logge il mondo profano per salvaguardare la tranquillità e la sopravvivenza dei lavori delle nostre ‘officine’. Questo è un principio sano, diceva fra sé Gaetano Olderisi, ma non possiamo considerarlo come uno schermo per ignorare quello che accade intorno a noi. George Washington e i Padri Fondatori erano massoni, sapevano dove dovevano andare, erano dei visionari e la loro visione del futuro sembrava un’ipotesi impossibile. A cominciare dalla lotta contro l’impero più potente del momento. Eppure ci sono riusciti. E quelli che hanno fatto il Risorgimento in Italia… sia i grandi che i piccoli nomi… erano fratelli ma vivevano nella politica, avevano un progetto ed era quello di unificare l’Italia lottando contro i regimi totalitari. Tanti sono caduti ma alla fine lo sforzo di quei fratelli è stato coronato di successo. Insomma: non bisogna fare politica partigiana in Loggia. Ma trattare argomenti che hanno una rilevanza politica e che ci mordono tutti i giorni, bene: di questo si dovrebbe parlare per interessare i giovani e dare loro uno stimolo a operare correttamente nel mondo civile e profano. Dobbiamo attirare quei fratelli, soprattutto quelli che hanno talenti, che non vengono alle nostre tornate perché le considerano una perdita di tempo”.
martedì 2 dicembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 12
“Ci andiamo?”, domandò la donna. “Dove?”. “All’ambasciata italiana. Ho ricevuto un invito per una manifestazione sui cibi kosher. Come ebrea-irlandese anche se scarsamente osservante, il tema può interessarmi. Tu che ne dici?”. Michael si stirò sulla sedia. Da ore stavano lavorando a verificare tutte le azioni intraprese da Rachel O’Hara per conto del suo maxi cliente, l’onorevole Edmundo Gutierrez. “Pur di uscire da questa stanza, mi va bene anche il kosher”. “Dimmi, chiese Rachel, tu di che fede religiosa sei?”. “Formalmente cattolico. Ma non sono credente e tanto meno praticante”.
Rachel chiuse a chiave la porta del suo ufficio dopo avere messo in cassaforte la documentazione sulla quale avevano lavorato. Michael giacca sulla spalla e maniche della camicia rimboccate la seguiva. Ascensore in garage e poi dentro la Smart, una delle prime che giravano a Washington. Certo che vedere quella rossa naturale nella minicar per le strade della Capitale faceva un certo effetto. Uscirono sulla K Street, poi la Smart imboccò la Quindicesima St. a sinistra e si diresse verso Massachusetts Avenue, la strada delle ambasciate. “La conosci la storia dell’Ambasciata italiana?” domandò Rachel a Michael a un semaforo. “Non nei dettagli”, mentì Michael per galanteria. “Prima di questa la sede diplomatica era in Fuller Street, un’area fino a ieri poco raccomandabile. Pensa che la polizia chiedeva di potersi nascondere nel piccolo giardinetto di fronte all’ingresso della cancelleria per beccare gli spacciatori di droga. Poi è stata decisa la costruzione di questa imponente ambasciata che si trova in Whitehaven, una traversa di Massachussets Ave. In questa strada c’è anche l’abitazione dei Clinton”. Mentre attendeva che il traffic light passasse al verde per la curva a sinistra Rachel continuava nella sua illustrazione: “Ecco lo vedi questo parallelepipedo. Secondo il progetto dell’architetto Sartogo, che ha vinto anni fa un concorso internazionale, l’ambasciata doveva essere ispirata a una villa fortezza toscana del ‘500. Boh... non so che dirti. Comunque vedi che la costruzione è divisa da un corridoio che spartisce in due l’edificio. Nel mezzo una grande piazza coperta, piazza Italia, dove organizzano mostre, concerti. Questa ambasciata è divenuta uno dei luoghi di interesse turistico di Washington. In questo voi italiani siete unici, quanto ad apparire”. Trovato uno spazio per parcheggiare la vetturetta si diressero verso il gruppo di persone che attendevano l’apertura del cancello e i controlli di sicurezza. Al momento di passare attraverso il metal detector, Michael oltre al cellulare, portafoglio, chiavi, estrasse anche l’ascellare con la Beretta nella fondina e pose tutto su un vassoio. Il carabiniere di servizio lo guardò attentamente e gli disse in inglese: “Questa la tratteniamo noi e le sarà riconsegnata all’uscita”. Michael fece un cenno di assenso.
Entrati nella grande cupola, dove Michael apprezzò l’accostamento di quadri antichi su pareti e superfici dai colori molto marcati, si diressero a destra verso l’auditorium da 200 posti. Poltrone in pelle beige. Dopo un breve intervento di saluto dell’ambasciatore inziò il seminario. Al microfono si alternarono un rabbino, un esperto di marketing e un giovane presidente di una azienda che importava prodotti kosher. Lunga esposizione del rabbino che ricordò come il cibo kosher (conforme) degli ebrei sia regolato dalle leggi della Bibbia. Si lanciò in una dotta elucubrazione dei prodotti kosher che andavano dalla carne macellata e privata del sangue ai filtri delle macchine da caffè e alle caramelle. Sottolineò che il mercato della carne kosher era in grande espansione negli Stati Uniti. “Difficile anzi impossibile invitare un ebreo ortodosso a cena a casa, a meno che tu non garantisca un menu completamente kosher”, sussurrò Rachel in un orecchio a Michael, sbadigliando. “Per quanto mi riguarda non ci sono problemi: mi puoi invitare quando e dove ti pare”. Al termine del lungo seminario, che aveva stremato il pubblico, i due uscirono nella piazza Italia dove erano stati allestiti tavoli da buffet con cibi, ovviamente, kosher. “La cosa più interessante di questa riunione - disse Michael sottovoce - è che ebrei e musulmani almeno su un punto si trovano d’accordo: hai sentito che hanno detto che milioni di musulmani negli Stati Uniti acquistano cibi kosher perché non hanno a disposizione la carne ‘halal’ che è in pratica macellata alla stessa maniera di quella ebraica?”. “Michael, lascia perdere… - rispose l’avvocatessa ammiccante - Posso invitarti a mangiare un piatto di pasta a casa mia?
L’appartamento di Rachel O’Hara era situato in un condominio di lusso sulla Wisconsin Avenue a cinque minuti di auto dall’ambasciata. Lasciata la Smart in garage Michael e Rachel si diressero all’ascensore a disposizione dei soli residenti. Decimo piano, chiave magnetica, piccolo studio con cucina, ampio bagno e spazio letto distinto dal salotto. “Ti va di aiutarmi? Visto che sei italiano, caro Bardi, una pasta sono sicura che la sai fare”. Michael si cimentò con un pacco di spaghetti da cui estrasse 250 grammi, la pila dell’acqua opportunamente salata che cominciava a bollire, un pezzo di Parmigiano Reggiano con relativa grattugia e un panetto di burro. Scolò la pasta, rigorosamente ‘al dente’, la condì con burro, pepe e formaggio in abbondanza, servita sui piatti apparecchiati sul piccolo tavolo. Rachel era uscita dalla doccia avvolta in un pareo dai mille colori. La pasta, annaffiata da una bottiglia di Morellino di Scansano sparì tra risate e commenti sulla abilità dei maschi italiani che vengono in America a catturare le donne grazie anche alla loro capacità di destreggiarsi tra i fornelli. Senza immaginare che alle ragazze americane questo talento fa proprio comodo perché a nessuna piace cucinare. La ritengono un’attività degradante secondo il femminismo imparato dalle madri. Rachel si alzò, armeggiò al rack dell’alta fedeltà. Tirò fuori da uno scaffale un vecchio LP. “Vedi Michael: sono tornata alla passione del vinile. Questo sicuramente te lo ricordi di Sarah Vaughan”. E porse la mano a Michael che si alzò, invitandolo ad allacciarsi al suo corpo appena coperto dalla tela caraibica, mentre si diffondevano le note e le parole di ‘The nearness of you’. Michael affondò il viso nel collo di Rachel. Aspirò il suo profumo naturale intenso appena coperto da qualche goccia di Arpege. E la sentì prima mormorare, come se stesse parlando tra sé e poi appoggiare il suo sesso alla sua verga impettita nei pantaloni. Rachel non smentiva la fama che le rosse naturali hanno in giro per il mondo. E al contrario, di moltitudini di donne anorgasmiche, lei godeva ripetutamente, lamentandosi, mentre strusciava a tempo di musica il monte di Venere contro Michael. Lasciò cadere il pareo e scoprì la bellezza del suo corpo di donna realizzata nella maturità. Un seno dai capezzoli impennati e frementi, lievemente appoggiato, fianchi rotondi che disegnavano una clessidra, lunghe gambe tornite. Rachel si slacciò da Michael, si abbassò in ginocchio sbottonandogli i pantaloni e tutto il resto e affondò il volto nel suo sesso turgido e aggressivo. “Come è bello”, diceva ripetutamente a mezza voce quasi salmodiando. Rachel raccolse tra le mani il pene impettito, con delicatezza, quasi fosse una reliquia. Lo passò sulle guance, sugli occhi chiusi, sotto il collo. Iniziò poi un delicato arabesco con la lingua cercando di prolungare il tormento del suo partner che si ergeva in tutta la sua notevole dimensione. Michael esplose e innondò la faccia di Rachel ripetutamente mentre lei godeva digitando il clitoride impazzito.
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“Mi raccomando: fa’ la brava e non fare arrabbiare la nonna. Vengo sicuramente questo fine settimana. Ma mi devi promettere che avrai preso tutti ‘A’”. Rachel parlava sommessamente, ma il suono della sua voce svegliò Michael. “Beh, se hai sentito, stavo parlando con mia figlia Sarah. La solita storia di un matrimonio tra due giovani studenti incoscienti che finisce poco dopo, lasciando l’amaro in bocca. Alzati e vai in bagno. Ci attende una lunga giornata di lavoro”.
Rachel chiuse a chiave la porta del suo ufficio dopo avere messo in cassaforte la documentazione sulla quale avevano lavorato. Michael giacca sulla spalla e maniche della camicia rimboccate la seguiva. Ascensore in garage e poi dentro la Smart, una delle prime che giravano a Washington. Certo che vedere quella rossa naturale nella minicar per le strade della Capitale faceva un certo effetto. Uscirono sulla K Street, poi la Smart imboccò la Quindicesima St. a sinistra e si diresse verso Massachusetts Avenue, la strada delle ambasciate. “La conosci la storia dell’Ambasciata italiana?” domandò Rachel a Michael a un semaforo. “Non nei dettagli”, mentì Michael per galanteria. “Prima di questa la sede diplomatica era in Fuller Street, un’area fino a ieri poco raccomandabile. Pensa che la polizia chiedeva di potersi nascondere nel piccolo giardinetto di fronte all’ingresso della cancelleria per beccare gli spacciatori di droga. Poi è stata decisa la costruzione di questa imponente ambasciata che si trova in Whitehaven, una traversa di Massachussets Ave. In questa strada c’è anche l’abitazione dei Clinton”. Mentre attendeva che il traffic light passasse al verde per la curva a sinistra Rachel continuava nella sua illustrazione: “Ecco lo vedi questo parallelepipedo. Secondo il progetto dell’architetto Sartogo, che ha vinto anni fa un concorso internazionale, l’ambasciata doveva essere ispirata a una villa fortezza toscana del ‘500. Boh... non so che dirti. Comunque vedi che la costruzione è divisa da un corridoio che spartisce in due l’edificio. Nel mezzo una grande piazza coperta, piazza Italia, dove organizzano mostre, concerti. Questa ambasciata è divenuta uno dei luoghi di interesse turistico di Washington. In questo voi italiani siete unici, quanto ad apparire”. Trovato uno spazio per parcheggiare la vetturetta si diressero verso il gruppo di persone che attendevano l’apertura del cancello e i controlli di sicurezza. Al momento di passare attraverso il metal detector, Michael oltre al cellulare, portafoglio, chiavi, estrasse anche l’ascellare con la Beretta nella fondina e pose tutto su un vassoio. Il carabiniere di servizio lo guardò attentamente e gli disse in inglese: “Questa la tratteniamo noi e le sarà riconsegnata all’uscita”. Michael fece un cenno di assenso.
Entrati nella grande cupola, dove Michael apprezzò l’accostamento di quadri antichi su pareti e superfici dai colori molto marcati, si diressero a destra verso l’auditorium da 200 posti. Poltrone in pelle beige. Dopo un breve intervento di saluto dell’ambasciatore inziò il seminario. Al microfono si alternarono un rabbino, un esperto di marketing e un giovane presidente di una azienda che importava prodotti kosher. Lunga esposizione del rabbino che ricordò come il cibo kosher (conforme) degli ebrei sia regolato dalle leggi della Bibbia. Si lanciò in una dotta elucubrazione dei prodotti kosher che andavano dalla carne macellata e privata del sangue ai filtri delle macchine da caffè e alle caramelle. Sottolineò che il mercato della carne kosher era in grande espansione negli Stati Uniti. “Difficile anzi impossibile invitare un ebreo ortodosso a cena a casa, a meno che tu non garantisca un menu completamente kosher”, sussurrò Rachel in un orecchio a Michael, sbadigliando. “Per quanto mi riguarda non ci sono problemi: mi puoi invitare quando e dove ti pare”. Al termine del lungo seminario, che aveva stremato il pubblico, i due uscirono nella piazza Italia dove erano stati allestiti tavoli da buffet con cibi, ovviamente, kosher. “La cosa più interessante di questa riunione - disse Michael sottovoce - è che ebrei e musulmani almeno su un punto si trovano d’accordo: hai sentito che hanno detto che milioni di musulmani negli Stati Uniti acquistano cibi kosher perché non hanno a disposizione la carne ‘halal’ che è in pratica macellata alla stessa maniera di quella ebraica?”. “Michael, lascia perdere… - rispose l’avvocatessa ammiccante - Posso invitarti a mangiare un piatto di pasta a casa mia?
L’appartamento di Rachel O’Hara era situato in un condominio di lusso sulla Wisconsin Avenue a cinque minuti di auto dall’ambasciata. Lasciata la Smart in garage Michael e Rachel si diressero all’ascensore a disposizione dei soli residenti. Decimo piano, chiave magnetica, piccolo studio con cucina, ampio bagno e spazio letto distinto dal salotto. “Ti va di aiutarmi? Visto che sei italiano, caro Bardi, una pasta sono sicura che la sai fare”. Michael si cimentò con un pacco di spaghetti da cui estrasse 250 grammi, la pila dell’acqua opportunamente salata che cominciava a bollire, un pezzo di Parmigiano Reggiano con relativa grattugia e un panetto di burro. Scolò la pasta, rigorosamente ‘al dente’, la condì con burro, pepe e formaggio in abbondanza, servita sui piatti apparecchiati sul piccolo tavolo. Rachel era uscita dalla doccia avvolta in un pareo dai mille colori. La pasta, annaffiata da una bottiglia di Morellino di Scansano sparì tra risate e commenti sulla abilità dei maschi italiani che vengono in America a catturare le donne grazie anche alla loro capacità di destreggiarsi tra i fornelli. Senza immaginare che alle ragazze americane questo talento fa proprio comodo perché a nessuna piace cucinare. La ritengono un’attività degradante secondo il femminismo imparato dalle madri. Rachel si alzò, armeggiò al rack dell’alta fedeltà. Tirò fuori da uno scaffale un vecchio LP. “Vedi Michael: sono tornata alla passione del vinile. Questo sicuramente te lo ricordi di Sarah Vaughan”. E porse la mano a Michael che si alzò, invitandolo ad allacciarsi al suo corpo appena coperto dalla tela caraibica, mentre si diffondevano le note e le parole di ‘The nearness of you’. Michael affondò il viso nel collo di Rachel. Aspirò il suo profumo naturale intenso appena coperto da qualche goccia di Arpege. E la sentì prima mormorare, come se stesse parlando tra sé e poi appoggiare il suo sesso alla sua verga impettita nei pantaloni. Rachel non smentiva la fama che le rosse naturali hanno in giro per il mondo. E al contrario, di moltitudini di donne anorgasmiche, lei godeva ripetutamente, lamentandosi, mentre strusciava a tempo di musica il monte di Venere contro Michael. Lasciò cadere il pareo e scoprì la bellezza del suo corpo di donna realizzata nella maturità. Un seno dai capezzoli impennati e frementi, lievemente appoggiato, fianchi rotondi che disegnavano una clessidra, lunghe gambe tornite. Rachel si slacciò da Michael, si abbassò in ginocchio sbottonandogli i pantaloni e tutto il resto e affondò il volto nel suo sesso turgido e aggressivo. “Come è bello”, diceva ripetutamente a mezza voce quasi salmodiando. Rachel raccolse tra le mani il pene impettito, con delicatezza, quasi fosse una reliquia. Lo passò sulle guance, sugli occhi chiusi, sotto il collo. Iniziò poi un delicato arabesco con la lingua cercando di prolungare il tormento del suo partner che si ergeva in tutta la sua notevole dimensione. Michael esplose e innondò la faccia di Rachel ripetutamente mentre lei godeva digitando il clitoride impazzito.
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“Mi raccomando: fa’ la brava e non fare arrabbiare la nonna. Vengo sicuramente questo fine settimana. Ma mi devi promettere che avrai preso tutti ‘A’”. Rachel parlava sommessamente, ma il suono della sua voce svegliò Michael. “Beh, se hai sentito, stavo parlando con mia figlia Sarah. La solita storia di un matrimonio tra due giovani studenti incoscienti che finisce poco dopo, lasciando l’amaro in bocca. Alzati e vai in bagno. Ci attende una lunga giornata di lavoro”.
sabato 29 novembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 11
La segretaria bussò alla porta dell’ufficio. “Entra!” fece l’avvocato Rachel O’Hara. “Sulla linea tre ho l’onorevole Gutierrez da Città di Mexico”. “Passamelo… Carissimo Onorevole che piacere sentirla…”. “Bellissima esponente del Foro (ma che hai capito? Non equivocare... ) come stai?”, rispose il messicano. “Oppressa da montagne di lavoro. Soprattutto per te e i tuoi amici. Ma tutto procede”. “Senti, ti disturbo per segnalarti che riceverai la visita di Michael Bardi. È un giovane molto preparato e ti prego di considerarlo come un mio assistente diretto”. “Sarà un piacere per me, Onorevole”. “Non lo metto in dubbio. Un forte abbraccio”.
Rachel O’Hara, avvocato, una gran bella donna, sicura di esserlo. Ovviamente anche per lei valevano i commenti maligni ambosessi secondo cui aveva avuto successo nella professione dandola a chi le poteva essere utile.
Ma lei se ne infischiava delle maldicenze che metteva da sempre nel conto. A spargere gossip in genere erano omuncoli che avrebbero voluto godersela almeno una volta e che facevano gli schizzinosi moralisti. E poi tutta una torma di donne, condottiere di quel femminismo d’accatto all’insegna del tutto e subito e tagliamo i coglioni al maschio stupratore e sfruttatore. E tra queste maldicenti anche qualche Saffo che aveva cercato più volte di rimorchiarla. Il risultato di tanto movimentismo parolaio era che la donna in generale era ancora di più oberata da responsabilità e fatiche. E siccome tutte ormai erano costrette a cercarsi un lavoro per aiutare il marito o perché divorziate con i figli a carico, lo schiavismo femminile aveva assunto nuove connotazioni. Ma la sostanza era sempre la stessa. A meno che tu non sia dotata da madre natura di un fisico al di sopra della norma e di una testa che riesce a gestire nel modo giusto quel patrimonio di viso, culo, tette e gambe. La fortunata innesta allora la quinta e la sesta marcia e sorpassa tutto e tutti. Questo pensava Rachel O’Hara, avvocato, che aveva abbandonato i tribunali per le società di lobby dove, grazie al suo fisico, cordialità naturale e cervello sopraffino era riuscita a scalare i piani alti di una delle più affermate aziende di Washington. Accavallando le lunghe gambe inguainate nei pantaloni attillati di un tailleur di ordinanza che esaltava le sue curve pericolose Rachel sorrideva pensando: “E del resto si dice: ‘à la guerre comme à la guerre’. Ovvero non si possono mettere i fiori nelle canne dei fucili. E lei le sue armi naturali sapeva bene come adoperarle. Con tanti saluti a quelli che strillavano per il sexual harrassement fatto dalle donne nei confronti del maschio.
Knock, knock alla porta del suo ufficio di angolo con doppia finestra e quadri d’autore alle pareti. Michael Bardi apparve sfoderando il suo luminoso sorriso. Zazzera bionda, lievemente spettinata dopo il taglio da 300 dollari del barbiere alla moda. Quasi due metri di muscoli in un Armani ultimo modello. “Cristo!”, bofonchiò l’avvocatessa tramortita da tanto vedere. “Ma questo è un Paride”. Alzandosi e porgendo la mano, disse: “Lei è Michael Bardi da Hollywood?!” Eye contact prolungato tra i due con risata squillante di Rachel. Il ghiaccio era rotto e si poteva cominciare a parlare di lavoro dopo i primi minuti all’insegna del ‘ma quanto ci piaciamo!’.
________________________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
Rachel O’Hara, avvocato, una gran bella donna, sicura di esserlo. Ovviamente anche per lei valevano i commenti maligni ambosessi secondo cui aveva avuto successo nella professione dandola a chi le poteva essere utile.
Ma lei se ne infischiava delle maldicenze che metteva da sempre nel conto. A spargere gossip in genere erano omuncoli che avrebbero voluto godersela almeno una volta e che facevano gli schizzinosi moralisti. E poi tutta una torma di donne, condottiere di quel femminismo d’accatto all’insegna del tutto e subito e tagliamo i coglioni al maschio stupratore e sfruttatore. E tra queste maldicenti anche qualche Saffo che aveva cercato più volte di rimorchiarla. Il risultato di tanto movimentismo parolaio era che la donna in generale era ancora di più oberata da responsabilità e fatiche. E siccome tutte ormai erano costrette a cercarsi un lavoro per aiutare il marito o perché divorziate con i figli a carico, lo schiavismo femminile aveva assunto nuove connotazioni. Ma la sostanza era sempre la stessa. A meno che tu non sia dotata da madre natura di un fisico al di sopra della norma e di una testa che riesce a gestire nel modo giusto quel patrimonio di viso, culo, tette e gambe. La fortunata innesta allora la quinta e la sesta marcia e sorpassa tutto e tutti. Questo pensava Rachel O’Hara, avvocato, che aveva abbandonato i tribunali per le società di lobby dove, grazie al suo fisico, cordialità naturale e cervello sopraffino era riuscita a scalare i piani alti di una delle più affermate aziende di Washington. Accavallando le lunghe gambe inguainate nei pantaloni attillati di un tailleur di ordinanza che esaltava le sue curve pericolose Rachel sorrideva pensando: “E del resto si dice: ‘à la guerre comme à la guerre’. Ovvero non si possono mettere i fiori nelle canne dei fucili. E lei le sue armi naturali sapeva bene come adoperarle. Con tanti saluti a quelli che strillavano per il sexual harrassement fatto dalle donne nei confronti del maschio.
Knock, knock alla porta del suo ufficio di angolo con doppia finestra e quadri d’autore alle pareti. Michael Bardi apparve sfoderando il suo luminoso sorriso. Zazzera bionda, lievemente spettinata dopo il taglio da 300 dollari del barbiere alla moda. Quasi due metri di muscoli in un Armani ultimo modello. “Cristo!”, bofonchiò l’avvocatessa tramortita da tanto vedere. “Ma questo è un Paride”. Alzandosi e porgendo la mano, disse: “Lei è Michael Bardi da Hollywood?!” Eye contact prolungato tra i due con risata squillante di Rachel. Il ghiaccio era rotto e si poteva cominciare a parlare di lavoro dopo i primi minuti all’insegna del ‘ma quanto ci piaciamo!’.
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(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
martedì 25 novembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 10
“Il mondo è come una tartina di caviale”, disse Edmundo
Gutierrez mentre si cimentava con un cucchiaio di Beluga
iraniano che doveva essere depositato su un cracker di ridotte
dimensioni.
“Vede queste prelibate uova di storione? Sono sicuramente
troppe per la tartina, così come ormai siamo troppi su questo
pianeta”.
Caviale e cracker sparirono nella bocca del messicano che
riprese: “Le risorse si esauriranno prima o poi. Purtroppo,
‘prima’ che poi. L’aumento della popolazione in Cina, India,
Brasile significa miliardi di nuovi consumatori. Siamo ormai
sette miliardi. Nei secoli, compreso quello passato, le guerre e
soprattutto le guerre mondiali servivano a equilibrare la crescita
eccessiva. Se andiamo ancora più indietro ci pensavano
le pestilenze a ridurre la popolazione attiva”.
E bevve di un fiato il bicchiere di vodka che premurosamente
gli avevano messo accanto alla bacinella contenente il
caviale fresco e non pastorizzato.
“Michael, che ne pensa?”.
“Quello che lei dice è molto giusto. Penso però che si debba
concentrare una parte delle risorse disponibili per esplorare
nuove strade e fonti energetiche”.
“Ahi, ahi: dunque lei è un sostenitore della banda Green…
Abbiamo scelto l’uomo sbagliato per un progetto giusto”.
Gutierrez rideva ma in modo forzato. Michael bevve un
sorso del suo champagne.
“Al di là delle battute, il mio è un ragionamento condiviso
ormai dai vertici delle grandi compagnie petrolifere. Tanto
per fare un esempio. Onorevole, questo lo sa bene quanto
me, pensi a quanti capitali sono investiti da Exxon, Shell, BP
per l’individuazione di nuove fonti energetiche, per il perfezionamento
delle tecniche di estrazione del petrolio e del gas
naturale, per la conversione dell’acqua in idrogeno.
Venti anni fa chi avrebbe immaginato che nel gallone di
benzina che mettiamo nel serbatoio della nostra auto più del
10 % fosse costituito da benzina verde, etanolo, ricavata dalla
fermentazione delle graminacee? Chiedere come fanno tanti
verdi la sostituzione del petrolio è un assurdo. Ma pensare
a soluzioni complementari può essere un business di sicuro
successo”.
Edmundo Gutierrez studiava il giovane biondo che gli
stava davanti e che si esprimeva in un inglese perfetto. Non
tralasciando talvolta di inserire qualche frase in spagnolo, con
una pronuncia resa accettabile dalla madre lingua italiana.
“Senta, Mr. Bardi: lei domani ha il suo aereo per gli Stati
Uniti. Io adesso me ne vado a Città di Messico col mio
Falcon. In mattinata devo incontrare il Presidente. Allora,
prenda questa busta con l’assegno. Resto in attesa di una sua
risposta corredata, come noi speriamo, da un rapporto su
quello che succede nella società di lobby della quale ci serviamo
da tempo”.
Stretta di mano e ghigno cordiale il proprietario del Maya
Resort si alzò sostenuto dalla ‘nipotina’ che non aveva proferito
parola durante la cena e si era limitata a scansare le
occhiate che incidentalmente Michael le dava di sfuggita
quando si cimentava in qualche panoramica.
Michael si rimise a sedere. Un cenno allo chef de rang che
si precipitò al tavolo.
“Vorrei ascoltare ancora qualche canzone dei tre Mariachi,
se fosse possibile”.
“Hanno finito il turno. Ma tutto è possibile, Dottor Bardi”,
sorrise il capo cameriere.
E servì un altro flute di champagne millesimato, un nettare
che il viaggio dalla Francia non aveva scalfito nel suo gusto
e aroma.
Dopo dieci mnuti ecco tornare i musicisti che avevano
dovuto rivestirsi con tanto di largo sombrero.
“Cosa desidera ascoltare, signore?” chiese inchinandosi
quello dei tre che doveva essere il capo.
“Sabor a mi e poi El Reloj. Comunque scegliete voi, siete
talmente bravi… ”. Fu la risposta.
Una brezza veniva dall’oceano e faceva muovere i tendaggi
di canapa bianca che scendevano dal soffitto del grande patio.
Le romantiche canzoni messicane si dipanavano discretamente
sostenute dalla professionalità degli arrangiamenti
vocali del trio.
Dopo avere assaporato il secondo bicchiere di bollicine a
fermetazione naturale, Michael lasciò sul tavolo due biglietti
da cento dollari. E salutati i musicisti ai quali strinse la mano,
si avviò verso il vialetto che conduceva al cottage.
Chiave elettronica. Dentro l’aria condizionata funzionava
ancora al massimo.
Sembrava di stare al Polo. Michael regolò il termostato sui
20 gradi centigradi. Aveva bevuto troppo quella sera. Si levò
i vestiti da dosso, rimase nudo e si infilò sotto il lenzuolo. Il
braccio sinistro sotto il cuscino del partner che non c’era.
E precipitò in un sonno profondo, attraversato da sogni
come lampi improvvisi.
Flash: papà sempre sorridente tutte le volte che tornava a
casa. Era così bello stare con lui. Sapeva tante cose e te le spiegava
con immagini e parole che poi ti rimanevano dentro.
Quando doveva stare in collegio in Svizzera chi gli mancava
veramente era lui. Non erano state molte le occasioni prima
che morisse di passare insieme qualche ora. Ma si trattava di
ricordi indimenticabili. Come quella mattina del suo compleanno.
Compiva tredici anni e si sentiva ‘vecchio’, proprio
così. Era nella sua camera di Milano e il babbo prima di partire
per l’aeroporto per uno dei suoi tanti viaggi era entrato
furtivamente per baciarlo. Si era sorpreso perché Michael,
tutto preso dalla sua crisi esistenziale di adolescente, stava
piangendo perché il futuro gli appariva nero e nessuno gli
avrebbe potuto dare una risposta. Papà si era seduto sul letto,
lo aveva preso tra le sue braccia e gli chiedeva: “Cosa c’è che
non va, Pulcino mio?” Michael non sapeva dare una risposta.
“Non lo so, Papi. Sono triste e mi sento inutile”. “Inutile a
tredici anni, piccolo mio?! Avrai tante soddisfazioni nella tua
vita, Michael perché hai talenti e la voglia di affermarti. Ne
sono sicuro. Ascolta il tuo Papà che ti vuole tanto bene e che
ti dice la verità. Da me non sentirai mai delle cose non vere”.
Lo aveva lasciato rinfrancato e fiducioso che il cammino della
vita sarebbe stato facile con il suo babbo al fianco che lo
proteggeva.
Flash: quella volta che era venuto a casa un amico a trovare
la mamma, un suo compagno del liceo. Papà era in viaggio.
Michael aveva notato che la mamma era tutta eccitata e si
era cosparsa di un profumo francese che a Michael toglieva il
fiato. Aveva sedici anni ed era in vacanza per qualche giorno
a Milano prima di ritornare nel collegio in Svizzera. Lui si
era rinchiuso nella sua camera ad ascoltare in cuffia i Beegees.
Poi gli era venuta voglia di una Coca Cola ed era andato in
cucina. Ritornando in camera aveva intravisto attraverso la
porta semiaperta del salotto la mamma e l’amico che si baciavano,
avvinghiati in un grande abbraccio. La mano di lui
che razzolava tra le cosce materne. Si era sentito sgomento.
Perché a pelle da tempo percepiva che qualcosa non doveva
funzionare nel matrimonio dei suoi genitori. Un grande rispetto
reciproco quando erano in pubblico, contrappuntato
da qualche ‘Amore’ o ‘Tesoro’. Era comprensibile anche per
un ragazzo che si trattava solo di una messinscena, al di là
della quale vi era il vuoto pneumatico dei sentimenti. Ma vedere
quella scena e sua madre infoiata per i massaggi e i baci
del suo antico primo amore gli avevano preso lo stomaco. E
rientrato in camera si era recato nel bagno e aveva vomitato
nella toilette.
Flash: le foto del crash del padre in quella maledetta curva
del Passo dello Stelvio. Gli accertamenti fatti dalla polizia
stradale avevano individuato la dinamica dell’incidente.
Papà stava scendendo ad andatura sostenuta quando su un
tornante si era trovato la sua mezzeria invasa da un TIR. La
frenata, di cui restavano le tracce dei pneumatici sull’asfalto,
non era stata sufficiente a evitare lo scontro con il pesante
autoarticolato. La Duetto era rimbalzata contro il guard rail
che, anziché attutire e contenere il veicolo si era trasformato
in una rampa di lancio, catapultando l’Alfa Romeo al di là
della curva. Un salto di più di cento metri. Ai soccorritori si
era presentata una scena raccapricciante con frammenti del
corpo del guidatore sparsi per decine di metri, in mezzo ai
rottami della macchina.
Flash: E il funerale con il corteo di finti addolorati. A cominciare
dai colleghi della azienda, perché, grazie a Dio, si
apriva uno spazio per salire. La mamma ovviamente che recitava
da par suo la parte della moglie disperata, ma civile. Il
suo dolore era evidente, ma contenuto come solo le persone
di un certo livello sociale sanno fare. Pieno di premure l’amico
del liceo la sosteneva nel tragitto fino alla Basilica di
Sant’Ambrogio. Dio, come li odiava quei due.
Flash: la bionda Olivia incontrata alla Tuscan View Farm
in Virginia. E questa Olivia, la ‘nipotina’, stessi occhi ma capelli
corvini.
Flash: e gli sembrava di toccarla quella dea, bionda o mora,
ne sentiva il profumo un po’ selvaggio della pelle, sentiva le
sue labbra che gli sfioravano il viso, la fronte e si attardavano
sui suoi capezzoli.
“Dio, come sei bello e quanto mi piaci” stava dicendo la
creatura che si era infilata nel letto.
Michael aveva ormai smaltito la mezza sbornia. Si sollevò
su un fianco, stupito e felice di trovare Olivia, di averla vicina,
nuda, perfetta nelle sue rotondità. Un cocktail di Venere
Capitolina e Paolina Bonaparte del Canova.
“Ma sei pazza? Come sei entrata? Se lo viene a scoprire”.
“Ho detto che stavo male e non me la sentivo di andare a
Città di Messico. Non sei contento di vedermi? Ho pensato
molto a te dopo che ci siamo visti a casa mia in Virginia”.
“Olivia, Dio, incredibile ritrovarti qui”. Il volto di Michael
sprizzava gioia, quella stessa gioia che provava quando,
bambino, il papà gli portava il regalo che da tempo desiderava.
Una luce negli occhi di sorpresa e candore infantile.
“Non parlare; ti voglio dentro di me, subito”.
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(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
Gutierrez mentre si cimentava con un cucchiaio di Beluga
iraniano che doveva essere depositato su un cracker di ridotte
dimensioni.
“Vede queste prelibate uova di storione? Sono sicuramente
troppe per la tartina, così come ormai siamo troppi su questo
pianeta”.
Caviale e cracker sparirono nella bocca del messicano che
riprese: “Le risorse si esauriranno prima o poi. Purtroppo,
‘prima’ che poi. L’aumento della popolazione in Cina, India,
Brasile significa miliardi di nuovi consumatori. Siamo ormai
sette miliardi. Nei secoli, compreso quello passato, le guerre e
soprattutto le guerre mondiali servivano a equilibrare la crescita
eccessiva. Se andiamo ancora più indietro ci pensavano
le pestilenze a ridurre la popolazione attiva”.
E bevve di un fiato il bicchiere di vodka che premurosamente
gli avevano messo accanto alla bacinella contenente il
caviale fresco e non pastorizzato.
“Michael, che ne pensa?”.
“Quello che lei dice è molto giusto. Penso però che si debba
concentrare una parte delle risorse disponibili per esplorare
nuove strade e fonti energetiche”.
“Ahi, ahi: dunque lei è un sostenitore della banda Green…
Abbiamo scelto l’uomo sbagliato per un progetto giusto”.
Gutierrez rideva ma in modo forzato. Michael bevve un
sorso del suo champagne.
“Al di là delle battute, il mio è un ragionamento condiviso
ormai dai vertici delle grandi compagnie petrolifere. Tanto
per fare un esempio. Onorevole, questo lo sa bene quanto
me, pensi a quanti capitali sono investiti da Exxon, Shell, BP
per l’individuazione di nuove fonti energetiche, per il perfezionamento
delle tecniche di estrazione del petrolio e del gas
naturale, per la conversione dell’acqua in idrogeno.
Venti anni fa chi avrebbe immaginato che nel gallone di
benzina che mettiamo nel serbatoio della nostra auto più del
10 % fosse costituito da benzina verde, etanolo, ricavata dalla
fermentazione delle graminacee? Chiedere come fanno tanti
verdi la sostituzione del petrolio è un assurdo. Ma pensare
a soluzioni complementari può essere un business di sicuro
successo”.
Edmundo Gutierrez studiava il giovane biondo che gli
stava davanti e che si esprimeva in un inglese perfetto. Non
tralasciando talvolta di inserire qualche frase in spagnolo, con
una pronuncia resa accettabile dalla madre lingua italiana.
“Senta, Mr. Bardi: lei domani ha il suo aereo per gli Stati
Uniti. Io adesso me ne vado a Città di Messico col mio
Falcon. In mattinata devo incontrare il Presidente. Allora,
prenda questa busta con l’assegno. Resto in attesa di una sua
risposta corredata, come noi speriamo, da un rapporto su
quello che succede nella società di lobby della quale ci serviamo
da tempo”.
Stretta di mano e ghigno cordiale il proprietario del Maya
Resort si alzò sostenuto dalla ‘nipotina’ che non aveva proferito
parola durante la cena e si era limitata a scansare le
occhiate che incidentalmente Michael le dava di sfuggita
quando si cimentava in qualche panoramica.
Michael si rimise a sedere. Un cenno allo chef de rang che
si precipitò al tavolo.
“Vorrei ascoltare ancora qualche canzone dei tre Mariachi,
se fosse possibile”.
“Hanno finito il turno. Ma tutto è possibile, Dottor Bardi”,
sorrise il capo cameriere.
E servì un altro flute di champagne millesimato, un nettare
che il viaggio dalla Francia non aveva scalfito nel suo gusto
e aroma.
Dopo dieci mnuti ecco tornare i musicisti che avevano
dovuto rivestirsi con tanto di largo sombrero.
“Cosa desidera ascoltare, signore?” chiese inchinandosi
quello dei tre che doveva essere il capo.
“Sabor a mi e poi El Reloj. Comunque scegliete voi, siete
talmente bravi… ”. Fu la risposta.
Una brezza veniva dall’oceano e faceva muovere i tendaggi
di canapa bianca che scendevano dal soffitto del grande patio.
Le romantiche canzoni messicane si dipanavano discretamente
sostenute dalla professionalità degli arrangiamenti
vocali del trio.
Dopo avere assaporato il secondo bicchiere di bollicine a
fermetazione naturale, Michael lasciò sul tavolo due biglietti
da cento dollari. E salutati i musicisti ai quali strinse la mano,
si avviò verso il vialetto che conduceva al cottage.
Chiave elettronica. Dentro l’aria condizionata funzionava
ancora al massimo.
Sembrava di stare al Polo. Michael regolò il termostato sui
20 gradi centigradi. Aveva bevuto troppo quella sera. Si levò
i vestiti da dosso, rimase nudo e si infilò sotto il lenzuolo. Il
braccio sinistro sotto il cuscino del partner che non c’era.
E precipitò in un sonno profondo, attraversato da sogni
come lampi improvvisi.
Flash: papà sempre sorridente tutte le volte che tornava a
casa. Era così bello stare con lui. Sapeva tante cose e te le spiegava
con immagini e parole che poi ti rimanevano dentro.
Quando doveva stare in collegio in Svizzera chi gli mancava
veramente era lui. Non erano state molte le occasioni prima
che morisse di passare insieme qualche ora. Ma si trattava di
ricordi indimenticabili. Come quella mattina del suo compleanno.
Compiva tredici anni e si sentiva ‘vecchio’, proprio
così. Era nella sua camera di Milano e il babbo prima di partire
per l’aeroporto per uno dei suoi tanti viaggi era entrato
furtivamente per baciarlo. Si era sorpreso perché Michael,
tutto preso dalla sua crisi esistenziale di adolescente, stava
piangendo perché il futuro gli appariva nero e nessuno gli
avrebbe potuto dare una risposta. Papà si era seduto sul letto,
lo aveva preso tra le sue braccia e gli chiedeva: “Cosa c’è che
non va, Pulcino mio?” Michael non sapeva dare una risposta.
“Non lo so, Papi. Sono triste e mi sento inutile”. “Inutile a
tredici anni, piccolo mio?! Avrai tante soddisfazioni nella tua
vita, Michael perché hai talenti e la voglia di affermarti. Ne
sono sicuro. Ascolta il tuo Papà che ti vuole tanto bene e che
ti dice la verità. Da me non sentirai mai delle cose non vere”.
Lo aveva lasciato rinfrancato e fiducioso che il cammino della
vita sarebbe stato facile con il suo babbo al fianco che lo
proteggeva.
Flash: quella volta che era venuto a casa un amico a trovare
la mamma, un suo compagno del liceo. Papà era in viaggio.
Michael aveva notato che la mamma era tutta eccitata e si
era cosparsa di un profumo francese che a Michael toglieva il
fiato. Aveva sedici anni ed era in vacanza per qualche giorno
a Milano prima di ritornare nel collegio in Svizzera. Lui si
era rinchiuso nella sua camera ad ascoltare in cuffia i Beegees.
Poi gli era venuta voglia di una Coca Cola ed era andato in
cucina. Ritornando in camera aveva intravisto attraverso la
porta semiaperta del salotto la mamma e l’amico che si baciavano,
avvinghiati in un grande abbraccio. La mano di lui
che razzolava tra le cosce materne. Si era sentito sgomento.
Perché a pelle da tempo percepiva che qualcosa non doveva
funzionare nel matrimonio dei suoi genitori. Un grande rispetto
reciproco quando erano in pubblico, contrappuntato
da qualche ‘Amore’ o ‘Tesoro’. Era comprensibile anche per
un ragazzo che si trattava solo di una messinscena, al di là
della quale vi era il vuoto pneumatico dei sentimenti. Ma vedere
quella scena e sua madre infoiata per i massaggi e i baci
del suo antico primo amore gli avevano preso lo stomaco. E
rientrato in camera si era recato nel bagno e aveva vomitato
nella toilette.
Flash: le foto del crash del padre in quella maledetta curva
del Passo dello Stelvio. Gli accertamenti fatti dalla polizia
stradale avevano individuato la dinamica dell’incidente.
Papà stava scendendo ad andatura sostenuta quando su un
tornante si era trovato la sua mezzeria invasa da un TIR. La
frenata, di cui restavano le tracce dei pneumatici sull’asfalto,
non era stata sufficiente a evitare lo scontro con il pesante
autoarticolato. La Duetto era rimbalzata contro il guard rail
che, anziché attutire e contenere il veicolo si era trasformato
in una rampa di lancio, catapultando l’Alfa Romeo al di là
della curva. Un salto di più di cento metri. Ai soccorritori si
era presentata una scena raccapricciante con frammenti del
corpo del guidatore sparsi per decine di metri, in mezzo ai
rottami della macchina.
Flash: E il funerale con il corteo di finti addolorati. A cominciare
dai colleghi della azienda, perché, grazie a Dio, si
apriva uno spazio per salire. La mamma ovviamente che recitava
da par suo la parte della moglie disperata, ma civile. Il
suo dolore era evidente, ma contenuto come solo le persone
di un certo livello sociale sanno fare. Pieno di premure l’amico
del liceo la sosteneva nel tragitto fino alla Basilica di
Sant’Ambrogio. Dio, come li odiava quei due.
Flash: la bionda Olivia incontrata alla Tuscan View Farm
in Virginia. E questa Olivia, la ‘nipotina’, stessi occhi ma capelli
corvini.
Flash: e gli sembrava di toccarla quella dea, bionda o mora,
ne sentiva il profumo un po’ selvaggio della pelle, sentiva le
sue labbra che gli sfioravano il viso, la fronte e si attardavano
sui suoi capezzoli.
“Dio, come sei bello e quanto mi piaci” stava dicendo la
creatura che si era infilata nel letto.
Michael aveva ormai smaltito la mezza sbornia. Si sollevò
su un fianco, stupito e felice di trovare Olivia, di averla vicina,
nuda, perfetta nelle sue rotondità. Un cocktail di Venere
Capitolina e Paolina Bonaparte del Canova.
“Ma sei pazza? Come sei entrata? Se lo viene a scoprire”.
“Ho detto che stavo male e non me la sentivo di andare a
Città di Messico. Non sei contento di vedermi? Ho pensato
molto a te dopo che ci siamo visti a casa mia in Virginia”.
“Olivia, Dio, incredibile ritrovarti qui”. Il volto di Michael
sprizzava gioia, quella stessa gioia che provava quando,
bambino, il papà gli portava il regalo che da tempo desiderava.
Una luce negli occhi di sorpresa e candore infantile.
“Non parlare; ti voglio dentro di me, subito”.
______________________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
venerdì 21 novembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 9
Da qualche anno le principali linee aeree americane avevano
soppresso i voli diretti Washington-Acapulco. Bisognava
fare scalo a Miami, Houston o Dallas e poi prendere un diretto
per la città messicana.
A Michael avevano spiegato che la corrente principale di
turismo si stava ormai riversando sulla costa atlantica del
Messico. E così Acapulco per tanti anni punto di ritrovo di
tutta l’Hollywood che contava a cominciare da Tarzan - John
Westmuller, John Wayne e Silvester Stallone e molti altri attori
famosi, aveva iniziato un’irreversibile caduta.
Qualcuno aggiungeva che la città, raggiunto ormai il milione
di abitanti, sommando i settecentomila della municipalità
ai sobborghi, era invivibile. Criminalità in aumento e un
paio di morti al giorno.
“Ma non c‘è da preoccuparsi, senor” – disse il tassista a Michael
Bardi nel tragitto dall’aeroporto internazionale General
Juan N. Alvarez al Maya Resort. “Si ammazzano tra di loro”.
La stampa locale, infatti, dava notizia dell’ennesimo ritrovamento
di cadaveri decapitati secondo l’usanza locale.
E poi quel ‘loro’ comprendeva le bande di trafficanti di
droga sempre più potenti, sempre più armate e sempre più
in lotta per la supremazia nel mercato americano. Che continuava
a tirare alla grande e dava la sicurezza di enormi guadagni.
Arrivarono all’ingresso principale del comprensorio e Michael,
pagata la corsa e scaricato il suo bagaglio, si diresse verso
gli uffici dell’accettazione. La ragazza al di là del bancone
appena comprese il suo nome prese il telefono e comunicò
che Mr. Bardi era arrivato.
Questione di un minuto e un cart elettrico si presentò guidato
da un giovane moro, molto bello, vestito di bleu, nonostante
il caldo afoso che imperversava da giorni sulla regione.
“El Nino, senor, insieme alla Nina ci fanno morire”. Aveva
detto il tassista ciarliero nella cui macchina l’aria condizionata
aveva cessato di funzionare chissà da quanti anni.
“Mr. Bardi, bene arrivato. La porto subito al suo cottage”.
Disse il bellone e Michael salì sul cart. Breve tragitto
sui vialetti, scansando frotte di bambini vivaci e anziani su
sedie a rotelle. Il giovane aprì la porta dell’unità, chiaramente
riservata agli ospiti di lusso (un equivalente di una super suite
in qualche albergo di Las Vegas) e Michael si trovò immerso
in un’atmosfera di grande e raffinato gusto. Un arredamento
non pacchiano, con i doverosi riferimenti alla civiltà Maya.
Unico tributo pagato alle esigenze del turista danaroso
proveniente dagli Stati Uniti, la vasca per idromassaggio Iacuzzi
in camera da letto. Da usare ovviamente con flutes di
champagne appoggiati sui bordi e candele accese un po’ da
per tutto. Secondo l’iconografia americana del sesso fatto in
una certa maniera, ovvero con stile.
“Mi permetterò disturbarla tra qualche ora. Le nove, se
per lei va bene. Avrà così tutto il tempo per rilassarsi e fare
un bagno in una delle piscine”. Aggiunse il giovane con uno
sguardo vellutato a Michael che si rese conto di avere fatto
centro con il gay di turno.
Michael tirò fuori dalla valigia un completo di lino comprato
a Roma, una camicia bianca che faceva parte di uno
stock su misura che ogni tanto ordinava a Firenze. Un paio di
cravatte di Marinella di Napoli trovarono il loro posto dietro
la porta dell’armadio. Mocassini di Gucci da indossare ovviamente
senza calzini. Doccia e poi disteso sul letto dopo avere
regolato il termostato dell’aria condizionata al massimo.
Gli venne fatto di ricordare i particolari dell’incontro
che aveva avuto pochi giorni prima a Roma, all’Olgiata con
quell’ex massone. La proposta di contratto ancora non gli era
arrivata; ma sarebbe mai arrivata dal momento che quell’appuntamento
ufficialmente non era mai avvenuto? La minaccia
contenuta nelle parole di Cardoni, quella invece era arrivata
a segno benissimo. Nonostante il modo amabile e soft
delle sue parole.
Da un paio di anni era impegnato nel gestire alcune importanti
consulenze. Ma chiaramente doveva essersi sparsa
la voce in certi ambienti che contavano. La cosa gli faceva
piacere sino ad un certo punto. Nel suo mestiere la regola
aurea era quella di stare sotto traccia. E anche questo invito
al Maya Resort rientrava nella categoria delle pubbliche relazioni
di business.
Gli era arrivato tramite una serie di e-mail la prima delle
quali risaliva a qualche minuto dopo l’incontro dell’Olgiata.
Di ritorno dall’Italia, era riuscito a ritagliarsi una ‘toccata e
fuga’ di qualche ora in Mexico.
Edmundo Gutierrez era il nome del proprietario del Resort
e non solo di questo. Bastava andare su Google per leggere
ampie citazioni su questo Gutierrez.
Esponente politico di spicco dello stato di Guerrero per il
PRI, Partido Revolucionario Institutional, (da oltre 70 anni
alla guida del Paese) era riuscito a divenirne per qualche anno
il governatore, costretto a fare la spola tra Acapulco e la piccola
capitale del tormentato stato, Chilpancingo.
Poi quando nel PRI si era verificata la frattura a livello
nazionale che nel 1987 aveva portato alla formazione di un
altro movimento politico di sinistra, il Partido Democratico
Revolutionario, Edmundo Gutierrez aveva pensato bene di
lasciare la politica attiva che era solo una perdita di tempo
e dedicarsi ai suoi affari. Che le malelingue dicevano fossero
commisti con i grandi traffici di droga.
Un’accusa che in Mexico viene affibbiata ad ogni persona
che si cimenta in politica, tanto pervasiva è la presenza della
criminalità organizzata che fa leva sulla tradizionale cultura
messicana imbevuta di corruzione ad ogni livello.
Così rimuginava Michael a occhi chiusi sperando di assopirsi.
E finalmente Morfeo l’ebbe vinta.
Sognava e gli sembrava di guidare sulle strade piene di verde
della Virginia. Una piscina in una farm e una sirena bionda
che usciva dall’acqua e gli sorrideva, mentre un rumore
insistente gli percuoteva le tempie. Il telefono stava squillando
con un suono stridulo e penetrante. Michael, ancora
intontito, alzò il ricevitore con un gesto automatico.
Il telefono. “Mr. Bardi sono le nove e il suo appuntamento
è tra venti minuti nella hall del Maya”, la voce del moretto
era un po’ eccitata.
“Va bene. Mi ero addormentato. Tra un quarto d’ora sono
pronto”.
“Sarò ad aspettarla fuori del suo cottage con il cart”.
Doccia fredda prolungata, una rapida passata con il rasoio
elettrico che gli manteneva alla giusta altezza il filo di barba,
vestito di lino, camicia (senza cravatta, con quel caldo… ) e
mocassini infilati all’ultimo momento. Aprì la porta.
Il giovanotto vestito di blue era sul cart e gli sorrideva con
intensità.
Il cart iniziò la sua corsa silenziosa lungo i vialetti verso la
costruzione principale del resort. Ispirata ai Maya con fontane,
piramidi, riproduzioni del calendario di quella civiltà e il
tripudio di colori che solo in Mexico si trova.
Il cart si fermò alla base di una breve scala che conduceva
sotto un patio che comprendeva uno dei vari ristoranti e il
bar dove un trio di chitarristi cantanti si stava esibendo suonando
in maniera perfetta una delle canzoni messicane più
apprezzate da Michael, “Sabor a mi”.
I tre cantavano per un attempato ma vigoroso gentiluomo,
camicia nera su pantaloni neri e calzari, che ascoltava sorridendo,
rapito, mentre sorseggiava un whisky on the rocks.
Alle sue spalle seduti tre individui anch’essi nero vestiti. Due
dalle dimensioni di giocatori di football americano. Il terzo
mingherlino, baffetti e pizzetto alla Mefisto che contribuivano
a rendere spettrale il suo viso. Chiaramente un locale.
All’arrivo di Michael, Edmundo Gutierrez si alzò dalla
poltrona con una certa fatica, forse soffriva di gotta. Sorrise
con lo splendore dei suoi trentadue denti appena impiantati,
colorito bruno che rivelava come qualcuno dei suoi progenitori
si fosse innamorato di una fanciulla india.
“Sto bevendo un whisky favoloso. Vuole tenermi compagnia?”,
esordì Gutierrez.
Michael annuì sorridendo. Le tre guardie del corpo avevano
spostato di un metro le loro sedie. L’assistente si era
dileguato.
Gutierrez fece un cenno con la mano al bartender che si
precipitò con bicchiere, bottiglia, cestello del ghiaccio.
Stretta di mano a Michael che si attendeva quella massonica.
Evidentemente Gutierrez non era un fratello. Meglio
così. Va a fidarti.
“Cardoni mi ha subito chiamato appena lei è uscito da
casa sua a Roma. E così mi sono messo in moto io. Le ho
mandato un po’ di messaggi e la ringrazio per avere aderito a
questa richiesta di incontro, anche se in un così breve spazio
di tempo, immaginando i suoi impegni professionali in giro
per il mondo”.
Michael Bardi sorridendo fece un gesto con le mani come
per dire: “Ma le pare? È un piacere reciproco” e tutti i minuetti
di rito che precedono la trattativa di temi e argomenti
molto duri.
Edmundo Gutierrez era un uomo di mondo, preparato
culturalmente e abituato da sempre a gestire i propri affari e
quelli che gli venivano affidati da poche altre persone molto
selezionate. Parlava in maniera diretta ma senza caricare il
discorso di enfasi. Il che per un messicano doc era una eccezione,
visto che non usava iperboli e aggettivazione.
“Cardoni le ha parlato del nostro club, delle nostre preoccupazioni.
Non le ha detto che abbiamo investito al momento
un sacco di dollari in una delle più note società di lobby
di Washington. Ovviamente sulla K Street. Ma non siamo
molto soddisfatti dei risultati raggiunti. Anche perché, parliamoci
fuori dei denti, lei sa bene come funzionano queste
aziende.
Raccolgono superpagati consulenti, ovvero quegli uomini
politici di alto livello che sono stati trombati in qualche elezione.
Ma che comunque per l’intensa attività politica svolta
si sono creati una fitta rete di contatti ai livelli più alti della
amministrazione. Senza parlare dei colleghi di partito e
anche di quelli al potere. Tanto il dollaro non ha e non avrà mai
colorazioni politiche”.
Edmundo Gutierrez si concesse una pausa indicando al
barista di riempirgli di nuovo il bicchiere del biondo liquido.
“Chissà quanti ne ha bevuti sino ad ora”, pensò Michael, ammirando
la tenuta all’alcool del suo anfitrione.
“Da tempo puntiamo ad averla come nostro collaboratore.
Abbiamo studiato il suo curriculum e seguito la sua attività
professionale. Non è nostra abitudine forzare la mano. Vorremmo,
come dire? Stabilire un periodo di rodaggio reciproco
per il quale le sarà corrisposto un lauto assegno. Il primo
impegno che le chiediamo, sperando in una sua accettazione,
è la verifica di quello che stanno facendo per noi sulla K street.
Abbiamo il sospetto che alcuni dei nuovi dirigenti della
società di lobby stiano facendo a nostre spese il doppio gioco.
Non si spiegherebbero altrimenti le informazioni riservate
che sono in mano ai sostenitori delle energie alternative e
complementari.
Guardi in questa busta ho messo un assegno che penso
possa coprire le spese per il primo rapporto sull’argomento
che vorrà inviarci. Prenda la busta, ci pensi sopra questa notte
prima di dormire. E domani ne riparleremo”.
Gutierrez alzò la mano e da un piccolo tavolo poco distante
si levò una dea che zampettando su tacchi altissimi, gli si
avvicinò baciandolo lievemente sulla guancia.
“Penso che sia arrivato il momento di andare a mangiare
qualcosa. Questa è la mia nipotina”.
Gli occhi verdi sotto un caschetto di capelli neri folgorarono
Michael e lo trapassarono.
“Questo è Michael e questa è Olivia”. Disse Gutierrez dirigendosi
verso il tavolo riservato nel ristorante.
_______________________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
soppresso i voli diretti Washington-Acapulco. Bisognava
fare scalo a Miami, Houston o Dallas e poi prendere un diretto
per la città messicana.
A Michael avevano spiegato che la corrente principale di
turismo si stava ormai riversando sulla costa atlantica del
Messico. E così Acapulco per tanti anni punto di ritrovo di
tutta l’Hollywood che contava a cominciare da Tarzan - John
Westmuller, John Wayne e Silvester Stallone e molti altri attori
famosi, aveva iniziato un’irreversibile caduta.
Qualcuno aggiungeva che la città, raggiunto ormai il milione
di abitanti, sommando i settecentomila della municipalità
ai sobborghi, era invivibile. Criminalità in aumento e un
paio di morti al giorno.
“Ma non c‘è da preoccuparsi, senor” – disse il tassista a Michael
Bardi nel tragitto dall’aeroporto internazionale General
Juan N. Alvarez al Maya Resort. “Si ammazzano tra di loro”.
La stampa locale, infatti, dava notizia dell’ennesimo ritrovamento
di cadaveri decapitati secondo l’usanza locale.
E poi quel ‘loro’ comprendeva le bande di trafficanti di
droga sempre più potenti, sempre più armate e sempre più
in lotta per la supremazia nel mercato americano. Che continuava
a tirare alla grande e dava la sicurezza di enormi guadagni.
Arrivarono all’ingresso principale del comprensorio e Michael,
pagata la corsa e scaricato il suo bagaglio, si diresse verso
gli uffici dell’accettazione. La ragazza al di là del bancone
appena comprese il suo nome prese il telefono e comunicò
che Mr. Bardi era arrivato.
Questione di un minuto e un cart elettrico si presentò guidato
da un giovane moro, molto bello, vestito di bleu, nonostante
il caldo afoso che imperversava da giorni sulla regione.
“El Nino, senor, insieme alla Nina ci fanno morire”. Aveva
detto il tassista ciarliero nella cui macchina l’aria condizionata
aveva cessato di funzionare chissà da quanti anni.
“Mr. Bardi, bene arrivato. La porto subito al suo cottage”.
Disse il bellone e Michael salì sul cart. Breve tragitto
sui vialetti, scansando frotte di bambini vivaci e anziani su
sedie a rotelle. Il giovane aprì la porta dell’unità, chiaramente
riservata agli ospiti di lusso (un equivalente di una super suite
in qualche albergo di Las Vegas) e Michael si trovò immerso
in un’atmosfera di grande e raffinato gusto. Un arredamento
non pacchiano, con i doverosi riferimenti alla civiltà Maya.
Unico tributo pagato alle esigenze del turista danaroso
proveniente dagli Stati Uniti, la vasca per idromassaggio Iacuzzi
in camera da letto. Da usare ovviamente con flutes di
champagne appoggiati sui bordi e candele accese un po’ da
per tutto. Secondo l’iconografia americana del sesso fatto in
una certa maniera, ovvero con stile.
“Mi permetterò disturbarla tra qualche ora. Le nove, se
per lei va bene. Avrà così tutto il tempo per rilassarsi e fare
un bagno in una delle piscine”. Aggiunse il giovane con uno
sguardo vellutato a Michael che si rese conto di avere fatto
centro con il gay di turno.
Michael tirò fuori dalla valigia un completo di lino comprato
a Roma, una camicia bianca che faceva parte di uno
stock su misura che ogni tanto ordinava a Firenze. Un paio di
cravatte di Marinella di Napoli trovarono il loro posto dietro
la porta dell’armadio. Mocassini di Gucci da indossare ovviamente
senza calzini. Doccia e poi disteso sul letto dopo avere
regolato il termostato dell’aria condizionata al massimo.
Gli venne fatto di ricordare i particolari dell’incontro
che aveva avuto pochi giorni prima a Roma, all’Olgiata con
quell’ex massone. La proposta di contratto ancora non gli era
arrivata; ma sarebbe mai arrivata dal momento che quell’appuntamento
ufficialmente non era mai avvenuto? La minaccia
contenuta nelle parole di Cardoni, quella invece era arrivata
a segno benissimo. Nonostante il modo amabile e soft
delle sue parole.
Da un paio di anni era impegnato nel gestire alcune importanti
consulenze. Ma chiaramente doveva essersi sparsa
la voce in certi ambienti che contavano. La cosa gli faceva
piacere sino ad un certo punto. Nel suo mestiere la regola
aurea era quella di stare sotto traccia. E anche questo invito
al Maya Resort rientrava nella categoria delle pubbliche relazioni
di business.
Gli era arrivato tramite una serie di e-mail la prima delle
quali risaliva a qualche minuto dopo l’incontro dell’Olgiata.
Di ritorno dall’Italia, era riuscito a ritagliarsi una ‘toccata e
fuga’ di qualche ora in Mexico.
Edmundo Gutierrez era il nome del proprietario del Resort
e non solo di questo. Bastava andare su Google per leggere
ampie citazioni su questo Gutierrez.
Esponente politico di spicco dello stato di Guerrero per il
PRI, Partido Revolucionario Institutional, (da oltre 70 anni
alla guida del Paese) era riuscito a divenirne per qualche anno
il governatore, costretto a fare la spola tra Acapulco e la piccola
capitale del tormentato stato, Chilpancingo.
Poi quando nel PRI si era verificata la frattura a livello
nazionale che nel 1987 aveva portato alla formazione di un
altro movimento politico di sinistra, il Partido Democratico
Revolutionario, Edmundo Gutierrez aveva pensato bene di
lasciare la politica attiva che era solo una perdita di tempo
e dedicarsi ai suoi affari. Che le malelingue dicevano fossero
commisti con i grandi traffici di droga.
Un’accusa che in Mexico viene affibbiata ad ogni persona
che si cimenta in politica, tanto pervasiva è la presenza della
criminalità organizzata che fa leva sulla tradizionale cultura
messicana imbevuta di corruzione ad ogni livello.
Così rimuginava Michael a occhi chiusi sperando di assopirsi.
E finalmente Morfeo l’ebbe vinta.
Sognava e gli sembrava di guidare sulle strade piene di verde
della Virginia. Una piscina in una farm e una sirena bionda
che usciva dall’acqua e gli sorrideva, mentre un rumore
insistente gli percuoteva le tempie. Il telefono stava squillando
con un suono stridulo e penetrante. Michael, ancora
intontito, alzò il ricevitore con un gesto automatico.
Il telefono. “Mr. Bardi sono le nove e il suo appuntamento
è tra venti minuti nella hall del Maya”, la voce del moretto
era un po’ eccitata.
“Va bene. Mi ero addormentato. Tra un quarto d’ora sono
pronto”.
“Sarò ad aspettarla fuori del suo cottage con il cart”.
Doccia fredda prolungata, una rapida passata con il rasoio
elettrico che gli manteneva alla giusta altezza il filo di barba,
vestito di lino, camicia (senza cravatta, con quel caldo… ) e
mocassini infilati all’ultimo momento. Aprì la porta.
Il giovanotto vestito di blue era sul cart e gli sorrideva con
intensità.
Il cart iniziò la sua corsa silenziosa lungo i vialetti verso la
costruzione principale del resort. Ispirata ai Maya con fontane,
piramidi, riproduzioni del calendario di quella civiltà e il
tripudio di colori che solo in Mexico si trova.
Il cart si fermò alla base di una breve scala che conduceva
sotto un patio che comprendeva uno dei vari ristoranti e il
bar dove un trio di chitarristi cantanti si stava esibendo suonando
in maniera perfetta una delle canzoni messicane più
apprezzate da Michael, “Sabor a mi”.
I tre cantavano per un attempato ma vigoroso gentiluomo,
camicia nera su pantaloni neri e calzari, che ascoltava sorridendo,
rapito, mentre sorseggiava un whisky on the rocks.
Alle sue spalle seduti tre individui anch’essi nero vestiti. Due
dalle dimensioni di giocatori di football americano. Il terzo
mingherlino, baffetti e pizzetto alla Mefisto che contribuivano
a rendere spettrale il suo viso. Chiaramente un locale.
All’arrivo di Michael, Edmundo Gutierrez si alzò dalla
poltrona con una certa fatica, forse soffriva di gotta. Sorrise
con lo splendore dei suoi trentadue denti appena impiantati,
colorito bruno che rivelava come qualcuno dei suoi progenitori
si fosse innamorato di una fanciulla india.
“Sto bevendo un whisky favoloso. Vuole tenermi compagnia?”,
esordì Gutierrez.
Michael annuì sorridendo. Le tre guardie del corpo avevano
spostato di un metro le loro sedie. L’assistente si era
dileguato.
Gutierrez fece un cenno con la mano al bartender che si
precipitò con bicchiere, bottiglia, cestello del ghiaccio.
Stretta di mano a Michael che si attendeva quella massonica.
Evidentemente Gutierrez non era un fratello. Meglio
così. Va a fidarti.
“Cardoni mi ha subito chiamato appena lei è uscito da
casa sua a Roma. E così mi sono messo in moto io. Le ho
mandato un po’ di messaggi e la ringrazio per avere aderito a
questa richiesta di incontro, anche se in un così breve spazio
di tempo, immaginando i suoi impegni professionali in giro
per il mondo”.
Michael Bardi sorridendo fece un gesto con le mani come
per dire: “Ma le pare? È un piacere reciproco” e tutti i minuetti
di rito che precedono la trattativa di temi e argomenti
molto duri.
Edmundo Gutierrez era un uomo di mondo, preparato
culturalmente e abituato da sempre a gestire i propri affari e
quelli che gli venivano affidati da poche altre persone molto
selezionate. Parlava in maniera diretta ma senza caricare il
discorso di enfasi. Il che per un messicano doc era una eccezione,
visto che non usava iperboli e aggettivazione.
“Cardoni le ha parlato del nostro club, delle nostre preoccupazioni.
Non le ha detto che abbiamo investito al momento
un sacco di dollari in una delle più note società di lobby
di Washington. Ovviamente sulla K Street. Ma non siamo
molto soddisfatti dei risultati raggiunti. Anche perché, parliamoci
fuori dei denti, lei sa bene come funzionano queste
aziende.
Raccolgono superpagati consulenti, ovvero quegli uomini
politici di alto livello che sono stati trombati in qualche elezione.
Ma che comunque per l’intensa attività politica svolta
si sono creati una fitta rete di contatti ai livelli più alti della
amministrazione. Senza parlare dei colleghi di partito e
anche di quelli al potere. Tanto il dollaro non ha e non avrà mai
colorazioni politiche”.
Edmundo Gutierrez si concesse una pausa indicando al
barista di riempirgli di nuovo il bicchiere del biondo liquido.
“Chissà quanti ne ha bevuti sino ad ora”, pensò Michael, ammirando
la tenuta all’alcool del suo anfitrione.
“Da tempo puntiamo ad averla come nostro collaboratore.
Abbiamo studiato il suo curriculum e seguito la sua attività
professionale. Non è nostra abitudine forzare la mano. Vorremmo,
come dire? Stabilire un periodo di rodaggio reciproco
per il quale le sarà corrisposto un lauto assegno. Il primo
impegno che le chiediamo, sperando in una sua accettazione,
è la verifica di quello che stanno facendo per noi sulla K street.
Abbiamo il sospetto che alcuni dei nuovi dirigenti della
società di lobby stiano facendo a nostre spese il doppio gioco.
Non si spiegherebbero altrimenti le informazioni riservate
che sono in mano ai sostenitori delle energie alternative e
complementari.
Guardi in questa busta ho messo un assegno che penso
possa coprire le spese per il primo rapporto sull’argomento
che vorrà inviarci. Prenda la busta, ci pensi sopra questa notte
prima di dormire. E domani ne riparleremo”.
Gutierrez alzò la mano e da un piccolo tavolo poco distante
si levò una dea che zampettando su tacchi altissimi, gli si
avvicinò baciandolo lievemente sulla guancia.
“Penso che sia arrivato il momento di andare a mangiare
qualcosa. Questa è la mia nipotina”.
Gli occhi verdi sotto un caschetto di capelli neri folgorarono
Michael e lo trapassarono.
“Questo è Michael e questa è Olivia”. Disse Gutierrez dirigendosi
verso il tavolo riservato nel ristorante.
_______________________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
lunedì 17 novembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 8
1150, Quindicesima Strada a pochi blocchi dalla Casa
Bianca. La sede del Washington Post con la solita Lynotipe
messa nella hall. Il Washington Post, il più vecchio quotidiano
americano, fondato nel 1871 aveva 740 giornalisti. Il
Palmares di questo giornale annoverava 47 premi Pulitzer
conquistati dai suoi reporter ogni anno.
Anche se ogni tanto gli capitava di incappare in qualche
infortunio. Come il caso della giornalista Janet Cooke che
nel 1980 aveva vinto il Pulitzer per una serie di articoli che
narravano le disavventure di un ragazzino eroinomane, “Jimmy’s
world”. Tutto inventato e la donna aveva dovuto restituire
il premio.
Il Post era entrato nella leggenda quando nel 1970 una
inchiesta dei suoi giornalisti investigativi, Bob Woodward e
Carl Berstein, aveva minato la credibilità del Presidente Nixon
affrettandone le dimissioni.
Erano le 8:30 di sera. Ormai tutte le pagine erano state
chiuse salvo lo spazio per una ribattitura nel caso fosse successo
qualcosa di grosso.
Studio dell’Editor in Chief. Di fronte due giovani redattori,
Norman O’Brien a Cintia Bradley.
“Direttore, disse Norman, abbiamo fatto verifiche incrociate
a non finire. Ci stiamo lavorando da mesi come sai.
Siamo andati a Boston a parlare con la Pallettieri e abbiamo
registrato i nostri incontri. Poi sai bene che fine ha fatto la
maitresse, anche se non è chiaro se si trattava di balordi o di
qualcuno che agiva su commissione”.
Il direttore sempre impeccabile nel suo doppio petto che
lo aveva reso famoso, eccezione all’immagine del giornalista
scamiciato e sudato, ascoltava, viso impassibile, capello accuratamente
tagliato e sfumato da Melo, famoso barbiere del
Watergate.
Norman continuava, un po’ affannato: “Tra i clienti della
Pallettieri vi sono alcuni principi arabi sauditi al massimo
della gerarchia della famiglia reale. Al Qaeda con le sue nuove
basi e campi di addestramento in Yemen e Somalia sta preparando
attentati proprio in Arabia Saudita per minarne la
consistenza di potere.
L’accusa mossa da decenni da parte dei fondamentalisti
arabi è che questo stato è colluso da sempre con l’odiato infedele
americano e i suoi alleati. È inutile che sottolinei a te, direttore,
quale botta di immagine sarebbe per l’Arabia Saudita
se si venisse a sapere che membri della famiglia al piu’ alto
livello frequentano nelle loro visite di stato in America escort
superpagate, consumando litri di alcoolici e droghe. Eh?”.
Nessuna reazione da parte del mega direttore. Il doppio
petto si alzava e abbassava con ritmo lento proprio di chi
mantiene in forma il proprio fisico con prolungate sedute
in palestra e jogging premattutino alle sei, prima di recarsi al
giornale verso le dieci per la riunione di redazione.
Norman guardò alla sua destra Cintia Bradley che, mentre
seguiva l’esposizione del collega, si mordeva un’unghia. Cintia
ricambiò con uno sguardo rassegnato.
Norman ormai non aveva scelta se non quella di andare
avanti. Sentiva che i suoi argomenti non penetravano la spessa
scorza professionale del capo.
“La pubblicazione di queste storie sarebbe un contributo
all’azione dei verdi che vogliono promuovere le energie
rinnovabili alternative a quelle fossili. Soprattutto al petrolio.
O meglio a quelle enormi quantità che siamo costretti
a importare dai diversi scacchieri del globo. Ma soprattutto
dall’Arabia Saudita”.
Il doppio petto dirigenziale ebbe un moto di vitalità. Si
schiarì la voce e disse:
“Vedo che avete fatto un gran lavoro e ho letto con attenzione
quanto mi avete sottoposto. Lasciatemi consultare il
nostro dipartimento legale per averne un parere vincolante
sui rischi ai quali potremmo andare incontro. Vi farò sapere.
Buon lavoro”.
Un sorriso tiepido, mezzo abbozzato e stretta di mano
quasi morta. E i due uscirono dalla stanza seguiti dagli sguardi
di decine di colleghi che nei loro cubicoli facevano finta
di lavorare.
Il direttore compose un numero interno: “Sam, quei due
vedi di mandarmeli subito alla cronaca”. Disse il direttore
mostrando per la prima volta una qualche emozione. “Per favore
non mi stare a rompere anche tu. Fai quello che ti dico.
Ho le mie buone ragioni”.
E Sam il caporedattore centrale scrisse sulla sua agenda che
il giorno dopo avrebbe dovuto chiamare Norman e Cintia.
Per comunicare loro che, il direttore aveva deciso di fargli
fare esperienza in un settore, quello della cronaca cittadina,
che aveva bisogno di essere rivitalizzato con storie nuove e
interessanti che facessero aumentare le vendite. E loro erano
proprio i reporter più adatti. Ovviamente un piccolo ritocco
allo stipendio con un bonus avrebbe potuto essere molto
convincente.
Sulla L Street a cento metri dall’ingresso del Washington
Post c’era il Post Pub. Frequentato, manco a dirlo, soprattutto
dai reporters del giornale. Vi si mangiavano degli splendidi
cheese burger con french fries. Il tutto innaffiato dalle migliori
birre.
Norman era seduto al bancone del bar, si teneva la testa tra
le mani e guardava la propria immagine riflessa nello speccho
di fronte. Mary, la bartender in là con gli anni e materna,
nel versargli il terzo bicchiere di voda Stolichnaya gli chiese:
“Che succede, Norman? Hai bucato un paio di gomme?
Norman sorrise e rispose: “Le solite cose che ti capitano
quando fai un lavoro come il mio. Il peggiore a livello planetario”.
Una mano gli si posò sulla nuca e cominciò ad accarezzargli
la testa.
“Dai Norman, disse Cintia che era sopraggiunta nel frattempo.
“Andiamo a festeggiare da un’altra parte l’inculata
che ci hanno dato stasera. Tu sei già bollito a dovere e non
puoi guidare. Ci penso io. Altrimenti se ti beccano i poliziotti
mentre sei al volante… piove davvero sul bagnato”.
Cintia pagò le consumazioni a Maria che disse: “Fai proprio
bene, sai? Non l’ho mai visto così depresso”.
Poi Norman e Cintia uscirono dal locale. Lui in equilibrio
precario.
Vicino al Post Pub c’era uno dei tanti garages, convenzionato
col giornale. I due salirono sulla Ford Focus di Cintia
che avviò il motore e si diresse verso Georgetown. Il servizio
meteorologico aveva annunciato un forte storm su Washington.
Le cateratte del cielo si aprirono e riversarono acqua a
catinelle sulla Capitale della Federazione. I tergicristallo non
riuscivano a pulire il vetro e Cintia si trovo’ di fronte una
colonna di macchine che procedevano a velocita’ quasi zero.
“Proprio il tempo giusto per la conclusione di una giornata
come questa... !”, disse Cintia parlando ad alta voce.
Nessuna reazione da parte di Norman che si era assopito,
testa abbassata sul petto, trattenuto dalla cintura di sicurezza.
Arrivati alla Trentunesima strada Cintia trovò uno spazio
dove parcheggiare quasi di fronte a casa sua. Uscirono dalla
vettura giusto in tempo per prendersi un’altra sgrullata di
pioggia.
Un piccolo cortile sul quale si aprivano le porte di cinque
single house.
“Versati un whisky, tanto uno più o meno. Vado un momento
in bagno. Tieni: prendi questo telo e asgiugati che sei
completamente fradicio”.
Norman si diresse al tavolo dove erano alcune bottiglie di
liquore e si servì una solida dose di biondo whisky di malto.
Niente ghiaccio perché non voleva uccidere l’aroma di un
nettare invecchiato dodici anni in fusti di rovere.
Sentì scorrrere l’acqua nella doccia e capì che la serata doveva
concludersi in un certo modo. Non era la prima volta
con Cintia, una ragazza che non creava mai dei problemi.
Efficiente sul lavoro come pochi colleghi e deliziosa quando
le prendeva il ruzzo di fare un po’ di sesso.
E, bisognava riconoscere che Cintia aveva un bagaglio tecnico
culturale di primo livello nel fare all’amore. Si capiva
che per lei era un modo non solo per soddisfare un legittimo
desiderio, ma anche la voglia di far felice il suo partner del
momento.
Dopo alcuni minuti Cintia uscì dal bagno avvolta in un
accapatoio rosa, che sottolineava il rosso dei suoi capelli e
che subito volò per terra. Anche Norman si era spogliato.
Almeno in parte. Cintia gli si inginocchiò davanti sfilandogli
i pantaloni e tutto il resto.
Si stesero per terra. Poi Cintia cominciò a cavalcarlo. Con
grande eccitazione perché l’alcool ingurgitato da Norman
non aveva influito sulla sua performace.
Cintia, schiena eretta, modulava con flessibilità il bacino,
muovendosi lentamente per assaporare il corpo di chi la stava
penetrando in profondità.
Dietro la nuca sentì un freddo contatto. Questione di un
secondo prima che il colpo della Beretta calibro nove con
silenziatore le mandasse in frantumi la testa.
Per poi dirigersi verso il viso di Norman e scaricare nel suo
occhio sinistro un altro colpo.
Habib Fareh ripulì con un lembo del lenzuolo la pistola
che ripose nella fondina sotto il braccio e si avviò verso la
porta. Uscito in strada si avvicinò alla sua auto che aveva
parcheggiato poco distante.
Prima di mettere in moto estrasse dalla tasca il cellulare e
digitò un numero. Quando dall’altra parte alzarono il ricevitore
disse: “Fatto”. Accese il motore e, stando bene attento
a non superare le venticinque miglia, si diresse verso il Maryland.
Ad ogni stop bloccava la vettura perché sapeva che il
governo del Distretto di Columbia aveva aumentato le pattuglie
di poliziotti nascosti dietro gli incroci. Pronti a beccare
chi non fermava completamente le ruote prima del segnale.
Con questo sistema gli introiti nella casse del comune di Washington
DC erano aumentati negli ultimi mesi.
_______________________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
Bianca. La sede del Washington Post con la solita Lynotipe
messa nella hall. Il Washington Post, il più vecchio quotidiano
americano, fondato nel 1871 aveva 740 giornalisti. Il
Palmares di questo giornale annoverava 47 premi Pulitzer
conquistati dai suoi reporter ogni anno.
Anche se ogni tanto gli capitava di incappare in qualche
infortunio. Come il caso della giornalista Janet Cooke che
nel 1980 aveva vinto il Pulitzer per una serie di articoli che
narravano le disavventure di un ragazzino eroinomane, “Jimmy’s
world”. Tutto inventato e la donna aveva dovuto restituire
il premio.
Il Post era entrato nella leggenda quando nel 1970 una
inchiesta dei suoi giornalisti investigativi, Bob Woodward e
Carl Berstein, aveva minato la credibilità del Presidente Nixon
affrettandone le dimissioni.
Erano le 8:30 di sera. Ormai tutte le pagine erano state
chiuse salvo lo spazio per una ribattitura nel caso fosse successo
qualcosa di grosso.
Studio dell’Editor in Chief. Di fronte due giovani redattori,
Norman O’Brien a Cintia Bradley.
“Direttore, disse Norman, abbiamo fatto verifiche incrociate
a non finire. Ci stiamo lavorando da mesi come sai.
Siamo andati a Boston a parlare con la Pallettieri e abbiamo
registrato i nostri incontri. Poi sai bene che fine ha fatto la
maitresse, anche se non è chiaro se si trattava di balordi o di
qualcuno che agiva su commissione”.
Il direttore sempre impeccabile nel suo doppio petto che
lo aveva reso famoso, eccezione all’immagine del giornalista
scamiciato e sudato, ascoltava, viso impassibile, capello accuratamente
tagliato e sfumato da Melo, famoso barbiere del
Watergate.
Norman continuava, un po’ affannato: “Tra i clienti della
Pallettieri vi sono alcuni principi arabi sauditi al massimo
della gerarchia della famiglia reale. Al Qaeda con le sue nuove
basi e campi di addestramento in Yemen e Somalia sta preparando
attentati proprio in Arabia Saudita per minarne la
consistenza di potere.
L’accusa mossa da decenni da parte dei fondamentalisti
arabi è che questo stato è colluso da sempre con l’odiato infedele
americano e i suoi alleati. È inutile che sottolinei a te, direttore,
quale botta di immagine sarebbe per l’Arabia Saudita
se si venisse a sapere che membri della famiglia al piu’ alto
livello frequentano nelle loro visite di stato in America escort
superpagate, consumando litri di alcoolici e droghe. Eh?”.
Nessuna reazione da parte del mega direttore. Il doppio
petto si alzava e abbassava con ritmo lento proprio di chi
mantiene in forma il proprio fisico con prolungate sedute
in palestra e jogging premattutino alle sei, prima di recarsi al
giornale verso le dieci per la riunione di redazione.
Norman guardò alla sua destra Cintia Bradley che, mentre
seguiva l’esposizione del collega, si mordeva un’unghia. Cintia
ricambiò con uno sguardo rassegnato.
Norman ormai non aveva scelta se non quella di andare
avanti. Sentiva che i suoi argomenti non penetravano la spessa
scorza professionale del capo.
“La pubblicazione di queste storie sarebbe un contributo
all’azione dei verdi che vogliono promuovere le energie
rinnovabili alternative a quelle fossili. Soprattutto al petrolio.
O meglio a quelle enormi quantità che siamo costretti
a importare dai diversi scacchieri del globo. Ma soprattutto
dall’Arabia Saudita”.
Il doppio petto dirigenziale ebbe un moto di vitalità. Si
schiarì la voce e disse:
“Vedo che avete fatto un gran lavoro e ho letto con attenzione
quanto mi avete sottoposto. Lasciatemi consultare il
nostro dipartimento legale per averne un parere vincolante
sui rischi ai quali potremmo andare incontro. Vi farò sapere.
Buon lavoro”.
Un sorriso tiepido, mezzo abbozzato e stretta di mano
quasi morta. E i due uscirono dalla stanza seguiti dagli sguardi
di decine di colleghi che nei loro cubicoli facevano finta
di lavorare.
Il direttore compose un numero interno: “Sam, quei due
vedi di mandarmeli subito alla cronaca”. Disse il direttore
mostrando per la prima volta una qualche emozione. “Per favore
non mi stare a rompere anche tu. Fai quello che ti dico.
Ho le mie buone ragioni”.
E Sam il caporedattore centrale scrisse sulla sua agenda che
il giorno dopo avrebbe dovuto chiamare Norman e Cintia.
Per comunicare loro che, il direttore aveva deciso di fargli
fare esperienza in un settore, quello della cronaca cittadina,
che aveva bisogno di essere rivitalizzato con storie nuove e
interessanti che facessero aumentare le vendite. E loro erano
proprio i reporter più adatti. Ovviamente un piccolo ritocco
allo stipendio con un bonus avrebbe potuto essere molto
convincente.
Sulla L Street a cento metri dall’ingresso del Washington
Post c’era il Post Pub. Frequentato, manco a dirlo, soprattutto
dai reporters del giornale. Vi si mangiavano degli splendidi
cheese burger con french fries. Il tutto innaffiato dalle migliori
birre.
Norman era seduto al bancone del bar, si teneva la testa tra
le mani e guardava la propria immagine riflessa nello speccho
di fronte. Mary, la bartender in là con gli anni e materna,
nel versargli il terzo bicchiere di voda Stolichnaya gli chiese:
“Che succede, Norman? Hai bucato un paio di gomme?
Norman sorrise e rispose: “Le solite cose che ti capitano
quando fai un lavoro come il mio. Il peggiore a livello planetario”.
Una mano gli si posò sulla nuca e cominciò ad accarezzargli
la testa.
“Dai Norman, disse Cintia che era sopraggiunta nel frattempo.
“Andiamo a festeggiare da un’altra parte l’inculata
che ci hanno dato stasera. Tu sei già bollito a dovere e non
puoi guidare. Ci penso io. Altrimenti se ti beccano i poliziotti
mentre sei al volante… piove davvero sul bagnato”.
Cintia pagò le consumazioni a Maria che disse: “Fai proprio
bene, sai? Non l’ho mai visto così depresso”.
Poi Norman e Cintia uscirono dal locale. Lui in equilibrio
precario.
Vicino al Post Pub c’era uno dei tanti garages, convenzionato
col giornale. I due salirono sulla Ford Focus di Cintia
che avviò il motore e si diresse verso Georgetown. Il servizio
meteorologico aveva annunciato un forte storm su Washington.
Le cateratte del cielo si aprirono e riversarono acqua a
catinelle sulla Capitale della Federazione. I tergicristallo non
riuscivano a pulire il vetro e Cintia si trovo’ di fronte una
colonna di macchine che procedevano a velocita’ quasi zero.
“Proprio il tempo giusto per la conclusione di una giornata
come questa... !”, disse Cintia parlando ad alta voce.
Nessuna reazione da parte di Norman che si era assopito,
testa abbassata sul petto, trattenuto dalla cintura di sicurezza.
Arrivati alla Trentunesima strada Cintia trovò uno spazio
dove parcheggiare quasi di fronte a casa sua. Uscirono dalla
vettura giusto in tempo per prendersi un’altra sgrullata di
pioggia.
Un piccolo cortile sul quale si aprivano le porte di cinque
single house.
“Versati un whisky, tanto uno più o meno. Vado un momento
in bagno. Tieni: prendi questo telo e asgiugati che sei
completamente fradicio”.
Norman si diresse al tavolo dove erano alcune bottiglie di
liquore e si servì una solida dose di biondo whisky di malto.
Niente ghiaccio perché non voleva uccidere l’aroma di un
nettare invecchiato dodici anni in fusti di rovere.
Sentì scorrrere l’acqua nella doccia e capì che la serata doveva
concludersi in un certo modo. Non era la prima volta
con Cintia, una ragazza che non creava mai dei problemi.
Efficiente sul lavoro come pochi colleghi e deliziosa quando
le prendeva il ruzzo di fare un po’ di sesso.
E, bisognava riconoscere che Cintia aveva un bagaglio tecnico
culturale di primo livello nel fare all’amore. Si capiva
che per lei era un modo non solo per soddisfare un legittimo
desiderio, ma anche la voglia di far felice il suo partner del
momento.
Dopo alcuni minuti Cintia uscì dal bagno avvolta in un
accapatoio rosa, che sottolineava il rosso dei suoi capelli e
che subito volò per terra. Anche Norman si era spogliato.
Almeno in parte. Cintia gli si inginocchiò davanti sfilandogli
i pantaloni e tutto il resto.
Si stesero per terra. Poi Cintia cominciò a cavalcarlo. Con
grande eccitazione perché l’alcool ingurgitato da Norman
non aveva influito sulla sua performace.
Cintia, schiena eretta, modulava con flessibilità il bacino,
muovendosi lentamente per assaporare il corpo di chi la stava
penetrando in profondità.
Dietro la nuca sentì un freddo contatto. Questione di un
secondo prima che il colpo della Beretta calibro nove con
silenziatore le mandasse in frantumi la testa.
Per poi dirigersi verso il viso di Norman e scaricare nel suo
occhio sinistro un altro colpo.
Habib Fareh ripulì con un lembo del lenzuolo la pistola
che ripose nella fondina sotto il braccio e si avviò verso la
porta. Uscito in strada si avvicinò alla sua auto che aveva
parcheggiato poco distante.
Prima di mettere in moto estrasse dalla tasca il cellulare e
digitò un numero. Quando dall’altra parte alzarono il ricevitore
disse: “Fatto”. Accese il motore e, stando bene attento
a non superare le venticinque miglia, si diresse verso il Maryland.
Ad ogni stop bloccava la vettura perché sapeva che il
governo del Distretto di Columbia aveva aumentato le pattuglie
di poliziotti nascosti dietro gli incroci. Pronti a beccare
chi non fermava completamente le ruote prima del segnale.
Con questo sistema gli introiti nella casse del comune di Washington
DC erano aumentati negli ultimi mesi.
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(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
giovedì 13 novembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 7
Sulla porta ad attenderlo un anziano signore con ampia
barba grigia e lunghi capelli, di nero vestito, nonostante il
caldo incipiente. Camicia bianca, cravatta nera, polsini con
gemelli d’oro con l’immagine della squadra e del compasso.
“Fratello Michael, bene arrivato. Posso chiamarvi così visto
che anche voi appartenete alla grande Istituzione?”.
Bardi, atteggiò il viso a un sorriso di circostanza e sedette
nella poltrona che gli veniva indicata. Dalla finestra una brezza
rinfrescante muoveva le tende.
“Prego, gran maestro Cardoni”, rispose Michael.
“Vedete, continuò l’anziano interlocutore usando il ‘voi’
massonico italiano anzichè il tu o il lei, “Non è stato facile
rintracciarvi. Ma ci siamo riusciti”.
“Una domanda personale”, chiese, “di cui mi dovete scusare:
lavorate ancora per la Smithson & Bradley Law Firm di
Washington?”.
“Non più. Abbiamo trovato una soluzione consensuale”.
“Che vi avrà portato sicuramente dei vantaggi economici,
immagino”.
“So curare abbastanza bene i miei interessi. Del resto vi
erano delle divergenze sulle metodiche da adottare”.
Cardoni increspò la gran barba in una risata repressa: “Alludete
alla eliminazione o cancellazione di certe testimonianze
pericolose?”.
Michael fece finta di non avere sentito.
“Opportuno il vostro silenzio”, proseguì Cardoni. “Per
non farvi perdere troppo tempo desidero disegnare con voi
uno scenario. Anni fa ho deciso di dar vita a un’organizzazione
‘The Rock’. Tutte cose che conoscete bene. Ma voglio
darvi una testimonianza personale del mio agire.
Vedete, giovane fratello Michael. Voi appartenete ad
esempio a una loggia che risponde all’Obbedienza della Gran
Loggia di Washington DC. Tanto di cappello per le logge
bilingue di Washington. Guardando da vicino la composizione
dei membri della Massoneria americana devo dire che
la presenza di persone semplici mi fa gioire perchè significa
che il Craft svolge una grande funzione nella società.
Ma poi sorge la domanda: può un’Istituzione come la
Massoneria vivere sulla presenza di gente semplice, tassisti
piuttosto che operai e artigiani? Se noi siamo chiamati a recitare
e svolgere il nostro ruolo di testa di ponte nella società,
se noi massoni ci diciamo spesso che dobbiamo abbassare i
ponti levatoi e ritornare a giocare un ruolo attivo di presenza
e di simbolico punto di riferimento per i disorientati profani
dai quali siamo circondati, bene: se questo è vero, come è
vero, dobbiamo esercitare la nostra influenza con uomini che
siano il meglio della selezione civile.
E guardate: parlo non solo per voi americani. Il discorso
vale per tutti a cominciare dalle varie obbedienze che ci sono
in Italia”.
Michael non si sentiva a suo agio. L’attempato massone
aveva iniziato una liturgia che non riusciva a capire dove volesse
andare a parare. Un personaggio molto criticato per le
sue azioni passate da molti giudicate all’insegna dell’ accrescimento
del proprio potere personale. Non certo una dimostrazione
di tolleranza, il principio ispiratore della Massoneria
universale.
“Ecco perchè ho lasciato ogni Gran Loggia e ho deciso di
dedicarmi alla Rock di cui possono far parte anche le donne.
Ed è quanto è avvenuto venti anni fa nel Rotary International
dove l’appartenenza è determinata non dal sesso ma dai
successi personali e professionali della Persona in quanto tale.
Le nostre riunioni sono al massimo livello e accolgono i veri
potenti. Quelli che decidono le sorti del mondo”.
Michael osservava l’ostentata eccitazione che aveva colto il
suo ospite mentre parlava.
“Sono sicuro che volete chiedermi di che parliamo nei
nostri incontri”. Cardoni era un fiume in piena. “I temi su
cui ci misuriamo sono quelli classici: rapporti di forza tra
le nazioni, le politiche delle multinazionali, e, soprattutto
l’energia. Che succederà a livello globale per far fronte alla
crescente domanda di energia incentivata dall’ingresso nell’arena
mondiale dei cosiddetti paesi emergenti che ormai sono
emersi del tutto?”.
“Ha dimenticato l’acqua... ”, aggiunse Michael rendendosi
conto che in qualche modo doveva interloquire. “E poi,
senza offesa: si tratta di temi sui quali si arrovellano le menti
di scienziati, politici, economisti, sociologi di tutto il mondo...”.
Sorriso di impercettibile compatimento seminascosto dalla
barba risorgimentale.
“Giovane fratello americano. Quello che voi dite è giusto.
Tutti parlano di questi temi. L’unica differenza con altri clubs
famosi, tipo il Bilderberg o lo Aspen Institute, è che noi parliamo,
esaminiamo, ma soprattutto decidiamo e operiamo”.
Quel ‘decidiamo e operiamo’ fu pronunciato quasi sibilando
guardando direttamente negli occhi Michael Bardi. Il
vecchio ex gran maestro stava recitando un copione che era
ancora alle prime battute. Adesso sarebbe entrato a gamba
tesa a esporre in dettaglio quello che aveva in corpo. La ragione
stessa per cui aveva convocato il giovane ex marine.
“Decidiamo e operiamo”, ripetè. “A proposito del problema
dei problemi, ovvero l’energia che ne sapete?”.
“Quello che si legge su tutti i giornali e riviste specializzate:
bisogna puntare sulle energie alternative”.
“A parte che non sono alternative ma complementari, non
si riuscirà ancora per un paio di decenni almeno a scalfire
l’importanza dei combustibili fossili”.
“Si vanno esaurendo”, disse Bardi.
“Lo sostenevano anche quei menagramo del Club di
Roma negli anni ‘50. La scoperta di nuovi giacimenti e le
tecnologie che consentono trivellazioni ad alta profondità
hanno, almeno per il momento, allungato molto la vita del
fossile. Sentite: non voglio sembrare più pedante di quanto
sono per natura, ma chiedo la vostra pazienza nell’ascoltare
alcuni paragrafi di un articolo scritto dal professore Michael
T. Klare”.
Si alzò e presi dei fogli che aveva preparato su un tavolino
vicino alla poltrona, iniziò a leggere.
“Da qui al 2040 petrolio e carbone andranno in crisi. Chi saprà
sostituirli dominerà il mondo. Una guerra lunga trent’anni
per il controllo dell’energia? Nessuno se l’augurerebbe, neanche
in condizioni disperate. Ma purtroppo siamo arrivati a questo
punto e non c’è modo di tornare indietro. Secondo molti storici,
l’attuale assetto geopolitico degli Stati nazionali ha origine dal
trattato di Vestfalia che nel 1648 pose fine all’europea «Guerra
dei Trent’anni». Nei prossimi tre decenni, il Pianeta dovrà porre
le basi per un nuovo ordine, determinato dalla gestione energetica.
Non potremo così che imbarcarci in una nuova «Guerra
dei Trent’anni», meno sanguinosa ma altrettanto decisiva per
un semplice motivo: l’attuale sistema energetico non potrà soddisfare
il fabbisogno mondiale, e dovrà essere sostituito o integrato
da nuove energie utili a evitare un disastro ambientale
di proporzioni inimmaginabili. Saranno i vincitori di questa
guerra a decidere il modo in cui vivremo e lavoreremo, mentre i
perdenti saranno per sempre esclusi”. Che ne pensate, giovane
Michael?”.
Micheal Bardi si strinse nelle spalle.
“Prima di esprimere un giudizio mi farebbe piacere che
poteste continuare nella lettura dei passi che giudicate molto
significativi... ”.
“Vi accontento subito. ‘Durante questi anni a venire, mentre
si arriverà a sfruttare su scala industriale alcune delle nuove
energie oggi in via di sperimentazione, è probabile che l’uso di
risorse fortemente inquinanti, quali il petrolio e il carbone, cali
drasticamente. Le conseguenze economiche saranno di notevoli
proporzioni per i giganti del petrolio come BP (British Petroleum),
Chevron, ExxonMobil e Royal Dutch Shell, che saranno
costretti ad adottare nuovi modelli di mercato e ad affrontare
la sfida dei gruppi emergenti nel campo delle rinnovabili. E al
futuro di questi giganti è legato il destino delle nazioni, la cui
sicurezza dipende dal controllo dell’energia’. Mi sembrano considerazioni
di tutto rispetto... ”.
“E lo sono sicuramente”, rispose Michael, “Anche se non
so quanto influenzate da elementi esterni. Ho letto quell’articolo
e ricordo quanto affermato dal professor Michael T.Klare.
Secondo lui, cito a memoria, per comprendere la natura
del conflitto, si consideri che, secondo la Bp, nel 2010
il nostro Pianeta ha consumato 13,2 miliardi di tonnellate di
energia, di cui il 33,6% petrolifera, il 29,6% carbonifera, il
23,8% ricavata dal gas naturale, il 6,5% idroelettrica, il 5,2%
nucleare e solo l’1,3% proveniente da fonti rinnovabili. Ogni
tentativo di mantenere, di qui a 30 anni, queste proporzioni,
aumentando per di più la produzione energetica del 40%
per soddisfare il fabbisogno mondiale, è impossibile per due
cause: la scarsità di petrolio e il cambiamento climatico”.
Cardoni continuò a consultare i suoi fogli e citò ancora
altri paragrafi dell’articolo.
“Ma se petrolio e carbone sono destinati a perdere posizioni,
che cosa li sostituirà? Una soluzione di «transizione» potrebbe essere
il gas naturale, meno inquinante e che, grazie alle moderne
tecnologie di estrazione, si è rivelato più abbondante del previsto...
Quanto al nucleare, il disastro giapponese della centrale di
Fukushima ha spinto molti Paesi, quali l’Italia e la Svizzera, a
fare marcia indietro. Nonostante altri, come la Cina, proseguano
nel programma atomico civile, e gli entusiasti del nucleare
(incluso il Presidente statunitense) promuovano
lo sviluppo dei cosiddetti piccoli «impianti modulari» meno
inquinanti e più sicuri, è improbabile che sia questo il futuro
dell’energia. Si può invece affermare che nei prossimi 30 anni
il mondo ricorrerà al solare e all’eolico in misura significativamente
maggiore. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia,
queste due fonti passeranno da una fetta di circa l’1% del consumo
globale nel 2008 al 4% nel 2035. Per raggiungere tale obiet-
tivo, però, sarà necessaria una «rivoluzione tecnologica» nella
progettazione di turbine, pannelli solari e sistemi di stoccaggio...
L’efficienza energetica, infine, ovvero la capacità di ottenere il
massimo risultato con il minimo consumo, farà sicuramente la
differenza. A vincere la nuova Guerra dei Trent’anni saranno
cioè quei Paesi in grado di sviluppare innovazioni nei trasporti,
nell’edilizia e nelle tecniche di produzione orientate al risparmio
energetico. A me piace scommettere sui sistemi «decentralizzati»,
più facili da installare e da gestire, alla stregua dei computer
portatili che usiamo oggi paragonati ai macchinoni degli anni
60 e 70. In questo senso le energie rinnovabili, più facilmente
spendibili a livello urbano e di quartiere, fanno meglio sperare
rispetto ai pesanti impianti nucleari e carboniferi. I Paesi che
riusciranno ad abbracciare questa visione arriveranno vincenti
nel 2041 e - visto lo stato in cui il nostro Pianeta verserà - appena
in tempo’. Ecco: credo di avervi citato i paragrafi piu’
importanti di questo articolo. Che ne pensate?”.
Una donna dell’eta’ di circa sessanta anni si era introdotta
nella stanza portando su un vassoio un servizio da tea che
aveva appoggiato su un basso tavolino posto tra i due. Ed era
sparita senza una parola.
“Posso servire io?” chiese Michael, ammaestrato dalla precedente
esperienza con la bionda Olivia che lo aveva dopato
per un paio di ore.
“Con piacere”. Sorrise furbescamente il gran massone.
“Comunque potete stare tranquillo. Berrò prima di voi... ”.
E, sorbendo il tè dalla sua tazza, chiese di nuovo a Bardi:
“Che ne pensate?”.
“Se il rapporto citato della BP è corretto, i combustibili
fossili sono l’80 per cento delle fonti energetiche. Quanto
alle rinnovabili esse rappresentano poco piu’ dell’uno per
cento e nella migliore ipotesi di un incremento nei prossimi
anni non si potrà arrivare che vicino al cinque per cento.
E del resto che si poteva aspettare da uno studio fatto da
uno dei maggiori protagonisti del settore petrolifero e della
raffinazione? Ritengo invece che la percentuale delle alternative
possa diventare molto più consistente. Tutto dipende
da quante risorse si vorranno dedicare al perfezionamento di
queste tecnologie e quale potrà essere lo spazio che il mondo
politico, a cominciare dall’America, sarà disposto a creare intorno
alle proprie decisioni, sempre che riesca a limitare l’influenza
delle aziende petrolifere che, quanto a lobby, sanno
come spendere il loro denaro. Del resto nonostante il perdurare
della crisi economica che affligge non solo l’America, ma
la maggior parte dei paesi industrializzati e in via di sviluppo,
è su questo terreno che si misureranno i ‘visionari’ come il
presidente degli USA e i conservatori”.
Michael aveva terminato il suo intervento, tenuto con un
tono soffice ma deciso.
Cardoni ascoltava lisciandosi di tanto in tanto la gran barba.
A questo punto arrivò a Michael la domanda frontale:
“Ma voi, fratello Bardi, da che parte volete stare?”.
“Secondo voi, da che parte dovrei stare, con tutto il dovuto
rispetto?”.
“Dalla parte di chi ragiona in termini di realismo. Lo sviluppo
e potenziamento delle alternative (che, lo ripeto, devono
essere considerate complementari al fossile finchè vi
sara’ la possibilità di estrarlo a sufficienza per far fronte alla
crescente domanda di energia) è un sogno che nasce da un
desiderio. Il presidente degli Stati Uniti vi si è buttato con un
impeto che gli fa onore. Ma sarebbe meglio se si dedicasse a
tutelare la propria immagine perchè le notizie che abbiamo
non sono certo incoraggianti per l’uomo più potente del Pianeta”.
Altra occhiata insistita a Michael del tipo : “A buon intenditor...”.
Il viso dell’ex Navy SEAL era di pietra e non tradiva alcun
sentimento o reazione.
Cardoni andava avanti: “Eccoci arrivati al punto: volete
lavorare per noi e con noi? Le soddisfazioni economiche saranno
di tutto rilievo credetemi. Vi chiediamo solo di capire
che la nostra causa non ha niente di antistorico. Noi
ci rendiamo conto che ogni azione che sia volta a turbare
questo equilibrio sia pure instabile dell’approvvigionamento
delle fonti energetiche potrà portare nel breve giro di qualche
anno a una deflagrazione mondiale con conseguenze terribili
per tutta l’umanità. Del resto voi sapete bene che il club
dei possessori dell’arma nucleare si è allargato a Iran, Israele,
Venezuela. Senza tenere conto del solito Pakistan e India. Armageddon
può essere vicino”.
Toccava a Michael che si sentiva chiuso in un angolo. Ringraziamenti
sentiti e di prammatica. Promessa che avrebbe
riflettuto a fondo sulla offerta che gli faceva onore. Restava
in attesa di ricevere una proposta scritta e, come detto, irrinunciabile,
dato che al momento stava gestendo alcune consulenze
di livello internazionale che lo stavano assorbendo
molto. E si alzò.
Cardoni sorridendo dentro la barba lo accompagnò alla
porta e prima di salutarlo aggiunse:
“Giovane fratello Bardi, al momento questo nostro incontro
non è mai avvenuto. Ricordate che noi del Rock decidiamo
e operiamo in ogni continente. Se permettete il suggerimento
di un anziano fratello, controllate la vostra istintività
e date spazio al ragionamento”.
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(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
barba grigia e lunghi capelli, di nero vestito, nonostante il
caldo incipiente. Camicia bianca, cravatta nera, polsini con
gemelli d’oro con l’immagine della squadra e del compasso.
“Fratello Michael, bene arrivato. Posso chiamarvi così visto
che anche voi appartenete alla grande Istituzione?”.
Bardi, atteggiò il viso a un sorriso di circostanza e sedette
nella poltrona che gli veniva indicata. Dalla finestra una brezza
rinfrescante muoveva le tende.
“Prego, gran maestro Cardoni”, rispose Michael.
“Vedete, continuò l’anziano interlocutore usando il ‘voi’
massonico italiano anzichè il tu o il lei, “Non è stato facile
rintracciarvi. Ma ci siamo riusciti”.
“Una domanda personale”, chiese, “di cui mi dovete scusare:
lavorate ancora per la Smithson & Bradley Law Firm di
Washington?”.
“Non più. Abbiamo trovato una soluzione consensuale”.
“Che vi avrà portato sicuramente dei vantaggi economici,
immagino”.
“So curare abbastanza bene i miei interessi. Del resto vi
erano delle divergenze sulle metodiche da adottare”.
Cardoni increspò la gran barba in una risata repressa: “Alludete
alla eliminazione o cancellazione di certe testimonianze
pericolose?”.
Michael fece finta di non avere sentito.
“Opportuno il vostro silenzio”, proseguì Cardoni. “Per
non farvi perdere troppo tempo desidero disegnare con voi
uno scenario. Anni fa ho deciso di dar vita a un’organizzazione
‘The Rock’. Tutte cose che conoscete bene. Ma voglio
darvi una testimonianza personale del mio agire.
Vedete, giovane fratello Michael. Voi appartenete ad
esempio a una loggia che risponde all’Obbedienza della Gran
Loggia di Washington DC. Tanto di cappello per le logge
bilingue di Washington. Guardando da vicino la composizione
dei membri della Massoneria americana devo dire che
la presenza di persone semplici mi fa gioire perchè significa
che il Craft svolge una grande funzione nella società.
Ma poi sorge la domanda: può un’Istituzione come la
Massoneria vivere sulla presenza di gente semplice, tassisti
piuttosto che operai e artigiani? Se noi siamo chiamati a recitare
e svolgere il nostro ruolo di testa di ponte nella società,
se noi massoni ci diciamo spesso che dobbiamo abbassare i
ponti levatoi e ritornare a giocare un ruolo attivo di presenza
e di simbolico punto di riferimento per i disorientati profani
dai quali siamo circondati, bene: se questo è vero, come è
vero, dobbiamo esercitare la nostra influenza con uomini che
siano il meglio della selezione civile.
E guardate: parlo non solo per voi americani. Il discorso
vale per tutti a cominciare dalle varie obbedienze che ci sono
in Italia”.
Michael non si sentiva a suo agio. L’attempato massone
aveva iniziato una liturgia che non riusciva a capire dove volesse
andare a parare. Un personaggio molto criticato per le
sue azioni passate da molti giudicate all’insegna dell’ accrescimento
del proprio potere personale. Non certo una dimostrazione
di tolleranza, il principio ispiratore della Massoneria
universale.
“Ecco perchè ho lasciato ogni Gran Loggia e ho deciso di
dedicarmi alla Rock di cui possono far parte anche le donne.
Ed è quanto è avvenuto venti anni fa nel Rotary International
dove l’appartenenza è determinata non dal sesso ma dai
successi personali e professionali della Persona in quanto tale.
Le nostre riunioni sono al massimo livello e accolgono i veri
potenti. Quelli che decidono le sorti del mondo”.
Michael osservava l’ostentata eccitazione che aveva colto il
suo ospite mentre parlava.
“Sono sicuro che volete chiedermi di che parliamo nei
nostri incontri”. Cardoni era un fiume in piena. “I temi su
cui ci misuriamo sono quelli classici: rapporti di forza tra
le nazioni, le politiche delle multinazionali, e, soprattutto
l’energia. Che succederà a livello globale per far fronte alla
crescente domanda di energia incentivata dall’ingresso nell’arena
mondiale dei cosiddetti paesi emergenti che ormai sono
emersi del tutto?”.
“Ha dimenticato l’acqua... ”, aggiunse Michael rendendosi
conto che in qualche modo doveva interloquire. “E poi,
senza offesa: si tratta di temi sui quali si arrovellano le menti
di scienziati, politici, economisti, sociologi di tutto il mondo...”.
Sorriso di impercettibile compatimento seminascosto dalla
barba risorgimentale.
“Giovane fratello americano. Quello che voi dite è giusto.
Tutti parlano di questi temi. L’unica differenza con altri clubs
famosi, tipo il Bilderberg o lo Aspen Institute, è che noi parliamo,
esaminiamo, ma soprattutto decidiamo e operiamo”.
Quel ‘decidiamo e operiamo’ fu pronunciato quasi sibilando
guardando direttamente negli occhi Michael Bardi. Il
vecchio ex gran maestro stava recitando un copione che era
ancora alle prime battute. Adesso sarebbe entrato a gamba
tesa a esporre in dettaglio quello che aveva in corpo. La ragione
stessa per cui aveva convocato il giovane ex marine.
“Decidiamo e operiamo”, ripetè. “A proposito del problema
dei problemi, ovvero l’energia che ne sapete?”.
“Quello che si legge su tutti i giornali e riviste specializzate:
bisogna puntare sulle energie alternative”.
“A parte che non sono alternative ma complementari, non
si riuscirà ancora per un paio di decenni almeno a scalfire
l’importanza dei combustibili fossili”.
“Si vanno esaurendo”, disse Bardi.
“Lo sostenevano anche quei menagramo del Club di
Roma negli anni ‘50. La scoperta di nuovi giacimenti e le
tecnologie che consentono trivellazioni ad alta profondità
hanno, almeno per il momento, allungato molto la vita del
fossile. Sentite: non voglio sembrare più pedante di quanto
sono per natura, ma chiedo la vostra pazienza nell’ascoltare
alcuni paragrafi di un articolo scritto dal professore Michael
T. Klare”.
Si alzò e presi dei fogli che aveva preparato su un tavolino
vicino alla poltrona, iniziò a leggere.
“Da qui al 2040 petrolio e carbone andranno in crisi. Chi saprà
sostituirli dominerà il mondo. Una guerra lunga trent’anni
per il controllo dell’energia? Nessuno se l’augurerebbe, neanche
in condizioni disperate. Ma purtroppo siamo arrivati a questo
punto e non c’è modo di tornare indietro. Secondo molti storici,
l’attuale assetto geopolitico degli Stati nazionali ha origine dal
trattato di Vestfalia che nel 1648 pose fine all’europea «Guerra
dei Trent’anni». Nei prossimi tre decenni, il Pianeta dovrà porre
le basi per un nuovo ordine, determinato dalla gestione energetica.
Non potremo così che imbarcarci in una nuova «Guerra
dei Trent’anni», meno sanguinosa ma altrettanto decisiva per
un semplice motivo: l’attuale sistema energetico non potrà soddisfare
il fabbisogno mondiale, e dovrà essere sostituito o integrato
da nuove energie utili a evitare un disastro ambientale
di proporzioni inimmaginabili. Saranno i vincitori di questa
guerra a decidere il modo in cui vivremo e lavoreremo, mentre i
perdenti saranno per sempre esclusi”. Che ne pensate, giovane
Michael?”.
Micheal Bardi si strinse nelle spalle.
“Prima di esprimere un giudizio mi farebbe piacere che
poteste continuare nella lettura dei passi che giudicate molto
significativi... ”.
“Vi accontento subito. ‘Durante questi anni a venire, mentre
si arriverà a sfruttare su scala industriale alcune delle nuove
energie oggi in via di sperimentazione, è probabile che l’uso di
risorse fortemente inquinanti, quali il petrolio e il carbone, cali
drasticamente. Le conseguenze economiche saranno di notevoli
proporzioni per i giganti del petrolio come BP (British Petroleum),
Chevron, ExxonMobil e Royal Dutch Shell, che saranno
costretti ad adottare nuovi modelli di mercato e ad affrontare
la sfida dei gruppi emergenti nel campo delle rinnovabili. E al
futuro di questi giganti è legato il destino delle nazioni, la cui
sicurezza dipende dal controllo dell’energia’. Mi sembrano considerazioni
di tutto rispetto... ”.
“E lo sono sicuramente”, rispose Michael, “Anche se non
so quanto influenzate da elementi esterni. Ho letto quell’articolo
e ricordo quanto affermato dal professor Michael T.Klare.
Secondo lui, cito a memoria, per comprendere la natura
del conflitto, si consideri che, secondo la Bp, nel 2010
il nostro Pianeta ha consumato 13,2 miliardi di tonnellate di
energia, di cui il 33,6% petrolifera, il 29,6% carbonifera, il
23,8% ricavata dal gas naturale, il 6,5% idroelettrica, il 5,2%
nucleare e solo l’1,3% proveniente da fonti rinnovabili. Ogni
tentativo di mantenere, di qui a 30 anni, queste proporzioni,
aumentando per di più la produzione energetica del 40%
per soddisfare il fabbisogno mondiale, è impossibile per due
cause: la scarsità di petrolio e il cambiamento climatico”.
Cardoni continuò a consultare i suoi fogli e citò ancora
altri paragrafi dell’articolo.
“Ma se petrolio e carbone sono destinati a perdere posizioni,
che cosa li sostituirà? Una soluzione di «transizione» potrebbe essere
il gas naturale, meno inquinante e che, grazie alle moderne
tecnologie di estrazione, si è rivelato più abbondante del previsto...
Quanto al nucleare, il disastro giapponese della centrale di
Fukushima ha spinto molti Paesi, quali l’Italia e la Svizzera, a
fare marcia indietro. Nonostante altri, come la Cina, proseguano
nel programma atomico civile, e gli entusiasti del nucleare
(incluso il Presidente statunitense) promuovano
lo sviluppo dei cosiddetti piccoli «impianti modulari» meno
inquinanti e più sicuri, è improbabile che sia questo il futuro
dell’energia. Si può invece affermare che nei prossimi 30 anni
il mondo ricorrerà al solare e all’eolico in misura significativamente
maggiore. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia,
queste due fonti passeranno da una fetta di circa l’1% del consumo
globale nel 2008 al 4% nel 2035. Per raggiungere tale obiet-
tivo, però, sarà necessaria una «rivoluzione tecnologica» nella
progettazione di turbine, pannelli solari e sistemi di stoccaggio...
L’efficienza energetica, infine, ovvero la capacità di ottenere il
massimo risultato con il minimo consumo, farà sicuramente la
differenza. A vincere la nuova Guerra dei Trent’anni saranno
cioè quei Paesi in grado di sviluppare innovazioni nei trasporti,
nell’edilizia e nelle tecniche di produzione orientate al risparmio
energetico. A me piace scommettere sui sistemi «decentralizzati»,
più facili da installare e da gestire, alla stregua dei computer
portatili che usiamo oggi paragonati ai macchinoni degli anni
60 e 70. In questo senso le energie rinnovabili, più facilmente
spendibili a livello urbano e di quartiere, fanno meglio sperare
rispetto ai pesanti impianti nucleari e carboniferi. I Paesi che
riusciranno ad abbracciare questa visione arriveranno vincenti
nel 2041 e - visto lo stato in cui il nostro Pianeta verserà - appena
in tempo’. Ecco: credo di avervi citato i paragrafi piu’
importanti di questo articolo. Che ne pensate?”.
Una donna dell’eta’ di circa sessanta anni si era introdotta
nella stanza portando su un vassoio un servizio da tea che
aveva appoggiato su un basso tavolino posto tra i due. Ed era
sparita senza una parola.
“Posso servire io?” chiese Michael, ammaestrato dalla precedente
esperienza con la bionda Olivia che lo aveva dopato
per un paio di ore.
“Con piacere”. Sorrise furbescamente il gran massone.
“Comunque potete stare tranquillo. Berrò prima di voi... ”.
E, sorbendo il tè dalla sua tazza, chiese di nuovo a Bardi:
“Che ne pensate?”.
“Se il rapporto citato della BP è corretto, i combustibili
fossili sono l’80 per cento delle fonti energetiche. Quanto
alle rinnovabili esse rappresentano poco piu’ dell’uno per
cento e nella migliore ipotesi di un incremento nei prossimi
anni non si potrà arrivare che vicino al cinque per cento.
E del resto che si poteva aspettare da uno studio fatto da
uno dei maggiori protagonisti del settore petrolifero e della
raffinazione? Ritengo invece che la percentuale delle alternative
possa diventare molto più consistente. Tutto dipende
da quante risorse si vorranno dedicare al perfezionamento di
queste tecnologie e quale potrà essere lo spazio che il mondo
politico, a cominciare dall’America, sarà disposto a creare intorno
alle proprie decisioni, sempre che riesca a limitare l’influenza
delle aziende petrolifere che, quanto a lobby, sanno
come spendere il loro denaro. Del resto nonostante il perdurare
della crisi economica che affligge non solo l’America, ma
la maggior parte dei paesi industrializzati e in via di sviluppo,
è su questo terreno che si misureranno i ‘visionari’ come il
presidente degli USA e i conservatori”.
Michael aveva terminato il suo intervento, tenuto con un
tono soffice ma deciso.
Cardoni ascoltava lisciandosi di tanto in tanto la gran barba.
A questo punto arrivò a Michael la domanda frontale:
“Ma voi, fratello Bardi, da che parte volete stare?”.
“Secondo voi, da che parte dovrei stare, con tutto il dovuto
rispetto?”.
“Dalla parte di chi ragiona in termini di realismo. Lo sviluppo
e potenziamento delle alternative (che, lo ripeto, devono
essere considerate complementari al fossile finchè vi
sara’ la possibilità di estrarlo a sufficienza per far fronte alla
crescente domanda di energia) è un sogno che nasce da un
desiderio. Il presidente degli Stati Uniti vi si è buttato con un
impeto che gli fa onore. Ma sarebbe meglio se si dedicasse a
tutelare la propria immagine perchè le notizie che abbiamo
non sono certo incoraggianti per l’uomo più potente del Pianeta”.
Altra occhiata insistita a Michael del tipo : “A buon intenditor...”.
Il viso dell’ex Navy SEAL era di pietra e non tradiva alcun
sentimento o reazione.
Cardoni andava avanti: “Eccoci arrivati al punto: volete
lavorare per noi e con noi? Le soddisfazioni economiche saranno
di tutto rilievo credetemi. Vi chiediamo solo di capire
che la nostra causa non ha niente di antistorico. Noi
ci rendiamo conto che ogni azione che sia volta a turbare
questo equilibrio sia pure instabile dell’approvvigionamento
delle fonti energetiche potrà portare nel breve giro di qualche
anno a una deflagrazione mondiale con conseguenze terribili
per tutta l’umanità. Del resto voi sapete bene che il club
dei possessori dell’arma nucleare si è allargato a Iran, Israele,
Venezuela. Senza tenere conto del solito Pakistan e India. Armageddon
può essere vicino”.
Toccava a Michael che si sentiva chiuso in un angolo. Ringraziamenti
sentiti e di prammatica. Promessa che avrebbe
riflettuto a fondo sulla offerta che gli faceva onore. Restava
in attesa di ricevere una proposta scritta e, come detto, irrinunciabile,
dato che al momento stava gestendo alcune consulenze
di livello internazionale che lo stavano assorbendo
molto. E si alzò.
Cardoni sorridendo dentro la barba lo accompagnò alla
porta e prima di salutarlo aggiunse:
“Giovane fratello Bardi, al momento questo nostro incontro
non è mai avvenuto. Ricordate che noi del Rock decidiamo
e operiamo in ogni continente. Se permettete il suggerimento
di un anziano fratello, controllate la vostra istintività
e date spazio al ragionamento”.
______________________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
lunedì 10 novembre 2014
W.D.C sotto traccia - Capitolo 6
Prima del controllo passaporti Michael Bardi tirò fuori
dalla borsa il passaporto italiano evitando la lunga fila dei
non residenti nella European Union. Sguardo annoiato della
poliziotta al suo documento che venne restituito con un gesto
di grande fatica.
Michael non doveva ritirare alcun bagaglio perchè aveva
tutto con sè. Ascensore sino al secondo piano e poi i corridoi
dove il pavimento di gomma si stava disintegrando. Ogni
tanto qualche macchia d’acqua dovuta a infiltrazioni.
L’aeroporto di Fiumicino faceva proprio schifo se paragonato
ad altri scali. Bastava pensare al nuovo di New Delhi per
non parlare di quello di Singapore.
Finalmente imboccò il tunnel che portava al noleggio
macchine. Attesa in fila alla Hertz e poi verso il parcheggio
del quarto piano. Gli era toccata una nuova Fiesta della Ford,
auto che stava vendendo molto in Europa.
Michael salì nella vettura, aggiustò gli specchietti, il sedile
alla sua altezza che non era certo quella di un normale italiano
e si immise nella rampa elicoidale che portava fuori del
parcheggio.
Prima di raggiungere l’autostrada per Roma una pattuglia
della finanza gli intimò di fermarsi. Abbassò il vetro. “Patente
e libretto!”, ingiunse il finanziere.
Michael estrasse la sua patente internazionale e cercò nel
cassetto porta oggetti i documenti della macchina in affitto.
I finanzieri chiesero di vedere cosa portava nel bagaglio. Michael
scese, aprì il carry-on. All’interno il distintivo dei Navy
Seal. “Ma questi sono i SEALS. Lei fa parte del Corpo?” chiese
interessato uno dei militari. “Ne facevo parte sino a poco
tempo fa”, rispose Michael. Il finanziere visibilmente toccato
chiamò il collega perchè venisse a vedere. Poi si irrigidirono
sull’attenti e salutarono.
Michael riprese a guidare verso Roma. Si era immesso nel
Grande Raccordo Anulare. Il limite di velocità era 90 chilometri
all’ora. Ma nessuno lo rispettava. Michael decise di
guidare all’italiana seguendo il vecchio proverbio che sostiene:
“When in Rome, do as Romans do”.
Prese l’uscita per la Cassia Veientana-Viterbo, la cosiddetta
Cassia Bis. Quando si presentò il cartello ‘Formello – Olgiata’
Michael uscì dalla Cassia Bis. Dopo tre km sulla destra
ecco il cancello dell’entrata nord dell’Olgiata.
“Da chi va?” chiese uno dei vigilantes della security:
“Ristorante Ribot”, fu la risposta. La guardia porse a Michael
Bardi una cartina indicando il percorso. “Segua comunque
la strada ‘B’. Non puo’ sbagliare”. Gli suggerì la guardia.
Il comprensorio dell’Olgiata si estendeva per oltre 600
ettari a nord est di Roma. Era inserito nel territorio che apparteneva
alla città etrusca di Veio. A poca distanza il castello
della famiglia Orsini. L’Olgiata era passata alle cronache negli
anni ‘60 per l’allevamento di cavalli da corsa Dormello Olgiata.
Il loro maggiore successo era stato il destriero Ribot vincitore
di numerosi gran premi internazionali e poi messo in
selezione nelle stalle successivamente trasformate in appartamenti
di prestigio.
Michael seguiva le indicazioni dategli all’ingresso nord e
si fermava ogni volta di fronte ai dossi messi per ridurre la
velocità e la pericolosità dei veicoli.
Si limitava a superare i dossi a velocità zero mentre dietro
di lui un potente crossover Mercedes sfanalava e suonava
a ripetizione perchè lui andava troppo piano. Finalmente
il mezzo imponente guidato da una bionda lo superò con
ostentazione del dito medio dal finestrino a titolo di benvenuto
all’Olgiata.
Michael arrivò al ristorante Ribot ricavato in una delle
stalle dell’allevamento dell’ex super campione. Ma erano le
11 del mattino e il ristorante era chiuso.
Squillò il cellulare 4G di Bardi. E una voce nasale, come
se parlasse in falsetto gli disse di passare attraverso il cancello
verde posto accanto al bar Ribot. Michael si trovò in un
ampio giardino con un abbeveratoio in pietra nel centro, circondato
dagli appartamenti che pochi fortunati erano riusciti
a acquistare quando la proprietà Dormello-Olgiata aveva
messo in vendita le stalle.
Una finestra sulla costruzione a destra di fronte a lui si aprì
e un personaggio agitando la mano lo invitò a salire la scala
che conduceva all’appartamento situato al primo piano.
_______________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
purely coincidental)
dalla borsa il passaporto italiano evitando la lunga fila dei
non residenti nella European Union. Sguardo annoiato della
poliziotta al suo documento che venne restituito con un gesto
di grande fatica.
Michael non doveva ritirare alcun bagaglio perchè aveva
tutto con sè. Ascensore sino al secondo piano e poi i corridoi
dove il pavimento di gomma si stava disintegrando. Ogni
tanto qualche macchia d’acqua dovuta a infiltrazioni.
L’aeroporto di Fiumicino faceva proprio schifo se paragonato
ad altri scali. Bastava pensare al nuovo di New Delhi per
non parlare di quello di Singapore.
Finalmente imboccò il tunnel che portava al noleggio
macchine. Attesa in fila alla Hertz e poi verso il parcheggio
del quarto piano. Gli era toccata una nuova Fiesta della Ford,
auto che stava vendendo molto in Europa.
Michael salì nella vettura, aggiustò gli specchietti, il sedile
alla sua altezza che non era certo quella di un normale italiano
e si immise nella rampa elicoidale che portava fuori del
parcheggio.
Prima di raggiungere l’autostrada per Roma una pattuglia
della finanza gli intimò di fermarsi. Abbassò il vetro. “Patente
e libretto!”, ingiunse il finanziere.
Michael estrasse la sua patente internazionale e cercò nel
cassetto porta oggetti i documenti della macchina in affitto.
I finanzieri chiesero di vedere cosa portava nel bagaglio. Michael
scese, aprì il carry-on. All’interno il distintivo dei Navy
Seal. “Ma questi sono i SEALS. Lei fa parte del Corpo?” chiese
interessato uno dei militari. “Ne facevo parte sino a poco
tempo fa”, rispose Michael. Il finanziere visibilmente toccato
chiamò il collega perchè venisse a vedere. Poi si irrigidirono
sull’attenti e salutarono.
Michael riprese a guidare verso Roma. Si era immesso nel
Grande Raccordo Anulare. Il limite di velocità era 90 chilometri
all’ora. Ma nessuno lo rispettava. Michael decise di
guidare all’italiana seguendo il vecchio proverbio che sostiene:
“When in Rome, do as Romans do”.
Prese l’uscita per la Cassia Veientana-Viterbo, la cosiddetta
Cassia Bis. Quando si presentò il cartello ‘Formello – Olgiata’
Michael uscì dalla Cassia Bis. Dopo tre km sulla destra
ecco il cancello dell’entrata nord dell’Olgiata.
“Da chi va?” chiese uno dei vigilantes della security:
“Ristorante Ribot”, fu la risposta. La guardia porse a Michael
Bardi una cartina indicando il percorso. “Segua comunque
la strada ‘B’. Non puo’ sbagliare”. Gli suggerì la guardia.
Il comprensorio dell’Olgiata si estendeva per oltre 600
ettari a nord est di Roma. Era inserito nel territorio che apparteneva
alla città etrusca di Veio. A poca distanza il castello
della famiglia Orsini. L’Olgiata era passata alle cronache negli
anni ‘60 per l’allevamento di cavalli da corsa Dormello Olgiata.
Il loro maggiore successo era stato il destriero Ribot vincitore
di numerosi gran premi internazionali e poi messo in
selezione nelle stalle successivamente trasformate in appartamenti
di prestigio.
Michael seguiva le indicazioni dategli all’ingresso nord e
si fermava ogni volta di fronte ai dossi messi per ridurre la
velocità e la pericolosità dei veicoli.
Si limitava a superare i dossi a velocità zero mentre dietro
di lui un potente crossover Mercedes sfanalava e suonava
a ripetizione perchè lui andava troppo piano. Finalmente
il mezzo imponente guidato da una bionda lo superò con
ostentazione del dito medio dal finestrino a titolo di benvenuto
all’Olgiata.
Michael arrivò al ristorante Ribot ricavato in una delle
stalle dell’allevamento dell’ex super campione. Ma erano le
11 del mattino e il ristorante era chiuso.
Squillò il cellulare 4G di Bardi. E una voce nasale, come
se parlasse in falsetto gli disse di passare attraverso il cancello
verde posto accanto al bar Ribot. Michael si trovò in un
ampio giardino con un abbeveratoio in pietra nel centro, circondato
dagli appartamenti che pochi fortunati erano riusciti
a acquistare quando la proprietà Dormello-Olgiata aveva
messo in vendita le stalle.
Una finestra sulla costruzione a destra di fronte a lui si aprì
e un personaggio agitando la mano lo invitò a salire la scala
che conduceva all’appartamento situato al primo piano.
_______________________________________
(Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente
esistenti o esistite è da ritenersi puramente casuale.
Any resemblance to real events and/or to real persons, living or dead, is
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